A TAVOLA CON VITTORIO MESSORI
Andrea Tornielli interroga Vittorio Messori
(…) L’ex presidente del Consiglio Romano Prodi ha rilasciato un’ampia intervista a Famiglia Cristiana. Mi piacerebbe che ci soffermassimo su due affermazioni che ha fatto. La prima, ovviamente riferita al caso Ruby e al comportamento del premier Berlusconi è questa: «L'uomo politico deve essere giudicato dai fatti. Ma tra i fatti c'è prima di tutto l’esempio. L’esempio di un politico incide sui comportamenti quotidiani di tutti. Profondamente».
Ho letto questa risposta di Prodi, e non ti nascondo di aver reagito con un sorriso. Bada bene, ne abbiamo già parlato piuttosto diffusamente nella nostra prima conversazione a tavola: io sono pienamente d’accordo con il presidente della Cei, il cardinale Bagnasco, quando afferma che un uomo politico, un rappresentante delle istituzioni, ha il dovere di comportarsi (almeno pubblicamente) in modo sobrio e onorevole, anche in considerazione di ciò che in quel momento è chiamato a rappresentare. E dunque non vorrei che qualcuno leggesse ciò che sto per dire come un’assoluzione del Cavaliere, che invece ha delle responsabilità gravi che ogni persona oggettiva vede e depreca, non per moralismo ma per senso di opportunità, non per fariseismo ma per realismo. Però, ti dicevo del mio sorriso per quanto detto da Prodi. Beh, Andrea, abbiamo appena parlato del Risorgimento, dei Padri della Patria, e forse gioverà ricordare che Camillo Benso conte di Cavour, Giuseppe Garibaldi e per non parlare di Vittorio Emanuele II sono stati tutti dei gran puttanieri… pardon, libertini! E lasciamo perdere il quarto Padre della Patria, Giuseppe Mazzini, che nonostante si vantasse del suo ascetico celibato, si diede molto da fare con le londinesi, tanto che gli sono attribuiti molti figli “naturali” tra cui Ernesto Nathan, il primo sindaco massone ed ebreo (da parte di madre) di Roma. Mazzini fu comunque assai peggio di un libertino: fu il freddo mandante di omicidi, ha sulla coscienza molti morti nelle stolide rivolte che fomentava pur sapendo che sarebbero finite in inutili massacri e morì con sul capo un paio di giustificate condanne a morte. Ecco, se fosse applicato il principio di Prodi che un buon politico deve dare sempre e solo un buon esempio di vita, che dovremmo fare con i festeggiamenti del 17 marzo e i nostri glorificati Padri della Patria, dalla moralità così poco edificante?
Ti volevo però far reagire anche su un’altra affermazione di Prodi a Famiglia Cristiana. Pur senza nominarlo, l’ex premier ha infatti ironizzato su monsignor Rino Fisichella, il quale, dopo la bestemmia contenuta nella barzelletta di Berlusconi aveva detto che questa andava «contestualizzata». «Fin da ragazzo – ha detto Prodi – mi è stato insegnato da autorevoli uomini della Chiesa che non si può agire con la morale a seconda delle situazioni. Quando sento dire che certi atti dipendono dal contesto mi chiedo: cos’è cambiato dall'insegnamento che ho avuto a oggi? Conservo ancora gli appunti di quegli insegnamenti». Che cosa ne pensi?
Non ti posso nascondere la mia sorpresa. Sono letteralmente saltato sulla sedia. Mi permetto di consigliare a Prodi di rivedere i suoi appunti, e mi piacerebbe sapere quali siano questi autorevoli uomini di Chiesa che gli hanno trasmesso un simile insegnamento, perché è vero esattamente l’opposto: nel sistema etico cattolico, i principi generali e astratti della teologia morale si applicano poi, in modo equo ed adeguato, alle singole persone, alle situazioni concrete È la famosa casistica o “casuistica” che non fu solo dei gesuiti barocchi (quelli con cui polemizzavano i giansenisti) ma è parte essenziale della morale cattolica. Ed è quello che fa la sua gloria, la sua umanità. Il cristianesimo non è una astratta, feroce, ideologia che si abbatte comunque, sempre eguale, sulla testa della gente che è, invece, sempre diversa. No: i principi generali e universali vanno adattati alle singole situazioni, ai singoli casi. I principi non vengono rinnegati o depotenziati, ma si applicano alle situazioni particolari, tenendone conto: non è un caso che un tempo i confessori avessero accanto a loro nei confessionali delle Summae dei “casi di coscienza”. Nel caso specifico della bestemmia alla Berlusconi, monsignor Fisichella aveva perfettamente ragione a invitare a considerare il contesto.
Ma quella bestemmia resta una bestemmia… o no?
Vedi, il problema di Berlusconi in quel caso è stata la volgarità, non la blasfemia. Si è trattato di una sciocca barzelletta da bar Sport, che nel finale, per far ridere, prevedeva una bestemmia. Questa faceva parte, per così dire, della logica della presunta freddura. Una sorta di irriverente gioco di parole. Certo, non ci edifica e non ci entusiasma un presidente del Consiglio che racconta di queste storielle triviali, da padroncino col Suv parcheggiato sul marciapiede e l’aperitivo sorbito nel cerchio dei tifosi, in attesa di andare ad imprecare e a insultarsi allo stadio. Ma non intendeva offendere Dio, voleva fare lo spiritoso, e lo ha fatto in modo riprovevole. Ma poiché è vero che ogni atto umano va giudicato nel suo contesto, in quel caso è evidente che non c’era la volontà di bestemmiare la Divinità ma quella di far ridere gli amici del bar Sport. Comunque, per confermare quanto sia davvero strabiliante il cattolicesimo alla Prodi, un solo esempio tra gli infiniti possibili: chi mai metterà in dubbio la validità eterna e immutabile del comandamento “non uccidere”? Ma chi sarà così astratto ed ottuso da considerare omicidi allo stesso modo chi uccide un uomo per rapinarlo o chi lo uccide travolgendolo con l’auto - in un momento di pur colpevole distrazione - mentre attraversa la strada sulle strisce? "Non rubare!" dice il Decalogo, ma una cosa è scippare la povera pensione alla vecchietta, altra infilarsi in tasca un dentifricio al supermercato... Eh sì, la “peccaminosità” delle azioni non è sempre la stessa ma dipende dai “casi”: da qui, la sacrosanta “casistica” cattolica. (…)
Tratto da “labussolaquotidiana”
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