domenica 26 maggio 2019

EUROPEISTI CONTRO SOVRANISTI: IL GRANDE EQUIVOCO ALLA BASE DELLE ELEZIONI EUROPEE



 ROBI RONZA

C’è un grande equivoco alla base delle elezioni europee. Metterlo in luce forse non serve molto per decidere come votare, ma di certo sarà utile per comprendere che cosa accadrà dopo.
Una sfida cruciale tra “europeisti” e “sovranisti”: così la grande macchina del circo mediatico in Italia, ma anche in buona parte del resto d’Europa, sta raccontando le imminenti elezioni. Se però si rompe la crosta dei luoghi comuni imposti dall’ordine costituito ci si accorge che non è questa la vera posta in gioco. E’ un tratto tipico di tale ordine costituito, presunto liberale ma in effetti ricco di venature giacobine, spacciare l’avversario politico non come qualcuno che in buona fede può pensarla diversamente, bensì come uno stupido in mala fede. A tal fine è di aiuto mettergli in testa un cappello con le orecchie d’asino. Nel caso specifico questo segno di ignominia sono gli epiteti di “sovranista” e di “populista”: neologismi disinvoltamente ricavati – osserviamo per inciso — da parole come sovranità e popolo, che fino a  poco tempo fa erano invece sacrosante.

Secondo quanto esce da quasi ogni bocca e ogni tromba del circo mediatico di cui si diceva, i sovranisti sono contro e gli europeisti invece  sono a favore dell’Europa.  In realtà basta andare a vedere e sentire che cosa dicono loro, e non che cosa si dice  che dicano,  per accorgersi che i sovranisti non sono così sciocchi da credere che oggi si possa fare a meno di qualche forma  di unione dell’Europa. E’ ovvio anche per loro che l’Unione Europea è ormai una necessità storica di cui non è più possibile fare a meno. Però la vogliono diversa. Pongono cioè la domanda “Europa sì, ma quale?” che invece per gli europeisti è inaccettabile a priori. Agli occhi dei cosiddetti europeisti, infatti, c’è un’Europa sola, quella che hanno voluto loro.
Si potrà poi discutere sull’Europa che i sovranisti vogliono, ma resta il fatto che in democrazia non si può pretendere che l’ordine costituito delle attuali istituzioni europee sia intoccabile. Invece è proprio questa, dicevamo, la pretesa degli europeisti. Conviene allora andare a vedere che cosa vi sia dietro tale pretesa.  La scoperta del segreto non è difficile poiché in realtà non si tratta di un segreto, ma semplicemente di qualcosa che viene discusso ad alto livello, ma non raggiunge la comunicazione di massa.  Ormai da decenni le élite europee cosiddette liberali (ma che poi sono ben poco tali), non sperando più di poter raccogliere democraticamente il consenso popolare, puntano allo spostamento della sostanza del potere politico dagli Stati, che in Occidente sono ormai tutti democratici, a organizzazioni internazionali strutturate in forma neo-autoritaria; beninteso sulla base di modelli nuovi, non truci come quelli della seconda metà del secolo XX, bensì sottili o molto raffinati in quanto a tecniche di organizzazione del consenso.
E’ questo tipicamente il caso dell’Unione Europea nella forma in cui è stata sviluppata in forza dei trattati di Maastricht e di tutti i loro derivati. Attraverso  di essa la democrazia degli Stati membri viene assoggettata a quelli che l’economista e poi ministro del Tesoro Guido Carli (1914-1993), uno dei maggiori teorici di tale filosofia politica, definì i “vincoli esterni”.  E in particolare “il «vincolo esterno» dell’Europa che”, affermava Guido Carli, “ci difende anche da noi stessi. Ci protegge innanzitutto dai nostri politici, gli attuali e i predecessori (…)”.  Insomma, osserviamo noi, ci libera… dal male della democrazia.
Quella di domenica prossima non è la battaglia tra la luce e le tenebre. Come ahimè spesso accade nella vita pubblica, ma non solo, si tratta di scegliere il meglio del peggio. Al di qua o al di là della linea di demarcazione ufficiale tra i cosiddetti europeisti e i cosiddetti sovranisti va bene  chiunque voglia davvero cambiare alla radice l’attuale “Europa”.

E che quindi abbia il coraggio di rimettere in discussione i trattati europei e di ripensarli tenendo conto della grande eredità storica dell’Europa, sua prima risorsa, della sussidiarietà autentica (non di quella falsa dei trattati vigenti) e del riconoscimento del primato della persona e della società civile.

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