mercoledì 15 giugno 2011

PORTARE CRISTO A MILANO



La missione di Scola:
portare Cristo a Milano

di Giuliano Ferrara


Amore e carità: la città sotto la sua guida dovrà far scuola in linea con la dottrina Ratzinger
Portare Cristo in città.




È la missione del prossimo arcivescovo di Milano, allievo di don Giussani, il prete brianzolo che diede vita a Comunione e Liberazione. Angelo Scola si darà da fare.

È un vecchio amico di Ratzinger, è una persona di valore, un teologo e un pastore d’anime esperto. Essersi formato in un movimento carismatico di fine Novecento è un segno forte di appartenenza alla chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Sono i due papi che hanno incorporato i movimenti, espressioni di confine di crisi della realtà cattolica, nel suo centro: il magistero, la prassi pastorale, la relazione della fede con la ragione, con il mondo dell’uomo e della donna liberati, che vogliono sapere tutto, diradare il mistero dell’esistenza, autodeterminarsi e vivere senza il sostegno della tradizione.

Uomini e donne sempre alla ricerca di un’etica laica in grado di seppellire, magari sotto il peso schiacciante di un moralismo e di un solidarismo fanatici, politicamente corretti e perfino neo puritani, l’antico senso cattolico del peccato. Milano è una città moderna, si sa. Il denaro e il lavoro a Milano contano. Contano la tecnica e la scienza, e l’ideologia che ne discende: è qui a Milano, dall’interno di un potente complesso scientifico e sanitario cattolico come il San Raffaele, che si promette agli uomini non più la cura pietosa ma la guarigione prodigiosa, non tanto la salvezza dell’anima quanto l’immortalità virtuale dei corpi, una imponente fornitura di pezzi di ricambio genetici e di soluzioni salutiste capace in mettere in soffitta, a lasciarsi divorare dalla critica roditrice dei topi, intere biblioteche di teologia del dolore, del limite e della contingenza del mondo. Questo slancio secolarizzatore, senza apprezzabili differenze tra la destra e la sinistra politica, è la vera impronta della città ricca, industriale, tecnologica e terziaria, europea e occidentale.

Riportare Cristo in Occidente è il compito al limite delle umane possibilità che il Papa ha assegnato, come missione di indagine e di studio, a un pontificio consiglio (subito ironicamente ribattezzato come «ministero per l’attuazione del programma»).

Il cardinale Scola dovrà inevitabilmente fare della sua Milano un caso di scuola in questo ambito. La Chiesa non ha altra priorità che l’amore, la carità. Non ha strumenti superiori alla preghiera, alla cura liturgica, alla comunione dei santi e all’amministrazione dei sacramenti. Ma la Chiesa si comprende come umano-divina, discende in linea diretta dall’incarnazione, dunque ha da sempre uno spiccato profilo sociale, una funzione pubblica e civile se non politica.

Fu il vescovo di Milano chiamato a reggere il Concilio Vaticano II, Paolo VI, a definire la politica come «la più alta forma di carità».

E l’altro grande predecessore del nuov o arcivescovo, il cardinal Martini, gesuita, ne chiede addirittura un altro, di Concilio, per realizzare la promessa riformatrice, inappagata, di una definitiva riconciliazione dei cattolici con il mondo moderno e post moderno.

Scola si districherà tra rilevanti e molto diverse eredità. Ho l’impressione, ma ovviamente posso sbagliare per difetto di sensibilità cristiana e specificamente cattolica, che il futuro pastore dei milanesi dovrà, per i profili laici che sono parte della missione di un vescovo, scegliere tra una «strategia della riconciliazione» e una «strategia della contraddizione ».

Recenti tendenze della migliore teologia di scuola ambrosiana hanno messo l’accento sul carattere forte, identitario, che è insito nell’idea stessa di testimonianza cristiana.
Il che vuol dire che la Chiesa degli ultimi, dell’accoglienza solidale, la Chiesa buona e samaritana delle beatitudini evangeliche, quella che va incontro al mondo moderno com’è, e lo consola, non può risparmiarsi anche la fatica di correggerlo, di tentare di emendarlo con i suoi carismi e con la forza laica del suo pulpito, della sua cultura etica e sociale.

La famiglia in stato avanzato di decomposizione, l’educazione imperniata su un relativismo assoluto inteso come ideologia di stato, e la vita umana negata o maltrattata sono i campi di battaglia in cui, con l’aiuto della fede e della scrittura, si decide tutto ciò che non è sola fede e sola scrittura.
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DA ILGIORNALE

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