mercoledì 2 marzo 2011

INTERNET CI RENDE STUPIDI?

Il professor Twitter

Non siamo più in grado di prendere decisioni, non riusciamo a concentrarci abbastanza a lungo per scegliere la cosa migliore, troppe informazioni ci confondono. La colpa è della “twitterizzazione” della cultura, l’ultimo atto della rivoluzione che Internet ha portato nel modo di pensare dell’uomo contemporaneo. Con un lungo articolo di Sharon Begley, Newsweek aggiunge un altro capitolo al dibattito: se e quanto il Web ci renda stupidi. Il neologismo per descrivere la cultura in cui siamo immersi, “twitterizzazione”, arriva da Twitter, il social network nato cinque anni fa e diventato famoso negli ultimi tempi anche per il suo utilizzo durante le rivolte in medio oriente e Maghreb da parte degli insorti. Twitter dà la possibilità di scrivere su una propria pagina web (visibile da chiunque) brevi messaggi di 140 caratteri. Nello spazio di un sms si può raccontare uno stato d’animo, un fatto accaduto, rimandare con un link a un articolo, un video, una foto. Contemporaneamente si può seguire chiunque nel mondo dica la sua sulla propria pagina, semplicemente cliccando sul bottone “segui” sotto il suo account. Si accede così a un flusso continuo di opinioni, battute, riflessioni e commenti, che scorrendo sotto gli occhi di chi “twitta”, danno l’idea di un mondo mai fermo, con qualcuno che ha sempre qualcosa da dire. Come gli esercizi a scuola che ci insegnavano a riassumere un racconto in poche righe, Twitter sta educando una generazione a dire tutto (e quindi spesso niente) in poche parole. L’accusa di Newsweek è che questo cumulo di informazioni in realtà ci impedisce di decidere e agire in fretta. Il paolino “vagliate tutto e trattenete ciò che vale” si trasforma spesso in “cliccate di tutto e trattenete, se ci riuscite, quel che potete”.

“I can’t think”, titola Newsweek, e “Internet ci rende stupidi?”, si chiede Nicholas Carr nell’omonimo saggio appena uscito per l’editore Raffaello Cortina. Che Internet (e più specificamente blog e social network) stia modificando il nostro cervello è evidente quando si legge, scrive Carr: “Di solito mi risultava facile immergermi in un libro o in un lungo articolo. La mia mente si lasciava catturare […]. Oggi non ci riesco quasi più. La mia concentrazione comincia a scemare dopo una o due pagine”. Un’esperienza assai più comune di quanto si pensi, se è vero che sempre più professori non riescono a far leggere libri interi ai propri studenti, come confessano alcuni docenti citati da Carr. C’è poi chi, come Joe O’Shea, studente di Filosofia premiato a Oxford con una borsa di studio, ammette che “non leggo più libri: vado su Google e posso assorbire velocemente le informazioni più importanti. Mettersi lì e leggere un libro interamente non ha senso”. Se questo è un problema di chi i libri fino a qualche anno fa li leggeva senza fatica, a maggior ragione investe i “nativi digitali”, le generazioni che, come spiegava ieri al Foglio la professoressa Anna Maria Ansaloni, abituate a pc e sms non sanno più usare il corsivo e la punteggiatura. Senza demonizzare Twitter e i suoi fratelli (strumenti fondamentali per rimanere aggiornati con fatti e avvenimenti più o meno significativi), c’è da registrare che forse dovremmo rivedere l’assunto per cui “Internet è neutro, dipende dall’uso che ne fai”. Nessun medium è neutro, spiega Carr, e anche usandolo al meglio, Internet sta cambiando il modo di pensare, da “lineare” a “reticolare”. Davanti allo schermo non leggiamo più dalla prima all’ultima parola, ma saltiamo, gettiamo uno sguardo e clicchiamo su un’altra pagina. Con questo rischio, sperimentato: tra due individui che hanno letto lo stesso testo, uno al computer e ricco di link, l’altro su carta, il secondo ricorda meglio che cosa ha letto.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/7970

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