Mons. Giampaolo Crepaldi | Vescovo di Trieste
"L'IDEOLOGIA
EUROPEISTA HA A CUORE IL MALE COMUNE"
Pubblichiamo la lectio magistralis dell'Arcivescovo di
Trieste monsignor Giampaolo Crepaldi, su "Europa, processo di unificazione
europea, Unione Europea: una valutazione dal punto di vista della Dottrina
sociale della Chiesa", pronunciata sabato mattina nel corso della Seconda
Giornata della Dottrina sociale della Chiesa. L'evento, promosso dalla Nuova BQ
e dall'Osservatorio Van Thuan si è svolto al teatro Rosetum di Milano, è stato
dedicato all'Europa.
In questo intervento Mons. Crepaldi ci mostra come Europa non
sia sinonimo di Unione Europea: infatti il principio del bene comune e quello
della sussidiarietà (ma anche altri principi, come l’origine e il fondamento
dell’autorità, il posto di Dio nel mondo, la concezione della persona umana, il
giudizio sulla democrazia e così via), sono stati radicalmente modificati dalla
nuova religione civile, l’europeismo, alternativa e contraria alla religione
cristiana. Si tratta di una
ideologia che non viene proposta ma per molti versi imposta da un apparato –
potremmo dire con Gramsci da un “blocco storico” – sovranazionale.
Sono molto
contento di essere presente anche quest’anno alla Giornata della Dottrina
sociale della Chiesa, per due motivi. Prima di tutto perché, come sapete, gran
parte della mia attività a servizio della Chiesa, anche come vescovo, si è
svolta su questo fronte. Secondariamente perché il nostro Osservatorio,
dedicato alla memoria del Cardinale Van Thuân, considera estremamente urgente
che la Chiesa si riappropri di questo suo patrimonio e lo faccia valere in pubblico.
Su questo il nostro Osservatorio e La Nuova Bussola Quotidiana concordano ...
da qui questa Giornata, giunta alla sua seconda edizione.
L’Osservatorio
ha dedicato al tema di questa giornata – l’Europa – uno dei suoi ultimi
Rapporti annuali sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo che portava
questo titolo: “Europa: la fine delle illusioni”. Quando però si dice “Europa”
cosa si intende? Su questo punto essenziale il discorso potrebbe essere molto
lungo, io mi limito a distinguere l’Europa, come modello storico di convivenza
tra i popoli, e l’Unione Europea, come una modalità di unificazione
sovrastatale avente le caratteristiche che sono sotto gli occhi di tutti.
Attenzione,
però: può risultare molto facile – e quindi semplicistico – criticare l’Unione
Europea
considerandola
come un guaio – o Il Guaio ‐
per l’Europa. Il titolo del nostro Rapporto richiamava la “fine delle
illusioni”: ma per l’Unione Europea o per l’Europa?
Per
rispondere può essere utile fare ciò che mi accingo a fare ora: vorrei
considerare i due concetti appena visti di Europa e di Unione Europea alla luce
della Dottrina sociale della Chiesa. Compito molto vasto, ma ci accontenteremo
di qualche breve cenno.
UN BENE E UN FINE
Se per
esempio prendiamo il principio del bene
comune, così come lo intende la Dottrina sociale della Chiesa, vediamo che
esso è nato in Europa e con l’Europa è connaturato. L’Europa nasce come
respublica cristiana e intende il bene comune come avente un carattere morale,
finalistico, analogico e verticale, incentrato sul diritto naturale fondato,
sostenuto e avvalorato dal diritto divino.
Se, invece
consideriamo l’Unione Europea notiamo non solo che ha una visione diversa del
bene comune, ma addirittura che non ha nessuna visione del bene comune perché
non possiede più le categorie di ragione e di fede per fondarlo adeguatamente.
L’Unione Europea intende il bene comune in senso operativo e
funzionale, oppure come somma del soddisfacimento dei desideri individuali,
oppure come l’uso comune dei beni collettivi, oppure come bene pubblico ossia
il bene dello Stato o dell’apparto politico.
Spesso
queste riduzioni del bene comune sfociano in una prassi istituzionale
direttamente demolitrice del bene comune e quindi più negativa ancora. Per
esempio, nel campo della
biopolitica
dobbiamo constatare frequenti pressioni delle istituzioni europee (sia intese
come Unione Europea che come Consiglio d’Europa) sugli Stati membri perché
aprano la loro legislazione ai cosiddetti “nuovi diritti”, che vengono
considerati come elementi del bene comune mentre sono elementi del male comune.
Se
esaminiamo il principio di sussidiarietà,
pure vediamo la sua connaturalità con l’Europa, che nacque come “comunità di
comunità”, come scrisse con efficace immagine lo storico Cristopher Dawson. Si
può dire con linguaggio odierno che essa nacque “dal basso” e si strutturò in
una serie coordinata ed analogica di livelli di autonomie secondo appunto quel
principio. Ciò riuscì a sopravvivere, anche se ormai a fatica, fino alla prima
guerra mondiale: l’impero austro‐ungarico
era ancora strutturato in questo modo. Non lo era, certo, lo Stato napoleonico
il cui modello venne poi impiantato in tutta Europa. Ma questa è un’altra
storia, che era cominciata molto prima, già con il Defensor Pacis di Marsilio
da Padova nel XIV secolo e l’idea che il sovrano dovesse operare una sorta di
reductio ad unum dei cittadini, impostazione confermata poi da Lutero, da
Bodin, da Hobbes e da Roussseau. Non va dimenticato che su Marsilio, e quindi
su tutto questo filone, agì
l’averroismo
eterodosso, e qui si apre un’altra storia su cui tornerò in seguito. Nell’attuale
Unione Europea, a cominciare dal Trattato di Maastricht, il principio di sussidiarietà è inteso solo in senso funzionale e operativo,
avendo l’Unione assunto il modello politico dello Stato moderno più che quello
dell’Impero. Se non ne è nato un super‐Stato
europeo ci siamo andati comunque molto vicini. Le intromissioni dal centro alla
periferia non si contano ed anche Bruxelles, a suo modo, si è proposta di
realizzare la sua reductio ad unum dei popoli europei e dei cittadini europei.
UNA SANA LAICITA'...EUROPEA
Se
esaminiamo il concetto di sana (o legittima) laicità proprio della Dottrina sociale
della Chiesa, e quindi il problema del rapporto tra politica e religione, vediamo
che la sua giusta impostazione nasce con l’Europa. La respublica christiana europea
non sovrapponeva politica e religione cristiana e non le separava. Come disse
Benedetto XVI al Bundestag di Berlino nel 2011, mai il cristianesimo impose una
legislazione politica direttamente derivante dalla rivelazione, ma fondò
l’autorità politica e l’ordine politico sul diritto naturale, il quale
certamente fa anche riferimento al Creatore e quindi postula il rapporto
(indiretto) con la religione cristiana, ma le due cose non
coincidono
in quanto il diritto naturale rimane oggetto anche della sola ragione, purché
si sforzi di essere “retta”. Non c’è dubbio che l’Europa conobbe anche le
guerre di religione, ma ciò concise con la fine della respublica christiana e quindi
con la fine di un corretto rapporto tra religione e politica. Ciò comportò non già la neutralità della
politica dalla religione, ma che la ragion di Stato diventasse a sua volta una
religione.
IL PRIMATO DI DIO NEL MONDO
Lo Stato
moderno come Summum artificium (Hobbes)
sapeva di non potersi reggere senza una religione
civile, alternativa e contraria alla religione cristiana. Anche oggi,
capita così, e capita così anche per l’Unione Europea, la quale si presenta
come neutra dalla religione e dalle religioni, però di fatto porta avanti la
nuova religione dell’indifferenza alla religione e dell’europeismo come ideologia assoluta.
L’Unione
Europea intende bandire dallo spazio pubblico qualsiasi significato assoluto e
non si accorge che così facendo impone un nuovo significato assoluto, quello
secondo il quale nello spazio pubblico non può esistere nessun significato
assoluto. La Dottrina sociale della
Chiesa non può accettare l’indifferenza religiosa, perché comporterebbe la
traslazione di se stessa da verità ad opinione, cosa che essa non può accettare
pena la sua insignificanza.
Mi sono soffermato su questi tre principi –
il bene comune, la sussidiarietà, la corretta laicità – per essere breve, ma è
evidente che essi sono collegati con
altri principi, come l’origine e il fondamento
dell’autorità, il posto di Dio nel mondo, la concezione della persona umana, il
giudizio sulla democrazia e così via.
In tutti questi settori, se usiamo come lente
la Dottrina sociale della Chiesa, notiamo che l’Europa e l’Unione Europea si contraddicono, al punto che per avere
questa Unione Europea occorre rinunciare ad aspetti importanti dell’Europa. Il
più importante è il posto di Dio nel mondo, come ripetutamente (e
dolorosamente) invocato da Giovanni Paolo II e, a suo modo, da Benedetto XVI. L’Europa
nasce con questo elemento costitutivo: la centralità di Dio nel mondo.
Solitamente si dice che nell’Europa sono presenti molti influssi culturali e
religiosi, il che è vero. Ma tutti sono stati assunti e purificati dal
cristianesimo. L’Europa, alla fine, consiste in questo. Ciò vale anche per la
cultura islamica. Non c’è dubbio che anche essa sia presente nella storia
dell’Europa, ma la cosa va molto ridimensionata rispetto all’interpretazione
corrente. Se prendiamo, per esempio, l’introduzione in Europa del pensiero di
Aristotele da parte dei Commentatori arabi, primo fra
tutti
Averroè, dobbiamo notare: a) che si trattava di un aspetto assolutamente
marginale ed anomalo rispetto alla cultura musulmana nel suo insieme, b) che da
quella mediazione derivò anche un pensiero politico eterodosso, combattuto dal
cristianesimo ortodosso, che produsse molti danni rompendo l’armonia tra
religione e politica. I molti fenomeni
distruttivi dell’Europa derivano tutti, in vario grado, dalla estromissione del
Dio cristiano dalla pubblica piazza, ossia dalla cultura e dalla vita sociale e
politica.
L'EUROPA NON CREDE PIU' A NULLA
Vorrei a
questo punto tornare al problema evidenziato all’inizio di questo mio
intervento. Benedetto XVI ha detto che l’Europa odia se stessa, Remi Brague ha
affermato che l’Europa non crede più in nulla, Gianni Baget‐Bozzo aveva detto che l’Europa si considera
una colpa ed è stretta tra nichilismo e islam, Walter Laqueur sostiene che
l’Europa sta vivendo i suoi ultimi giorni, Giulio Meotti che si suicida ed è
alla fine e Jürgen Habermas che è in crisi. Torna
però la domanda: costoro si riferiscono all’Europa o all’Unione Europea nel suo
attuale stato di realizzazione? É quest’ultima ad essere estenuata e in
fase terminale oppure ad essere in questo stato è quanto normalmente, anche se
ambiguamente, viene chiamato lo “spirito europeo” di cui sopra ho tratteggiato
alcune caratteristiche? La risposta a questa domanda è molto importante, perché
diagnostica
il male e, quindi, pone le basi per la terapia, dicendoci dove si deve
intervenire con urgenza.
Vorrei
esprimere a questo proposito alcune valutazioni conclusive.
VENTOTENE E L'EUROPEISMO
Che il
processo di unificazione sovrastatale abbia preso una piega non condivisibile è
indubbio, proprio alla luce delle esigenze sia dell’Europa che della Dottrina
sociale della Chiesa viste sopra. Solo il fatto che l’Unione Europea sia il
principale finanziatore dell’aborto nel mondo la dice lunga a questo proposito.
Esiste l’ideologia dell’europeismo,
portata avanti da molte forze politiche, dalle élite intellettuali del vecchio continente
e da ampi strati dell’apparato funzionalistico dell’Unione Europea che opera
per cooptazione.
Questa
ideologia dell’europeismo ha una visione della persona e della vita sociale non
condivisibile dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. Si tratta di una ideologia che non viene
proposta ma per molti versi imposta da un apparato – potremmo dire con Gramsci
da un “blocco storico” – sovranazionale.
Questa
evidenza, però, non deve farci perdere di vista che non si è trattato solo di
una cappa imposta esovrapposta ad un’Europa inconsapevole. L’ideologia europeista –individualista, irreligiosa, relativista, “borghese
allo stato puro” direbbe Del Noce – è cresciuta e maturata nell’Europa.
Se bisogna
riconoscere che le istituzioni europee hanno fatto da volano a questa
ideologia, va anche riconosciuto che essa c’era anche prima e ha condizionato
dal basso lo stesso processo di unificazione, che ne è, in un certo senso, la causa,
ma anche il frutto.
La cultura europea si è staccata dall’Europa come sopra
l’abbiamo descritta e il processo di unificazione nell’Unione
Europea ha espresso questo distacco, a sua volta accelerandolo.
Possiamo
dire che i due percorsi sono stati sinergici, producendo significativi effetti,
pur se dannosi.
Se questa
mia analisi è fondata, ne deriva che è senz’altro indispensabile dedicare
attenzione critica ed azione correttiva nei confronti dell’Unione Europea (non
essendo un politico non voglio entrare qui nella “misura” di questa attenzione
critica e azione correttiva), ma è anche insufficiente, bisogna infatti
riprendere in mano l’Europa.
Attenzione
però all’ambiguità dello slogan “+ Europa”. Se con queste parole si intende più
Unione
Europea
non mi sentirei di suggerire di porsi su questa strada, almeno finché l’Unione
rimane come è adesso. Se invece significa “+ Europa” nel senso dell’anima del
continente, allora bisogna chiedersi “per quale Europa”? e adoperarsi per
l’Europa della Dottrina sociale della Chiesa e non per l’Europa del Manifesto di
Ventotene.
Rallentare
questo processo di unificazione da un lato (ripeto: non entro nelle modalità
politiche di questa operazione) e animare forze autenticamente europee
dall’altro. Frenare l’Unione Europea per avere il tempo e lo spazio per
costruire più Europa nel senso della sua vera natura e della sua vera storia.
In questo contesto si colloca anche una
equilibrata valutazione della questione delle sovranità e dei sovranismi,
su cui la Dottrina sociale della Chiesa ha molto da dire.
Frenare la
cessione di sovranità all’Unione da parte degli Stati ed eventualmente
recuperarne, può avere senso se serve a distribuire sovranità sussidiaria al di
sotto degli Stati: viceversa sarebbe un sovranismo ugualmente criticabile.
Concludo
con una citazione. Nel suo ottimo libro Le
metamorfosi della Città di Dio, Étienne Gilson
dedica un capitolo anche all’Europa. Dapprima egli fa notare ciò che di solito
anche noi ci troviamo a dire: “Vi è chi cerca di dare un corpo all’Europa, ma
di che cosa vivrà questo corpo, se non gli diamo un’anima?”. Credo che voi
concorderete che spesso anche noi diciamo così. Ma poi Gilson rovescia la
prospettiva, dicendo: “Quando sarà pronto, il corpo dell’Europa avrà la sua
anima, e dopo averla vista vivere i posteri sapranno di cosa si tratta”.
Ecco il
problema: far vivere la vera Europa.
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