LETTERA A MIA FIGLIA
di Antonio Socci
È uscito il mio libro “Lettera a
mia figlia (sull’amore e la vita al tempo del dolore)”, (Rizzoli). Quello che
segue è il capitoletto finale del libro
«Mentre
ancora parlava, dalla casa del capo
della
sinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia
è morta.
Perché disturbi ancora il Maestro?”.
Ma Gesù,
udito quanto dicevano,
disse al capo
della sinagoga: “Non temere,
continua solo
ad aver fede!”. […] Presa la
mano della
bambina, le disse: “Talità
kum”, che
significa: “Fanciulla, io ti dico,
alzati!”.
Subito la fanciulla si alzò.»
Mc 5,35-43
Carissima Caterina,
c’è sempre un immenso struggimento in ciò che un padre vorrebbe dire a
una figlia e ancora di più nel nostro caso perché quello che ci è accaduto e
che viviamo ha ingigantito tutti i sentimenti e ora non riescono più a stare
dentro le parole.
E nemmeno dentro ai silenzi.
È difficile per tutti, in questi casi, aprire il proprio cuore perché
quei sentimenti straripano fuori alla rinfusa e cozzano fra loro. E lo è per me
specialmente, perché conosco la tua assoluta refrattarietà a questo tipo di
confessioni e dichiarazioni. Che certo tu, per sottrarti alla commozione,
bolleresti – con un incurante sorriso – come «enfatiche».
Tu che ridendo mi «ordini» sempre di volerti bene stando zitto. Hai
ragione. Ma voglio abbracciarti egualmente con la gioia di queste parole,
perché quel giorno atroce pensai…
“Non servon
più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la
luna, smontate pure il sole;
svuotatemi
l’oceano e sradicate il bosco;
perché ormai
nulla può giovare” (1).
Mentre oggi che sei tornata, oggi che ci sei stata restituita, su ogni
alba trovo scritto il tuo nome, per me ogni sole a mezzogiorno brilla con i
tuoi occhi, ogni brezza mi ricorda il tuo pianto, ogni notte fa riecheggiare il
tuo canto e il tuo sorriso illumina e cura tutte le mie ferite.
No, la Felicità non si è scordata di noi. È sulla strada, sta tornando,
ci ha già fatto arrivare i suoi messaggeri e io su ali d’aquila andrò a
cercarla affinché non si attardi.
Perché affretti il suo passo chiederò ai venti di aiutarne il cammino,
alle stelle di segnarle la via, incaricherò la luna di non farla assopire, alla
primavera domanderò di vestirla a festa.
Colui che ha promesso, Colui a cui sei cara, manterrà la Sua parola,
perché essa non può fallire, è stabile più della terra, certa più della luce
del sole. Perché è già realtà.
Supplicherò tutte le schiere degli angeli perché la loro Regina ci
renda pronti e degni. Perché affretti i giorni della consolazione. Mentre noi –
che apprendemmo un po’ di umiltà dal dolore – impariamo ora la saggezza dal tuo
silenzio, Caterina, la fede dal tuo coraggio, la speranza dalla tua allegria,
la carità dalla tua pazienza.
Tua mamma un giorno ti ha detto: «Cate, sei un mito, per me. Sei il mio
mito!». E tu sai di esserlo per tutti noi. Sei il nostro orgoglio e la nostra
forza. Non finirò mai di ringraziare il Cielo per averci dato una figlia come
te. E per averti ridonata a noi quando sembrava che ci fossi stata tolta.
Io ho riempito il mondo del tuo nome, l’ho scritto in cielo e in terra,
sui libri e nei cuori, lo scriverò su ogni fiore che spunterà la prossima
primavera e lo farò sussurrare al mare.
“Il più bello
dei mari è quello che non navigammo.
[…] I più
belli dei nostri giorni
non li
abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei
dirti di più bello
non te l’ho
ancora detto” (2).
il tuo babbo
(1) Wystan Hugh Auden, Blues in memoria, in La verità, vi prego,
sull’amore, Adelphi 1994.
(2) Nazim Hikmet, Il più bello dei mari, in Poesie d’amore, Mondadori
2002
Nessun commento:
Posta un commento