giovedì 31 marzo 2011

LE VITE DEGLI ALTRI



Undicimila motivi
per una riforma

Le intercettazioni illecite di Bari spiegano il problema della giustizia

Il tribunale di Bari ha dichiarato inutilizzabili undicimila intercettazioni, perché non erano sufficientemente motivate.

L’allora procuratore Michele Emiliano, oggi sindaco del capoluogo pugliese, aveva affidato le intercettazioni dei fratelli Tarantini a un soggetto estraneo alla polizia giudiziaria, senza chiedere la necessaria autorizzazione.

 A dieci anni di distanza, dopo che i testi di quelle intercettazioni illecite sono stati pubblicati da tutti i giornali, dopo che carriere sono state distrutte mentre altre – a cominciare proprio da quella di Emiliano – si sono costruite su quelle propalazioni, si viene a sapere che quelle stesse intercettazioni non possono essere impiegate per lo scopo formale per il quale erano state disposte: cioè la prova di presunti reati nel corso di un processo penale.

Da questo episodio emergono alcune amare verità.

In primo luogo è evidente che la procura ha commesso un errore, probabilmente addirittura un abuso, incaricando per operare intercettazioni un soggetto di sua scelta, senza disporre della necessaria autorizzazione. E di questo abuso non risponderà nessuno, perché l’unica casta davvero coperta da impunità è quella giudiziaria.

In secondo luogo si sono determinati danni consistenti per gli imputati, che sono stati condannati dal circuito mediatico-giudiziario, anche se, in assenza di prove valide, probabilmente saranno assolti dopo un calvario decennale. Se anche fossero colpevoli, il danno sarebbe patito da altri, cui verrebbe negata giustizia per colpa della procura: la quale però, come sempre, ne uscirà senza alcuna responsabilità, né civile né tantomeno penale.

Anche il fatto che le intercettazioni irregolari siano state ammesse nelle udienze preliminari, ed escluse solo in sede processuale, dovrebbe far riflettere su una certa propensione della magistratura giudicante a non contrastare quella inquirente, anche quando viola le regole.

Insomma, si vedono qui con chiarezza
le conseguenze della mancata separazione delle carriere,
dell’assenza di una ragionevole limitazione delle intercettazioni,
di un meccanismo che sanzioni gli eventuali abusi dei magistrati (che poi magari ne approfittano politicamente).

Chi continua a opporsi a qualsiasi riforma della giustizia è evidentemente convinto che le cose vadano bene così, che un magistrato possa commettere abusi, sbattere in prima pagina intercettazioni ottenute illecitamente, e alla fine ottenerne anche un consenso politico.

Chi invece è davvero solo preoccupato che la riforma sia equilibrata e volta a tutelare interessi generali, guardi con attenzione alla vicenda barese e spieghi in che modo le controproposte che avanza sono efficaci per evitare che lo scempio si ripeta e si moltiplichi. Anche quando Berlusconi non c’entra niente.

Tratto da Il Foglio del 30 marzo 2011

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