C’è un grande equivoco alla base delle elezioni
europee. Metterlo in luce forse non serve molto per decidere come votare,
ma di certo sarà utile per comprendere che cosa accadrà dopo.
Una sfida cruciale tra “europeisti” e
“sovranisti”: così la grande macchina del circo mediatico in Italia,
ma anche in buona parte del resto d’Europa, sta raccontando le imminenti
elezioni. Se però si rompe la crosta dei luoghi comuni imposti dall’ordine costituito
ci si accorge che non è questa la vera posta in gioco. E’ un tratto tipico di
tale ordine costituito, presunto liberale ma in effetti ricco di venature
giacobine, spacciare l’avversario
politico non come qualcuno che in buona fede può pensarla diversamente, bensì
come uno stupido in mala fede. A tal fine è di aiuto mettergli in testa un
cappello con le orecchie d’asino. Nel caso specifico questo segno di ignominia
sono gli epiteti di “sovranista” e di “populista”: neologismi disinvoltamente
ricavati – osserviamo per inciso — da parole come sovranità e popolo, che fino
a poco tempo fa erano invece sacrosante.
Secondo
quanto esce da quasi ogni bocca e ogni tromba del circo mediatico di cui si
diceva, i sovranisti sono contro e gli europeisti invece sono a favore
dell’Europa. In realtà basta andare a vedere e sentire che cosa dicono
loro, e non che cosa si dice che dicano, per accorgersi che i sovranisti non sono così sciocchi da
credere che oggi si possa fare a meno di qualche forma di unione dell’Europa.
E’ ovvio anche per loro che l’Unione Europea è ormai una necessità storica di
cui non è più possibile fare a meno. Però
la vogliono diversa. Pongono cioè la domanda “Europa sì, ma quale?” che
invece per gli europeisti è inaccettabile a priori. Agli occhi dei cosiddetti europeisti, infatti, c’è un’Europa sola,
quella che hanno voluto loro.
Si
potrà poi discutere sull’Europa che i sovranisti vogliono, ma resta il fatto che in democrazia non si può pretendere che
l’ordine costituito delle attuali istituzioni europee sia intoccabile.
Invece è proprio questa, dicevamo, la pretesa degli europeisti. Conviene allora
andare a vedere che cosa vi sia dietro tale pretesa. La scoperta del
segreto non è difficile poiché in realtà non si tratta di un segreto, ma
semplicemente di qualcosa che viene discusso ad alto livello, ma non raggiunge
la comunicazione di massa. Ormai da
decenni le élite europee cosiddette liberali (ma che poi sono ben poco tali),
non sperando più di poter raccogliere democraticamente il consenso popolare,
puntano allo spostamento della sostanza del potere politico dagli Stati, che in
Occidente sono ormai tutti
democratici, a organizzazioni internazionali strutturate in forma
neo-autoritaria; beninteso sulla base di modelli nuovi, non truci come
quelli della seconda metà del secolo XX, bensì sottili o molto raffinati in
quanto a tecniche di organizzazione del consenso.
E’
questo tipicamente il caso dell’Unione Europea nella forma in cui è stata
sviluppata in forza dei trattati di Maastricht e di tutti i loro derivati. Attraverso di essa la democrazia degli
Stati membri viene assoggettata a quelli che l’economista e poi ministro del
Tesoro Guido Carli (1914-1993), uno dei maggiori teorici di tale filosofia
politica, definì i “vincoli esterni”.
E in particolare “il «vincolo esterno» dell’Europa che”, affermava Guido
Carli, “ci difende anche da noi stessi. Ci protegge innanzitutto dai nostri
politici, gli attuali e i predecessori (…)”. Insomma, osserviamo noi, ci libera… dal male della democrazia.
Quella
di domenica prossima non è la battaglia tra la luce e le tenebre. Come ahimè
spesso accade nella vita pubblica, ma non solo, si tratta di scegliere il
meglio del peggio. Al di qua o al di là della linea di demarcazione ufficiale
tra i cosiddetti europeisti e i cosiddetti sovranisti va bene chiunque voglia davvero cambiare alla radice l’attuale
“Europa”.
E che quindi abbia il coraggio di
rimettere in discussione i trattati europei e di ripensarli tenendo conto della
grande eredità storica dell’Europa, sua prima risorsa, della sussidiarietà
autentica (non di quella falsa dei trattati vigenti) e del riconoscimento del
primato della persona e della società civile.
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