ROBI RONZA
Improvvisamente è
saltato il tappo della censura che la stampa italiana da sempre applicava alla
questione dell’aborto negli Usa. E’ circa dal 2000 che l’opposizione all’aborto
legale sta crescendo con forza negli Stati Uniti, e oggi tutti i sondaggi
indicano che vi si oppone circa la metà degli americani. In Italia però il proverbiale uomo della strada non poteva saperlo
perché in pratica la totalità dei giornali e dei telegiornali mai gliene aveva
data notizia.
KAY IVEY, Governatore Alabama, firma la legge |
Ogni anno, il 22 gennaio, nel pieno
dell’inverno che a Washington è rigidissimo, ha luogo nella capitale americana
un’imponente manifestazione popolare di protesta nell’anniversario della
sentenza della Corte Suprema che nel 1973 impose la legalizzazione dell’aborto,
ma i nostri telegiornali si guardano bene dal mostrarcela. Non trovano opportuno farci sapere che l’opposizione all’aborto, una
cosa da paese arretrato e cattolico come l’Italia, stia dilagando in un paese
moderno e per lo più protestante come gli Stati Uniti.
Sorprende perciò che
qualche giorno fa all’improvviso il tappo di tale censura sia saltato.
Sono ormai diversi
gli Stati degli Usa che con proprie leggi hanno posto limiti all’aborto.
Nell’Ohio non si può più addurre la
sindrome di Down del feto come motivo legittimo per abortirlo, nel Wisconsin è stata varata una legge che
obbliga a rianimare i feti abortiti ma ancora in vita, in Louisiana non si può più praticare legalmente l’aborto dal momento
in cui comincia a essere percettibile il battito cardiaco del feto; e così
via.
Di tutti questi sviluppi il pubblico italiano era
stato accuratamente tenuto all’oscuro finché, chissà perché, la notizia della legge varata nell’Alabama ha fatto saltare il tappo.
All’improvviso anche da noi al grande pubblico è concesso di sapere che negli
Stati Uniti si sta ridiscutendo l’aborto, anche
se lo si fa distorcendo la notizia in tutto il possibile.
Per esempio spesso non
dicendo che il governatore che ha voluto e firmato la legge non è un uomo
ma una donna, il che taglia alla radice il solito argomento del no all’aborto
come prevaricazione dell’uomo sulla donna. Per esempio scrivendo che la legge votata nell’Alabama condanna
all’ergastolo la donna che abortisce, mentre in realtà condanna chi
pratica l’aborto mentre non prevede pena alcuna per la donna che lo subisce.
Per dare però un’idea
di quanto soffra la stampa “illuminata” nel dare queste informazioni basti
citare il caso neanche de la Repubblica bensì nientemeno che
del 24 Ore, l’austero
quotidiano economico vicino alla Confindustria. Nel suo sito, nell’ambito
di una rubrica chiamata con involontario umorismo «In famiglia», in una nota
del titolo “Assalto al diritto
all’aborto nell’epoca di Trump” si è lamentato il fatto che negli Usa non si
ferma “l’onda anomala delle leggi antiaborto”.
Vale allora la pena di ricordare che
negli Stati Uniti l’aborto venne legalizzato in tutto il Paese in forza non di
un voto del Congresso, ossia del Parlamento federale (che non ha competenza in
materia), bensì appunto di una sentenza della Corte Suprema. Fino a quel
momento l’aborto era illegale senza eccezioni in 30 Stati su 50, e
consentito in altri 16 solo in caso di stupro, incesto o minaccia alla salute
della madre. Era legale con poche eccezioni soltanto in 4 Stati tra cui più o
meno incondizionatamente nel solo Stato di New York. Il 22 gennaio 1973
la Corte Suprema ne impose invece in tutto il Paese la legalizzazione entro un
“trimestre” dal concepimento autorizzando gli Stati a porre dei limiti solo
riguardo ai susseguenti sei mesi di gravidanza.
Da un sondaggio Gallup dello scorso 2018 risulta
che oggi il 48 % degli americani ritiene l’aborto moralmente inaccettabile,
mentre solo il 43% lo ritiene invece moralmente accettabile. E solo il 26% lo
ritiene lecito in qualsiasi circostanza.
Ciò che il 24 Ore definisce “onda anomala”
è insomma quella che nei bei tempi andati era nota col nome di democrazia.
20 MAGGIO 2019
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