Non occorrono troppe analisi per renderci conto che viviamo in una situazione confusa. Confusi i dati sulla pandemia, confusi i provvedimenti, confusa la comunicazione. Confuse probabilmente anche le idee di chi deve prendere decisioni. E noi che a marzo, come ha scritto recentemente Antonio Scurati, “scoprimmo finalmente di essere mortali, noi che ci facemmo animo, cantammo perfino”, oggi non possiamo non accorgerci che sarà dura, che, come aggiunge Scurati, insieme “alla nebbia a banchi è calata la discordia, l’incertezza, la rabbia”.
Anche se i tamponi aumentano, se gli indici del contagio cominciano a mandare segnali positivi, se è in arrivo il vaccino, non aumenta però la nostra sicurezza. È sempre più difficile fidarsi di chi ci governa, la crisi economica incombe, i fondi dell’Europa e i ristori sono sempre introdotti da verbi coniugati al futuro, affidati ad “auspici”.
Un po’ di giorni fa, quando stava per essere emanata l’ordinanza che
avrebbe consentito l’accesso a bar e ristoranti solo per l’asporto, sono
passata dal mio amico che gestisce il bar sotto casa . “Hai sentito?” gli dico.
E mi aspettavo la solita sfilza di lamenti e recriminazioni. Niente di tutto
questo. “Guarda, pronto!” mi dice, mostrandomi il cartello con le indicazioni
per il delivery, che lui a mano e in fretta aveva già scritto. E aggiunge
“Stiamo qua!”. È vicino alla pensione, sa che il guadagno di queste settimane
sarà minimo, ma lui sta qua! Lo fa per i figli che lavorano con lui? Per i
dipendenti? Sì, forse, ma lo fa per sé,
per vivere lui adesso. Vivere l’istante è veramente l’unica possibilità che
abbiamo in questa immane confusione. È solo nel presente che ci accorgiamo
di esistere, che ci giochiamo la libertà, che decidiamo dove volgere lo
sguardo.
Avevo 15 anni, ero nel pieno dell’incandescenza adolescenziale, mi ero
trovata a partecipare ad una tre giorni di Gioventù Studentesca. Mi capitò di
uscire dal salone con don Giussani e
nell’istante di pochi piani fatti in ascensore, davanti al mio scettico
disinteresse verso le cose della fede di cui lui aveva appena parlato, mi disse
“ma adesso sei qui!”. Le porte
dell’ascensore si aprirono, il dialogo finì. Ma in forza di quell’istante, e di
quel po’ di libertà con cui lo avrò assecondato, ora sono qui, un po’ più
vicino a quelle cose della fede di cui don Giussani aveva parlato. Anche in
quel momento ciò che vinse la confusione, e ne avevo tanta, fu la forza di un istante presente. Un
presente capace di sconfiggere lo scetticismo del passato e lanciare un ponte
verso una speranza per il futuro.
Sembra quasi paradossale che possa essere un istante, una sequenza di istanti, a contare veramente nella vita. Mentre la nostra presunzione vorrebbe affidare tutto ai giudizi (o meglio pre-giudizi, recriminazioni, ostilità) che il passato ha sedimentato in noi, o ai progetti che la nostra intelligenza pensa di costruire per il futuro. Paradossale ma ragionevole, perché la vera partita con il senso delle cose, con la presenza o l’assenza del significato, ce la giochiamo nella concretezza degli istanti quotidiani.
Come Pavese fa dire ad Esiodo nei Dialoghi con Leucò, “La vita dell’uomo si svolge laggiù tra le case nei campi.
Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno ti mette davanti la stessa fatica
e le stesse mancanze. La fatica interminabile, lo sforzo per star vivi d’ora in
ora – quest’è il vivere che taglia le gambe”.
Ma è ancora Pavese che, in questo stesso dialogo, mette in bocca alla
divina interlocutrice di Esiodo una sorta di promessa: “Non capisci che il
sacro e il divino accompagnano anche voi, dentro il letto, sul campo, davanti
alla fiamma? Ogni gesto che fate ripete un modello divino. Giorno e notte non
avete un istante, nemmeno il più futile, che non sgorghi dal silenzio delle
origini”.
E se quelle divine origini silenziose prendono la parola oggi, nel
presente, se assumono il volto e i lineamenti di persone e storie concrete,
allora sì che possiamo sperare! Solo
l’esperienza reale di un presente toccato, masticato, sofferto, ci salva dalla
confusione. E non è un caso che sia così, perché, come dice Lewis “il
presente è il punto nel quale il tempo tocca l’eternità”. E solo il nostro
cuore sa quanto abbiamo bisogno di eternità!
EMILIA GUARNIERI
Il sussidiario
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