Il cristianesimo in un
continente che “si sta congedando”
secondo Christoph Schönborn l’allievo maggiore di Ratzinger.
Il
cristianesimo è una presenza straniera oppure rappresenta il fondamento
dell’Europa? La mia risposta sarà che il cristianesimo è entrambe le cose! Ecco il filo
del mio ragionamento. Da un lato, il cristianesimo è una delle radici
dell’Europa e, fino a un determinato livello, il futuro dell’Europa nel
contesto mondiale dipende da esso; l’Europa rimane consapevole di questo dato
di fatto. Tuttavia tale consapevolezza sta diminuendo in maniera allarmante.
Dall’altro lato, il cristianesimo è per molti un elemento estraneo in un mondo
determinato dalla ragione, dall’Illuminismo e dai principi democratici. La mia
tesi si basa sul fatto che quest’Europa, e il mondo occidentale intero, non
sopravvivrà senza quell’estraneità portata dal cristianesimo. In altre parole,
l’Europa può svolgere il suo ruolo nell’ambito delle culture del mondo soltanto
se ritiene il cristianesimo, questo corpo estraneo, come parte integrante della
sua identità.
Tuttavia,
l’Europa non si sta forse congedando dal dibattito fra le culture mondiali? Demograficamente, per esempio. E
questo dato non è anche legato al fatto che l’Europa è diventata il continente
meno religioso del mondo? In proposito vorrei citare due prospettive ebraiche.
Jonathan Sacks, il rabbino capo della Gran Bretagna, crede che la cultura del “consumismo e della gratificazione istantanea” dei desideri materiali sia responsabile del crollo dell’indice di natalità in Europa. “L’Europa sta morendo”, ha detto Sacks (secondo quanto riportato dai media in riferimento a un suo discorso tenuto a Londra durante un convegno teologico nel 2009), perché la sua popolazione è troppo egoista per crescere figli. “Stiamo subendo l’equivalente morale del cambiamento climatico e nessuno ne sta parlando”. Il più alto rappresentante dell’ebraismo in Gran Bretagna ha descritto l’Europa come l’area più secolarizzata del mondo. Al contempo essa rappresenta l’unico continente che sta sperimentando il declino della popolazione. Il rabbino capo Sacks intravede una chiara correlazione tra la pratica religiosa e l’alta considerazione attribuita alla vita familiare. “Dovunque si volga lo sguardo, in qualsiasi località del mondo, e che si guardi a comunità ebraiche, cristiane o musulmane, in media si troverà che l’elemento più religioso e più numeroso della comunità è rappresentato dalle famiglie. Essere genitori richiede “un grande sacrificio” di denaro, attenzione, tempo ed energia emotiva. Sacks si è chiesto: “Dove, nell’attuale cultura europea, troviamo spazio per il concetto del sacrificio compiuto per amore delle generazioni non ancora nate?”. Il rabbino capo mette a confronto lo sviluppo dell’Europa con il declino dell’antica Grecia con i suoi “scettici e cinici”. Sacks prosegue dicendo che il credo religioso è fondamentale per la coesione della società: “Dio è tornato – afferma – e l’Europa nel complesso ancora non lo capisce”. Questa, continua Sacks, è la sua “unica e più grande forma di cecità culturale e intellettuale”. Una seconda osservazione di ambito ebraico è fornita da Joseph Weiler, professore di Diritto europeo all’Università di New York ed ebreo ortodosso. Nel suo meraviglioso libro “Un’Europa cristiana. Un saggio esplorativo”, Weiler s’interroga sulla ragione per la quale gli europei sono così intimoriti nel riconoscere l’evidenza che l’Europa ha radici cristiane. Egli parla di una “cristianofobia” europea. E, in aggiunta, vede una correlazione tra questa perdita di memoria e lo sviluppo demografico in Europa.
Un terzo dato: nell’ottobre 2007, i presidenti delle Conferenze
episcopali cattoliche d’Europa si sono incontrati per l’annuale assemblea
plenaria a Fatima. Il tema ruotava attorno alla famiglia in Europa. Uno di noi
è arrivato dritto al punto che per lui, come per molti di noi, rappresentava
una situazione drammatica. Potrebbe arrivare un momento, nel prossimo futuro,
nel quale la maggior parte della società europea si rivolgerà al cristianesimo
dicendo: “Sei un corpo estraneo tra noi. I tuoi valori non sono i nostri. I
valori europei non sono i valori cristiani. Tu non ci appartieni!”.Jonathan Sacks, il rabbino capo della Gran Bretagna, crede che la cultura del “consumismo e della gratificazione istantanea” dei desideri materiali sia responsabile del crollo dell’indice di natalità in Europa. “L’Europa sta morendo”, ha detto Sacks (secondo quanto riportato dai media in riferimento a un suo discorso tenuto a Londra durante un convegno teologico nel 2009), perché la sua popolazione è troppo egoista per crescere figli. “Stiamo subendo l’equivalente morale del cambiamento climatico e nessuno ne sta parlando”. Il più alto rappresentante dell’ebraismo in Gran Bretagna ha descritto l’Europa come l’area più secolarizzata del mondo. Al contempo essa rappresenta l’unico continente che sta sperimentando il declino della popolazione. Il rabbino capo Sacks intravede una chiara correlazione tra la pratica religiosa e l’alta considerazione attribuita alla vita familiare. “Dovunque si volga lo sguardo, in qualsiasi località del mondo, e che si guardi a comunità ebraiche, cristiane o musulmane, in media si troverà che l’elemento più religioso e più numeroso della comunità è rappresentato dalle famiglie. Essere genitori richiede “un grande sacrificio” di denaro, attenzione, tempo ed energia emotiva. Sacks si è chiesto: “Dove, nell’attuale cultura europea, troviamo spazio per il concetto del sacrificio compiuto per amore delle generazioni non ancora nate?”. Il rabbino capo mette a confronto lo sviluppo dell’Europa con il declino dell’antica Grecia con i suoi “scettici e cinici”. Sacks prosegue dicendo che il credo religioso è fondamentale per la coesione della società: “Dio è tornato – afferma – e l’Europa nel complesso ancora non lo capisce”. Questa, continua Sacks, è la sua “unica e più grande forma di cecità culturale e intellettuale”. Una seconda osservazione di ambito ebraico è fornita da Joseph Weiler, professore di Diritto europeo all’Università di New York ed ebreo ortodosso. Nel suo meraviglioso libro “Un’Europa cristiana. Un saggio esplorativo”, Weiler s’interroga sulla ragione per la quale gli europei sono così intimoriti nel riconoscere l’evidenza che l’Europa ha radici cristiane. Egli parla di una “cristianofobia” europea. E, in aggiunta, vede una correlazione tra questa perdita di memoria e lo sviluppo demografico in Europa.
E se anche così fosse? Se questo divenisse realtà? Sarebbe tanto sorprendente? L’ebraismo non ebbe forse la stessa sensazione di estraneità nei confronti degli antichi regni d’oriente e, più tardi, nei confronti del cristianesimo? Non si riscontra tale estraneità anche nel cuore della cristianità? “Non conformatevi a questo mondo” (Rm 12,2). Così l’apostolo Paolo ammonisce la chiesa di Roma. Nell’ultima cena Gesù ha detto: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me” (Gv 15,18). “Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai cattivi desideri della carne, che fanno guerra all’anima” (1Pt 2,11). I cristiani si sentono come stranieri in questo mondo, disprezzati e rifiutati. Ma accettano tale estraneità: “La nostra cittadinanza infatti è nei cieli” (Fil 3,20). Allo stesso tempo anelano alla città futura (Eb 13,14), la Gerusalemme celeste.
Questi “estranei” non sono una setta che taglia fuori se stessa dal resto del mondo. Essi vogliono dare forma al mondo e cambiare i rapporti umani attraverso il cambiamento delle persone. Chiamano questa conversione metánoia, e in qualità di “estranei” sono molto impegnati nel costruire una società più umana.
stralci dal libro “Cristo in Europa, una feconda
estraneità”, scritto dal cardinale arcivescovo di Vienna e pubblicato in questi
giorni dalla casa editrice Emi
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