RATZINGER ASPETTI BIBLICI DEL TEMA FEDE E POLITICA
Omelia*
Quest'omelia
è stata tenuta il 26 novembre 1981 durante una liturgia per i deputati
cattolici del parlamento tedesco nella chiesa di San Winfried a Bonn. Le
letture, IPt 1,3-7 e Gv 14,1-6, erano quelle della liturgia del giorno. A tutta
prima esse sembravano irrilevanti per il nostro tema; a ben guardare si sono poi
rivelate inaspettatamente feconde.
L'epistola
e il vangelo, che abbiamo appena sentito, derivano da una situazione, in cui i
cristiani non erano soggetti attivi dello Stato ma erano perseguitati da una
dittatura crudele. Non era loro consentito di portare insieme con altri lo
stato, ma potevano soltanto sopportarlo. Non era loro consentito di formare uno
stato cristiano. Il loro compito era di vivere da cristiani nonostante lo
stato. I nomi degli imperatori al potere, nel periodo in cui la tradizione
colloca la data di entrambi i testi, bastano ad illuminare la situazione: si
chiamavano Nerone e Domiziano. Così anche la prima lettera di Pietro definisce
i cristiani come «dispersi» o stranieri in un simile stato (1,1) e denomina lo
stato stesso come «Babilonia» (5,13). Essa indica in tal modo incisivamente la
situazione politica dei cristiani di allora: corrispondeva in qualche modo a
quella degli ebrei esiliati a Babilonia, che non erano soggetto ma oggetto di
quel potere e che perciò dovevano imparare come avrebbero potuto sopravvivervi
e non come avrebbero potuto realizzarlo. Lo sfondo politico delle letture
odierne è dunque radicalmente diverso da quello attuale. Tuttavia contengono
tre affermazioni importanti, con un significato anche per l'azione politica fra
cristiani.
1. Lo
stato non è la totalità dell'esistenza umana e non abbraccia tutta la speranza
umana. L'uomo e la sua speranza vanno oltre la realtà dello stato e oltre la
sfera dell'azione politica. Ciò vale non solo per uno stato che si chiama
Babilonia, ma per ogni genere di stato. Lo stato non è la totalità. Questo
alleggerisce il peso all'uomo politico e gli apre la strada a una politica
razionale. Lo stato romano era falso e anticristiano proprio perché voleva
essere il totum delle possibilità e delle speranze umane. Così esso pretende
ciò che non può; così falsifica ed impoverisce l'uomo. Con la sua menzogna
totalitaria diventa demoniaco e tirannico. L'eliminazione del totalitarismo
statale ha demitizzato lo stato ed ha liberato in tal modo l'uomo politico e la
politica.
Ma quando
la fede cristiana, la fede in una speranza superiore dell'uomo, decade, insorge
allora di nuovo il mito dello stato divino, perché l'uomo non può rinunciare
alla totalità della speranza. Anche se simili promesse si atteggiano a
progresso e, rivendicano per sé in assoluto il concetto di progresso, esse sono
tuttavia, storicamente considerate, una retrocessione a prima della Novità
cristiana, una svolta a rovescio della scala della storia. Ed anche se esse
vanno propagandando come proprio scopo la perfetta liberazione dell'uomo,
l'eliminazione di qualsiasi dominio sull'uomo, sono tuttavia in contraddizione
con la verità dell'uomo e in contraddizione con la sua libertà, perché
costringono l'uomo a ciò che può fare egli stesso. Una simile politica, che fa
del regno di Dio un prodotto della politica e piega la fede sotto il primato
universale della politica, è per sua natura politica della schiavitù; è
politica mitologica.
La fede
oppone a questa politica lo sguardo e la misura della ragione cristiana, la
quale riconosce ciò che realmente l'uomo è in grado di creare come ordine di
libertà e può così trovare un criterio di discrezione, ben sapendo che
l'aspettativa superiore dell'uomo sta nelle mani di Dio. Il rifiuto della
speranza che è nella fede è, al tempo stesso, un rifiuto al senso di misura
della ragione politica. La rinuncia alle speranze mitiche propria della società
non tirannica non è rassegnazione, ma lealtà che mantiene l'uomo nella
speranza. La speranza mitica del paradiso immanente autarchico può solo
condurre l'uomo allo smarrimento: lo smarrimento davanti al fallimento delle
sue promesse e davanti al grande vuoto che è in agguato; lo smarrimento
angoscioso per la propria potenza e crudeltà.
Il primo
servizio che la fede fa alla politica è dunque la liberazione dell'uomo
dall'irrazionalità dei miti politici, che sono il vero rischio del nostro
tempo. Essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il
cuore in fiamme l'impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione
non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le
grandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra
invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini.
Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza
alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell'umanità
dell'uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell'avventura,
che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta
le misure dell'uomo e compie, entro queste misure, l'opera dell'uomo. Non
l'assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale
dell'attività politica.
2.
Nonostante i cristiani venissero perseguitati dallo stato romano, la loro
posizione a suo riguardo non era radicalmente negativa. Hanno riconosciuto in
esso pur sempre lo stato come stato e hanno cercato di costruirlo come stato
nei limiti delle loro possibilità: non l'hanno voluto distruggere. Proprio
perché si sapevano in «Babilonia», valeva per loro la linea orientativa che
Geremia aveva tracciato agli Israeliti esuli a Babilonia. La lettera del
profeta, tramandataci nel cap. 29 del libro di Geremia, non è affatto
un'indicazione operativa alla resistenza politica, alla distruzione dello stato
schiavista, comunque la si potesse concepire; è invece un'esortazione a
conservare e a rafforzare il bene. E dunque un'istruzione per la sopravvivenza
e insieme per la preparazione di un nuovo, migliore avvenire. In questo senso
anche questa morale dell'esilio contiene elementi di un ethos politico
positivo. Geremia non incita gli ebrei a resistere e a insorgere, bensì:
«Costruite case e abitatele. Piantate orti e mangiatene i frutti... Cercate il
benessere del paese in cui vi ho fatto deportare e pregate il Signore per esso,
perché dal suo benessere dipende il vostro benessere» (Ger 29,5-7). Del tutto
analoga è l'esortazione che si legge nella lettera di Paolo a Timoteo, datata
tradizionalmente al tempo di Nerone: «(Pregate) per tutti gli uomini, per i re
e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita
calma e tranquilla con tutta pietà e dignità» (ITm 2,2). Sulla stessa linea
corre la prima lettera di Pietro con la seguente esortazione: «La vostra
condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come
malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel
giorno del giudizio» (2,12). «Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete
Dio, onorate il re» (2,17). «Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o
ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non ne
arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome» (4,15s.).
Che cosa
vuoi dire tutto questo? I cristiani non erano affatto gente angosciosamente
sottomessa all'autorità, gente che non sapesse della possibile esistenza di un
diritto e di un dovere alla resistenza, fondato sulla coscienza. Proprio
quest'ultima verità indica che hanno riconosciuto i limiti dello stato e che
non vi si sono piegati là dove non era loro lecito piegarsi, perché era contro
la volontà di Dio. È, così, tanto più importante il fatto che essi abbiano
cercato non di distruggere, ma di contribuire a reggere questo stato.
L'antimorale viene combattuta con la morale e il male con la decisa adesione al
bene, non altrimenti. La morale, il compimento del bene, è la vera opposizione
e solo il bene può essere la preparazione all'impulso verso il meglio. Non
esistono due tipi di morale politica: una morale dell'opposizione e una morale
del dominio. Esiste soltanto una morale: la morale come tale, la morale
dei comandamenti di Dio, che non possono essere messi fuori corso, neanche per
qualche tempo, allo scopo di accelerare un cambiamento delle cose. Costruire si
può solo costruendo, non distruggendo: questa è l'etica politica della Bibbia,
da Geremia a Pietro e a Paolo.
Il
cristiano è sempre un sostenitore dello stato nel senso che egli compie
il positivo, il bene, il quale tiene insieme gli stati. Non ha paura di
contribuire così al potere dei cattivi, ma è convinto che sempre e soltanto il
rafforzamento del bene può abbattere il male e ridurre il potere del male e dei
malvagi. Chi mette nei suoi programmi uccisioni di innocenti o rovine di
proprietà altrui non potrà mai richiamarsi alla fede. Vi contrasta molto
esplicitamente la sentenza di Pietro: «Voi non dovete farvi condannare per
uccisioni o per delitti contro la proprietà» (4,15): sono parole, dette anche
allora, contro questa specie di resistenza. La vera, cristiana resistenza che
Pietro domanda ha luogo quando e solo quando lo stato esige la negazione di Dio
e dei suoi comandamenti, quando domanda il male, rispetto a cui il bene è
sempre un comandamento.
3.
Consegue di qui un'ultima cosa. La fede cristiana ha distrutto il mito dello
stato divino, il mito dello stato-paradiso e della società senza dominio o
potere. Al suo posto ha invece collocato il realismo della ragione. Ma ciò non
significa che la fede abbia portato un realismo libero da valori, il realismo
della statistica e della pura fisica sociale. Al vero realismo dell'uomo
appartiene l'umanesimo e all'umanesimo appartiene Dio. Alla vera ragione umana
appartiene la morale, che si alimenta ai comandamenti di Dio. Questa morale non
è un affare privato. Ha valore e importanza pubblica. Non può esistere una
buona politica senza il bene del buon essere e del buon agire. Ciò che la
Chiesa perseguitata aveva prescritto ai cristiani come nucleo centrale del loro
ethos politico, dev'essere anche l'essenza di un'attiva politica cristiana: solo
là dove il bene si fa e si riconosce come bene, può anche prosperare una buona
convivenza tra gli uomini. Il perno di un'azione politica responsabile
dev'essere quello di far valere nella vita pubblica il piano della morale, il
piano dei comandamenti di Dio.
Se così
faremo, allora potremo anche noi, tra lo smarrimento di tempi angosciosi,
comprendere come rivolte anche a noi personalmente le parole delle letture di
questo giorno: «Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 14,1). «Poiché dalla potenza
di Dio siete custoditi mediante la fede per la vostra salvezza...» (IPt 1,5).
Amen.
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