martedì 19 aprile 2011

ULTIMA CHIAMATA PER IL TETTA



Perché si può criticare
Tettamanzi
senza malizia


Una questione ambrosiana esiste, e pesa nel mondo cattolico come un segno di contraddizione, un segno che avrà anche i suoi significati positivi, non c’è da dubitarne, ma non manca di lati negativi, fiacchi, ipocriti, insipidi, tiepidi. Qualche mese fa Giuliano Ferrara ha sollevato con toni pacati e chiari il problema delle Chiesa che afferma un cristianesimo “religioso”.


"Se fosse possibile criticare la curia milanese e i suoi più recenti titolari, senza malizia e senza vedersi attribuire malanimo?
Partendo, per esempio, da Ambrogio che era un santo statista, un facitore di civiltà, come i suoi successori della Riforma cattolica cinquecentesca, e così occupava con estrema autorevolezza uno spazio pubblico di cui la chiesa, divenuta religione di stato, non aveva paura. E poi da Paolo VI, che fece della contraddizione e della complessità, da arcivescovo della città e poi da Papa, una ricchezza teologica ed umana da coltivare di fronte alla grande deriva della seconda metà del secolo scorso; anche lui, come Ambrogio, agiva, diceva e significava qualcosa.

Quella bella ma fragile persona che è Dionigi Tettamanzi, invece, in una con testimoni altrettanto autorevoli, per esempio il cardinal Martini, dello spazio pubblico della religione diffida. Non importa che gli ultimi due papi si siano consacrati anima e corpo alla riaffermazione della libertà di culto e di pensiero e di prassi cristiana; a Milano la fede autorizzata dal clero si spiritualizza ogni anno di più, la materialità anche civile della presenza religiosa, così corposamente e sapidamente evocata nelle splendide memorie del cardinale Giacomo Biffi, uno straordinario parroco lombardo e un grandissimo italiano, si dissolve in prediche solidaristiche, sociologiche, pauperistiche, povere di visibilità cristiana e ricche di suggestioni tipiche dell’establishment politico cattolico-democratico.

Così Tettamanzi è e resta quello del convegno di Verona, che cita contro Ruini e Benedetto XVI Ignazio d’Antiochia per affermare il bello di un cristianesimo che preferibilmente ha pudore nel dire sé stesso ( e infatti il sagrato del Duomo di Milano è stato ospite solitario e muto delle bottiglie d’acqua per Eluana Englaro, ma tribuna possente e recettiva per le preghiere islamiche di protesta religiosa e politica)."

Due anni fa con molto meno garbo Amicone sul Foglio scriveva, fra l’altro:

Eminenza carissima, cardinale Dionigi Tettamanzi, permetta qui una confessione pubblica: sono un cattivo cattolico, le parole del mio Vescovo mi parvero negli ultimi tempi come l’eco lontana di un pastore salito sull’Alpe e rimasto lassù, mentre noi qui, pecore smarrite restiamo a brucare terra nera, spazzata dalle fatiche della quotidianità e dalle angosce per il futuro nostro e, soprattutto, dei nostri figli. (…) Ma c’è disorientamento quando dal Duomo si diffonde il sospetto che nella diocesi più grande del mondo Cristo si è fermato nei modi in cui non si è fermato neanche a Eboli.

Perché il popolo non ha quasi più sentore dell’esistenza di una chiesa locale? Perché le Sue parole suscitano discussione quasi esclusivamente politica e vengono largamente ignorate dall’uomo della strada? Milano, la più grande diocesi del mondo, sembra subire silenziosamente il destino di un declino e di una protestantizzazione del cristianesimo.

Di solidarietà e sobrietà, Eminenza carissima, lei parlò all’omelia di Natale dello scorso anno, ci tornò sopra in una prima serata di primavera televisiva in cui fu ospite di Fabio Fazio e infine ne ha parlato di nuovo nella sua predica di Sant’Ambrogio. Lei ripete che “la comunità cristiana può e deve diventare molto più sobria”. Che “c’è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà”. Che “con la sobrietà è in questione un ‘ritornare’” perché “ci siamo lasciati andare a una cultura dell’eccesso, dell’esagerazione” e “soprattutto la sobrietà è questione di ‘giustizia’, siamo in un mondo dove c’è chi ha troppo e chi troppo poco e…”.

Uffa. Ma quanto ancora sentiremo la volgarizzazione delle tesi di Erich Fromm, delle confetture di Medici senza frontiere, delle denunce antimafia contro i pericoli delle infiltrazioni per qualunque cantiere aperto per modernizzare la città e dare lavoro alla gente?

Eminenza, non è l’attenzione agli ultimi e il senso della solidarietà che mancano. Semmai ciò di cui si sente la mancanza è una presenza piena di ragioni, di metodo e di speranza cristiana. Sentiamo il generico richiamo a Cristo, ma non lo vediamo affermato in una proposta puntuale, che irradi intelligenza, conoscenza, fascino, e, perché no, potenza vitale.

Che ne è delle chiese e degli oratori ambrosiani dove una volta la gioventù incontrava il prete che lo trascinava in un’avventura esistenziale, piena di ragioni e di vita? Oggi gli oratori vengono dati in affitto ai club calcistici e al posto dei biliardini degli anni sessanta offrono party umanitari e discoteche allo scopo di attirare una certa “clientela”. Oggi i catechismi vengono spalmati per anni e anni, e sacramenti come la cresima vengono rinviati perché, pensano i preti, così almeno si riuscirà a tenere i ragazzini un po’ più impegnati e a trattenere più giovani in chiesa. Il risultato naturalmente contraddice i programmi: ragazzini e giovani se ne vanno anche a costo di perdere la confermazione e tutti gli altri sacramenti.

Forza, Eminenza carissima, non si faccia rinchiudere nel capitolo della teologia moralista, civilista e borrelliana. Lei sa, meglio di noi pecorelle erranti e sghimbesce, che il cristianesimo esige coraggio, testimonianza e profezia, innanzitutto dai suoi Pastori.

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