La povertà di Laura Boldrini? Non è quella di Papa
Francesco
Federico Pichetto
domenica 17 marzo 2013
C’è una parola che, come poche, da oltre cinquant’anni
ha la capacità di sollevare sospetti e divisioni, è la parola “povero” o - nel
suo sinonimo più politicamente corretto - “ultimo”. In questi giorni, complice
la forza del linguaggio di papa Francesco e l’elezione dell’onorevole Boldrini
a presidente della Camera, questi termini hanno ripreso il centro dell’attenzione:
Francesco auspica la Chiesa dei poveri, Boldrini la Repubblica che non si
dimentica di chi è senza futuro e senza speranza. Ma siamo proprio sicuri che
si stia parlando delle stesse persone?
Nella tradizione corrente i “conservatori” hanno
sempre definito la povertà in senso ampio come povertà spirituale o povertà
umana, mentre i “progressisti” si sono sempre lanciati sul significato sociale
di tale parola. C’è però un altro significato di questo termine che troviamo
nel suo stesso originale greco: ptokos. Il ptokos del mondo greco è l’indigente, il mendicante mentale,
colui che ha bisogno dell’altro per compiersi. Nei Vangeli i poveri sono i ptokoi,
coloro che hanno bisogno dell’alterità per essere persone vere e compiute. Gesù
non solo non dichiara guerra a questa condizione, ma la ritiene necessaria per
entrare nel Regno dei Cieli. O uno
concepisce se stesso come “mancante, incompiuto, bisognoso” oppure concepisce
sè come “sazio”, “pieno”, “bastante a se stesso”.
La Chiesa di oggi, dice Papa Francesco, non è povera
perché è autosufficiente, autoreferenziale, “bastante a se stessa” e questo la
fa essere lontana dall’originale povertà di ogni uomo, di cui la povertà
materiale è il segno più commovente e decisivo per ognuno di noi. Una Chiesa non è povera quando pensa agli
altri, “riducendosi ad una Ong pietosa”, una Chiesa è povera quando riprende
consapevolezza del suo essere mancante e bisognosa.
A ulteriore riprova bisogna evidenziare che dalla
parola ptokos, nelle lingue neolatine, deriva il genere picaresco, un
romanzo che ha per protagonista il mendicante povero nelle sostanze, ma - ancor
di più - negli affetti. Se poi andiamo ancora più nello specifico, l’altro
termine usato nel Vangelo per indicare i poveri è “piccoli”, i mikroi,
coloro che hanno bisogno di crescere. Fondendo questi due elementi è ancora più
chiaro che il povero, indipendentemente
dalle sostanze in suo possesso, è colui che deve crescere nell’amore, colui che
ancora deve imparare ad amare. È questa consapevolezza, “noi dobbiamo ancora
imparare ad amare”, che forgia la società e rende capaci di perdono e di scelte
nuove. Per questo certe battaglie (dai matrimoni omosessuali alla fecondazione
assistita fino al divorzio e all’aborto) prima di essere un problema morale
sono un problema di “arroganza dell’amore”, di chi non vuole definire sé come
una persona che deve crescere nell’amore ed imparare ad amare.
La Chiesa
dei poveri è questa, è la Chiesa che sa che tutta la vita dipende dalla
posizione del cuore e dal nostro essere rivolti verso Cristo. Come faceva Francesco con la Sua Parola, come fa oggi il Papa con la sua
costante radicalità sfidando le misure borghesi di ognuno di noi. Una Chiesa
fatta di sani o di gente che aspetta di essere sana per farsi compagnia, non è
cristiana, è una Chiesa da ricchi, da sazi, da soddisfatti di sé.
Una Chiesa
molto comoda per la Boldrini e la sua mens rivoluzionaria, dove la
povertà è un problema sociale risolvibile attraverso l’opera della politica e
non una condizione dell’uomo, che rende
l’uomo se stesso e che provoca gli altri uomini a mettersi in cammino per
crescere nella carità e nella giustizia.
La Boldrini vuole coprire con le parole il dramma
della vita, papa Francesco lo vuole riaprire per permettere al nostro cuore di
crescere e di diventare grande. Ancora una volta Marx e la realtà si giocano
una grande partita da cui, come sempre, non dipende la riforma della Chiesa o
dell’economia del mondo, ma il modo con cui io domani avrò il coraggio e la
forza di dire ti amo alla persona che mi accende il cuore, nella consapevolezza
di essere anch’ io un povero ptokos come tutti gli altri.
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