L’occhio
stupito del bambino, il dolore del migrante, la ricchezza inesplorata del
disabile, la buona politica che è speranza e passione, l’antifascismo a cui
dobbiamo tutto, i talenti che se ne vanno, le donne che subiscono violenza,
quelli che cadono e non si rialzano, i detenuti in condizione disumana, gli
anni trascorsi a rappresentare i diritti degli ultimi, e naturalmente la
Costituzione che è la più bella del mondo, i morti di mafia, don Ciotti,
l’Europa crocevia di popoli, il Mediterraneo con troppi morti…. Pare che si
siano messi in due, la pasionaria e il poeta e suo mentore Vendola, a scrivere
il discorsetto di insediamento, appena capito che il colpo era riuscito, in due
per mettere insieme tanti luoghi comuni e tante parole vuote, alcune perfino
belle e giuste, per carità, prese una alla volta, ma tutte assieme schiacciate
a non significare nulla, a non scegliere nessuno, in quella melassa buonista,
pacifista, tardo internazionalista, immobilista, in due parole comunista
all’italiana, della quale la vita e le opere di Laura Boldrini, neo presidente
della Camera, sono intrise.
Volentieri
non mi unisco al santino che dipingeranno quasi tutti, alla beatificazione già
partita massiccia sul web; sono pronta a finire ancora una volta nell’elenco
dei reprobi dichiarando che il neo presidente è un funzionario delle Nazioni
Unite che negli anni trascorsi a occuparsi di rifugiati non si è mai comportata
da italiana che ha a cuore il bene del suo Paese, al contrario ha messo insieme
spirito anti italiano e furore antiberlusconiano, guadagnandosi così
evidentemente ampi meriti in patria e all’estero. Cito a testimonianza la data
fatidica del 2009 quando la signora a coronamento dei suoi attacchi al governo
italiano colpevole di difendere le frontiere da sbarchi continui, ma anche
impegnato a farla finita con lo sfruttamento dei disperati che si imbarcano
sulle carrette del mare, si guadagnò la copertina di Famiglia Cristiana. Come
scrisse il militante direttore, don Antonio Sciortino: «Laura Boldrini è
l’italiana dell’anno». Motivo? «Il costante impegno, svolto con umanità ed
equilibrio, a favore di migranti, rifugiati e richiedenti asilo e soprattutto
la dignità e la fermezza mostrate nel condannare i respingimenti degli
immigrati nel Mediterraneo, voluti dal governo Berlusconi». Ecco.
Sarà bene
ricordare che in quei giorni e da allora in continuazione la signora Boldrini
ha fatto la testimonial di sé stessa in tv, e che la cosa più gentile che le si
sentiva dire è che «i militari italiani adottano un comportamento inumano». Non
credo che leggerete nelle biografie ufficiale che si è sempre sentita la
paladina di un’Onu organismo imparziale e onnisciente, che non si può
criticare, contestare, al quale non si può rispondere. Non è così, vista la
quantità, almeno il quaranta per cento, di Stati non democratici che ne fanno
parte, e che vengono cordialmente invitati a presiedere le Commissioni per i
Diritti Umani, o che la fanno da protagonisti nelle presunte conferenze contro
il razzismo dove si fa invece professione di razzismo, terrorismo,
antisemitismo.
Ma l’elenco
potrebbe essere lunghissimo, uno per tutti lo scandalo del cosiddetto «Oil for
food», il petrolio in cambio di cibo e medicinali al popolo iracheno, che finì
per metà nelle tasche di Saddam e compagni, per l’altra metà in quelle di
funzionari delle Nazioni Unite, su fino all’ufficio dell’allora Segretario
generale. Non uno di questi potenti signori è stato in grado di risolvere una
crisi internazionale, e per qualcuno si potrebbe parlare di curriculum imbarazzante.
Ma storie censurate abbondano anche sull’Alto Commissariato per i rifugiati, in
rappresentanza del quale la Boldrini ha costruito il suo lancio nella politica
attiva, e che periodicamente denuncia la disumanità dei militari italiani verso
i profughi. Una per tutte. Nel 1997 ci fu una manifestazione di protesta contro
l’amministrazione del campo profughi di Kakuma, nel Nord-Ovest del Kenya, e un
gruppo di rifugiati distrusse un capannone che era stato costruito dall’Acnur,
trafugando razioni alimentari dai depositi. L’Acnur decise di sospendere la
distribuzione di cibo a tutti e di licenziare i rifugiati suoi dipendenti.
L’applicazione di queste pesantissime misure non fu risparmiata a nessuno degli
oltre venticinquemila del campo, neanche alle donne incinte o ai bambini. Ma la
cosa più terribile, secondo quanto scrive Francesco Verdirame, docente a
Cambridge, è che «l’evento passò inosservato, così come altri casi di punizioni
collettive in campi profughi in Africa orientale e occidentale».
Di questa
cultura dell’impunità, il ditino alzato perennemente contro l’Italia che tenta
di difendere confini fragili, di non farsi invadere, di non far imbrogliare
disperati che sperano in una vita migliore e finiscono a lavare vetri o a
rubare, è fatta la storia da maestrina dalla penna rossa di Laura Boldrini.
di Maria Giovanna Maglieda "liberoquotidiano"
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