Gli otto punti incomunicabili del Pd
luca ricolfi
Mi è capitato, nei
giorni scorsi, di prender parte a un dibattito televisivo sulle elezioni e di
ascoltare una puntata di un talk show politico, sempre con esponenti del Pd.
Poi, ieri, ho letto attentamente gli 8 punti programmatici con cui Bersani
pensa di candidarsi a guidare un governo appoggiato da Grillo. Ebbene, lo dico
subito, io sono sconcertato.
Sono sconcertato perché,
più li leggi e li ascolti, più ti accorgi che nei dirigenti del Pd nulla, ma
proprio nulla è cambiato dopo il voto. Non sono cambiati gli slogan, non sono
cambiati i programmi, non sono cambiati gli atteggiamenti. Non sono cambiati i
rituali, non sono cambiati i ragionamenti, non è cambiato il linguaggio. Non
c’è nessuna idea veramente nuova. Solo tanta supponenza, e una completa incapacità
di capire come si viene percepiti dagli altri. Questi dirigenti dimostrano, con
il loro modo di parlare e di atteggiarsi, di non avere la minima idea di come
la gente li vede. Se potessero entrare anche solo per qualche minuto nei nostri
cervelli avrebbero uno shock: scoprirebbero che non solo non li apprezziamo,
non solo li troviamo irritanti, ma siamo semplicemente increduli.
Ma come? Nemmeno dopo lo
schiaffo, lo sberleffo, l’umiliazione del trionfo di Grillo, nemmeno dopo tutto
questo riuscite a mettere insieme una reazione, un ripensamento, un dubbio
vero?
E’ terribile, quel che
sta succedendo. Il vincitore morale delle elezioni è Grillo, che ha sfondato
per l’elementare ragione che noi sfortunati elettori di questo paese non
avevamo alcun altro mezzo per dare un segnale forte ai partiti tradizionali. Ma
questa vittoria si sta rivelando inutile, se non dannosa. Il vincitore tecnico
delle elezioni, il Pd di Bersani, si sta infatti mostrando del tutto incapace
di recepire quel segnale. E il programma in 8 punti varato l’altro ieri nella
direzione del Pd ne è purtroppo l’amara testimonianza scritta.
Io consiglio caldamente
a tutti di andarselo a leggere, questo programma che dovrebbe “cambiare
l’Italia” (www.partitodemocratico.it). Di studiarlo parola per parola. Di
provare a capirne la logica. Perché è una cartina di tornasole perfetta
dell’incapacità di cambiare o, se preferite, dell’incapacità di concepire il
cambiamento al di fuori delle furbizie della politica.
Che cosa vi troviamo,
infatti? Fondamentalmente due cose.
Primo, un umiliante
strizzare l’occhio a Grillo, con la ripresa di temi cari al Movimento Cinque
Stelle (misure anti-casta, “banda larga”, “ottimizzazione ciclo dei rifiuti”,
“recupero aree dismesse”, etc.), ma silenzio assoluto sulla sua proposta chiave
(condivisa anche da Matteo Renzi), e cioè l’abolizione del finanziamento
pubblico dei partiti. Su questo il punto 3 di Bersani si limita a dire: “Legge
sui partiti con riferimento alla democrazia interna, ai codici etici, all’accesso
alle candidature e al finanziamento”. Formulazione farraginosa e vuota, da cui
si può dedurre solo che il finanziamento resta in piedi e si tratta unicamente
di fissarne l’entità, in totale spregio del risultato del referendum che lo
aveva abolito giusto vent’anni fa.
Secondo, una
riproposizione, in molti punti e sotto-punti del programma di governo, del
medesimo linguaggio usato in campagna elettorale, un linguaggio che, se (forse)
ricompatta la base dei militanti, è invece del tutto controproducente quando si
cerca di arrivare all’elettore normale, che non solo ignora il codice della
politica ma lo detesta.
Che cosa è il “codice”
della politica? L’essenza del codice della politica è la preferenza per le
formule astratte, generiche, involute, vuote o meramente intenzionali.
Espressioni che si limitano a comunicare l’attenzione per un tema o per un
problema, senza indicare una soluzione praticabile (dove trovo i soldi?) ma
soprattutto comprensibile. Esempio: se dico “metto 100 euro al mese in più nella
social card e i soldi per farlo li trovo aumentando la benzina di tot centesimi
al litro”, il cittadino può gradire oppure no, ma capisce perfettamente di che
cosa stiamo parlando. Ma che cosa può capire se gli prometto “l’avvio della
universalizzazione delle indennità di disoccupazione”? O se gli garantisco
“avvio della spending review con il sistema delle autonomie e definizione di
piani di riorganizzazione di ogni Pubblica Amministrazione” ? O se gli prometto
un “programma pubblico-privato per la riqualificazione del costruito” ? O se mi
limito a dire che farò una legge, o introdurrò nuove norme, su un problema, un
ambito, un tema?
Gli “8 punti” di Bersani
grondano di leggi, norme, misure, piani, revisioni e rivisitazioni su tutto e
su tutti: “misure per la tracciabilità”, “rivisitazione delle procedure di
Equitalia”, “revisione degli emolumenti”, “legge sui partiti”, “legge sulla
corruzione”, “norme efficaci sul voto di scambio” “norme sui conflitti di
interesse”, “norme contro il consumo del suolo”, “norme sulle unioni civili”,
“norme sull’acquisto della cittadinanza”, “contrasto all’abbandono scolastico”,
“piano bonifiche per lo sviluppo delle smart grid”. Ma a chi parlate? E che
cosa credete di comunicare, se non la vostra pretesa di occuparvi un po’ di
tutto, e quindi la nostra certezza che finirete per combinare ben poco?
Di questa farraginosità
degli 8 punti del programma di Bersani si è accorto persino il sindaco Pd di
Padova, che in direzione ha detto senza tanti giri di parole (cito testualmente
dalla trascrizione del suo intervento): “I punti proposti da Pierluigi, però,
non sono 8, ma 50. Come li comunichiamo? Faccio un esempio: la campagna
elettorale di Berlusconi si è basata fondamentalmente sulla restituzione
dell’Imu e sull’eliminazione delle tasse per chi assume i giovani. (…). Gli 8
punti (di Bersani), ognuno dei quali si articola in 5 o 6 proposte, sono
secondo me incomunicabili. Ha ragione il sindaco di Bari quando dice che oggi
la proposta politica e la sua capacità di essere comunicata coincidono, hanno
la stessa importanza”.
Da un programma di
governo, tanto più se si tratta di un governo che difficilmente governerà a
lungo, non ci aspettiamo che sia zeppo di buone intenzioni, di dichiarazioni di
sensibilità e di interesse, tanto più che la maggior parte di tali intenzioni e
dichiarazioni le abbiamo già sentite innumerevoli volte e ogni volta, arrivati
al dunque, cioè al governo del Paese, le abbiamo viste sciogliersi come neve al
sole. E questo sempre, a sinistra, come a destra, come al centro. No, quel che
chiediamo a un programma di governo è di indicare poche cose, ma che siano
chiare, ben definite, fattibili, e davvero utili al Paese. Alcune di queste
cose, a mio parere, sono presenti nel programma elettorale del Pd, altre in quello
del Pdl, altre in quello del Movimento Cinque Stelle. Altre ancora non stanno
in alcun programma, perché sono impopolari.
Quel che manca non sono
le idee, ma un gruppo dirigente capace di scegliere le cose da fare e quelle da
non fare. Un leader e una squadra che non fabbrichino i programmi politici al
servizio delle alleanze che intendono costruire, ma che costruiscano le
alleanze al servizio del programma che intendono realizzare.
Un sogno?
A Giorgio Napolitano
l’ardua sentenza.
http://www.lastampa.it/2013/03/08/cultura/opinioni/editoriali/gli-otto-punti-incomunicabili-del-pd-lFQFxeguPAyelQetJhDzVL/pagina.html
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