giovedì 2 giugno 2011

LA CHIESA IN CERCA DI UN PARTITO?

di ANDREA TORNIELLI




Nuova generazione di politici cattolici cercasi. È l’appello ripetuto ormai con insistenza dal Papa e dalla Conferenza episcopale italiana. L’episcopato e più in generale il mondo cattolico avvertono un crescente disagio nei confronti della politica nostrana, spesso ridotta a «drammatico vaniloquio», come l’ha definita la scorsa settimana il cardinale Bagnasco.

Nelle recenti elezioni amministrative, i «valori non negoziabili» (vita, famiglia, libertà di educazione), ricordati anche in questa occasione dal quotidiano cattolico Avvenire, non sono stati in realtà così centrali.

È vero, come è stato sottolineato, che i grandi Comuni possono diventare un laboratorio modello per iniziative quali la sperimentazione della pillola abortiva, i registri per il testamento biologico o per le unioni di persone dello stesso sesso. Ma questo elemento non è stato determinante nelle scelte dei cattolici. Lo dimostra il dato di Milano, dove lo stesso cardinale Tettamanzi ha ironizzato sui toni apocalittici di Lega e Pdl definendo una boutade la paura di «zingaropoli» a soli cinque giorni dal voto, e dove una parte significativa di quell’elettorato ha sostenuto Giuliano Pisapia. Il quale, peraltro, aveva nella sua lista undici candidati direttamente riconducibili al mondo cattolico, contro i sei del sindaco uscente Letizia Moratti.

Sulla scelta di penalizzare il centrodestra, e in particolare il suo leader sceso in campo personalmente a Milano, ha certamente pesato il caso Ruby, che nei mesi scorsi è stato motivo di imbarazzo e di una crescente freddezza dei vertici della Cei nei confronti di Palazzo Chigi. La sconfitta della Lega insieme a quella di Berlusconi dimostrano però che ancor di più del «bunga bunga» sul voto ha influito un’azione di governo concentrata sulla soluzione dei problemi personali del premier, percepita come distante dalle esigenze concrete delle famiglie anche dall’elettorato cattolico. Proprio una settimana fa, nel discorso tenuto in occasione della preghiera per l’Italia, lo stesso papa Ratzinger in presenza di tutti i vescovi della Penisola ha sottolineato con forza il problema della disoccupazione e della precarietà del lavoro, «che nei giovani compromette la serenità di un progetto di vita familiare».

L’epoca del partito unico è tramontata, lo ha ribadito nei giorni scorsi anche il segretario della Cei Crociata, che ha però invitato i politici cristiani a tener viva quell’unità che scaturisce dalla fede comune e dalla condivisione dei principi e valori della dottrina sociale della Chiesa. I politici che più tengono a sottolineare il loro legame organico con il mondo cattolico oltre a non avere più un partito di riferimento, nell’attuale quadro bipolare hanno anche qualche difficoltà ad accasarsi con la loro precisa fisionomia. Nel centrosinistra, caratterizzato dal prevalere di una cultura radicale sui valori «non negoziabili», risultano spesso afoni e si vedono talvolta costretti a migrare altrove per preservare la loro identità. Il laboratorio politico del Terzo Polo appare ancora confuso e poco rilevante. Mentre nel centrodestra, approdo giudicato dai vertici della Santa Sede e della Cei più consono per la difesa di alcune istanze etiche, finiscono per fare da stampella agli stili di vita del premier con motivazioni teologiche contro il «moralismo», e convivono con l’estremismo di chi fa leva sulla «paura dello straniero» e del «diverso».

La Chiesa italiana negli ultimi anni è sembrata stringere col Cavaliere di Arcore una sorta di Patto Gentiloni, simile a quello che un secolo fa vide l’elettorato cattolico sostenere, e far vincere, i candidati liberali che si erano impegnati a difendere l’unità della famiglia e la scuola non statale. Il prevalere nel centrosinistra delle forze alternative e più radicali non lascia immaginare cambi di rotta dietro l’angolo in questa impostazione. E così, di fronte al berlusconismo ormai logorato, le gerarchie che negli ultimi anni hanno giocato un ruolo da protagoniste intervenendo direttamente nell’agone politico, ora sperano che una nuova generazione di cattolici si affacci nella vita pubblica trovandovi cittadinanza e possibilità di incidere nelle scelte, come accadde per gli statisti che si formarono nella Fuci di Giovanni Battista Montini durante gli Anni Trenta. Una classe dirigente che nell’immediato dopoguerra ha contribuito a far grande l’Italia. Ma da allora tante cose sono cambiate nella nostra società e anche nella Chiesa.

La Stampa, 2 giugno 2011

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