CENTRO STUDI LIVATINO
A margine delle recenti risoluzioni e proposte di
risoluzione del Parlamento Europeo
1. Con la risoluzione n. 2790 del 13/11/2020, il
Parlamento Europeo si proponeva un utile obiettivo: vagliare le misure
intraprese dai Governi nazionali in periodo di pandemia, e verificarne la
compatibilità con le clausole dei Trattati Europei. Limitate le libertà di
spostamento, non solo tra diversi Paesi UE, ma addirittura sui singoli
territori nazionali, avviati sistemi di tracciamento, derogato in molte forme
il divieto di aiuti di Stato, è comprensibile l’interessamento del Parlamento
Europeo al tema.
Ma già la lettura del titolo della risoluzione – “sull’impatto
delle misure connesse alla COVID-19 sulla democrazia, sullo Stato di diritto e
sui diritti fondamentali” – lasciava presagire un approccio al problema
atto a travalicare le competenze delle istituzioni Europee. L’UE può valutare
l’impatto delle misure nazionali su democrazia, Stato di diritto e diritti
fondamentali non già a tutto tondo, come sembra voler affermare la risoluzione,
bensì limitatamente alle materie specificamente attribuite dai Trattati alle
competenze dell’Unione stessa.
Che la risoluzione sia priva di effetto giuridico
vincolante non toglie che essa debba essere conforme ai principi giuridici
regolanti il sistema, considerando peraltro che con la proposta di risoluzione
2020/2072, presentata il 29/09/2020, si punta a un meccanismo di monitoraggio
delle istituzioni UE su “democrazia” e “Stato di diritto” che va ben oltre le
competenze attribuite in materia dai Trattati.
2. L’esame della risoluzione approvata il
13/11/2020 non solo conferma la grave violazione delle competenze dell’Unione
perpetrata dal Parlamento, ma disvela contenuti tanto manifestamente
irrazionali e illegittimi da destare sconcerto.
2.1. Si afferma (lett. AF della risoluzione del
13.11.2020) che “la parità di accesso all’assistenza sanitaria (…) è
potenzialmente a rischio a causa delle misure adottate per arrestare la
diffusione della COVID-19, in particolare per i gruppi di persone in situazioni
vulnerabili, quali gli anziani o le persone affette da malattie croniche, le
persone con disabilità, le persone LGBTI+, i minori, i genitori, le donne
incinte, i senza fissa dimora, tutti i migranti, compresi i migranti privi di
documenti, i richiedenti asilo, i rifugiati e le minoranze etniche e di altro
tipo”.
Sfugge davvero quale sia l’elemento in forza del quale
una persona LGBT dovrebbe ritenersi più svantaggiata rispetto agli altri
nell’accesso all’assistenza sanitaria durante il periodo pandemico. Tale
svantaggio ha avuto luogo per persone sole, malate, anziane, invalide, non
certo per persone LGBT come tali considerate. Appare così l’ossessivo – quasi
patetico – riflesso ideologico, preclusivo di una serena discussione, in virtù
del quale per le istituzioni europee gli LGBT costituiscono una categoria
discriminata a prescindere, pur quando l’oggetto della pretesa discriminazione
nulla ha a che fare, nei propri presupposti, con l’orientamento sessuale.
2.2. Si assume come premessa della risoluzione del
13/11/2020 (lett. AE) che “le persone LGBTI+ sono soggette a un rischio
sproporzionato durante i confinamenti, poiché possono essere esposti ad abusi
per periodi più lunghi e possono essere esclusi dal sostegno sociale e
istituzionale”. È una affermazione sfornita non soltanto di fondamento, ma
pure di citazioni di fonti di riferimento, comunque in manifesto contrasto coi
dati di comune esperienza.
La carenza dei presupposti fattuali su cui essa si
basa rende illegittima per irrazionalità, oltre che per violazione delle
competenze spettanti all’UE, la conseguente raccomandazione del Parlamento
(par. 17) che “invita gli Stati membri a proseguire gli sforzi per
combattere l’omofobia e la transfobia, dal momento che la pandemia ha
esacerbato la discriminazione e le disuguaglianze di cui le persone LGBTI +
sono vittime”. Si rinvia, in proposito, alle considerazioni già svolte a
commento alla Comunicazione della Commissione n. 698 del 12/11/2020, la quale,
in combinato con le risoluzioni del Parlamento oggetto del presente commento,
dà vita a una vera e propria “offensiva” delle istituzioni europee contro le
sovranità nazionali, volta a strumentalizzare l’emergenza Covid 19 per imporre
agli Stati l’adozione dell’agenda LGBT, in spregio ai Trattati e
all’ordinamento (https://www.centrostudilivatino.it/consiglio-ue-di-oggi-chi-ricatta-chi-sul-recovery-fund/).
3. Vi è di più. Incondizionatamente la risoluzione
13/11/2020 (lett. AF) assume che il “diritto all’aborto” e “l’accesso
alla salute riproduttiva” siano materie di competenza dell’UE. Peccato che
non venga indicata alcuna fonte normativa che attribuisca all’Unione tale
competenza sul punto: lo stesso art. 35 della Carte di Nizza, richiamato nella
risoluzione, riconosce una competenza esclusiva degli Stati in materia di
accesso alla prevenzione sanitaria e all’ottenimento delle cure mediche.
Illegittimo è quindi l’invito (par. 18) agli “Stati membri a garantire in
modo efficace l’accesso sicuro e tempestivo alla salute e ai diritti sessuali e
riproduttivi (SRHR) e ai necessari servizi di assistenza sanitaria per tutte le
donne e le ragazze durante la pandemia di COVID-19, in particolare l’accesso
alla contraccezione, compresa la contraccezione d’emergenza, e all’assistenza
all’aborto; sottolinea l’importanza di continuare ad applicare le migliori
pratiche e di trovare soluzioni innovative per la prestazione di servizi
connessi alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti, tra cui la
telemedicina, i consulti online e l’accesso all’aborto farmacologico precoce in
forma domiciliare; invita la Commissione a organizzare forum per lo scambio
delle migliori pratiche tra gli Stati membri e le parti interessate a tale
riguardo e a sostenere azioni che garantiscano l’accesso alla salute sessuale e
riproduttiva e ai relativi diritti negli Stati membri”.
Sempre sul tema, la risoluzione approvata il
26/11/2020 n. 2019/2199, sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione
Europea nel 2018-2019, è giunta a invitare (par. 6) “tutti gli Stati membri
a garantire un’educazione completa alla sessualità, un facile accesso per le
donne e le ragazze alla pianificazione familiare e l’intera gamma di servizi
per la salute sessuale e riproduttiva, compresi metodi contraccettivi moderni e
l’aborto sicuro e legale”. Ha altresì esortato “la Commissione a
includere la necessità di difendere la salute sessuale e riproduttiva e i
relativi diritti nella sua strategia in materia di diritti fondamentali”.
Il tutto ancora una volta in violazione dell’art. 35 della Carta di Nizza e
delle competenze assegnate dagli Stati all’UE in materia di istruzione
dall’art. 165 del TFUE, dalle quali esula del tutto l’educazione sessuale.
Su questa scia, il preteso sindacato dell’Unione sulla
disciplina dell’aborto all’interno degli Stati membri viene posto addirittura a
base di una apposita proposta di risoluzione contro la Repubblica di Polonia
(proposta n. 202/2876 del 14/11/2020). In essa si chiede, tra l’altro (par.
20), “alla Commissione di sostenere gli Stati membri nel garantire un
accesso universale ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, incluso
l’aborto; esorta la Commissione a garantire la salute sessuale e riproduttiva e
i relativi diritti includendo il diritto all’aborto nella prossima strategia
europea in materia di sanità”.
I contenuti di simili richieste violano, insieme col
diritto alla vita, i Trattati europei, e in particolare la riserva di
competenza riconosciuta in materia agli Stati membri dall’art. 35 della Carta
di Nizza, bypassata nelle indicazioni dei presupposti giuridici della
risoluzione.
4. Queste recenti risoluzioni del Parlamento
Europeo, in quanto violano, esse sì (non già la resistenza di Polonia e
Ungheria), i principi dello “Stato di diritto”, cui pure dicono di richiamarsi,
conclamano una deriva ideologica, e una sempre più aggressiva tendenza ad
attentare alla sovranità degli Stati membri, dando vita a una sistematica e per
ciò ancor più grave e preoccupante prassi di illegalità dell’azione europea.
Riuscirà il Parlamento di Strasburgo a recuperare un
sussulto di rispetto dei Trattati, e quindi del principio di legalità
internazionale, per respingere simili illegittime risoluzioni?
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