Il professor Twitter
“I can’t think”, titola Newsweek, e “Internet ci rende stupidi?”, si chiede Nicholas Carr nell’omonimo saggio appena uscito per l’editore Raffaello Cortina. Che Internet (e più specificamente blog e social network) stia modificando il nostro cervello è evidente quando si legge, scrive Carr: “Di solito mi risultava facile immergermi in un libro o in un lungo articolo. La mia mente si lasciava catturare […]. Oggi non ci riesco quasi più. La mia concentrazione comincia a scemare dopo una o due pagine”. Un’esperienza assai più comune di quanto si pensi, se è vero che sempre più professori non riescono a far leggere libri interi ai propri studenti, come confessano alcuni docenti citati da Carr. C’è poi chi, come Joe O’Shea, studente di Filosofia premiato a Oxford con una borsa di studio, ammette che “non leggo più libri: vado su Google e posso assorbire velocemente le informazioni più importanti. Mettersi lì e leggere un libro interamente non ha senso”. Se questo è un problema di chi i libri fino a qualche anno fa li leggeva senza fatica, a maggior ragione investe i “nativi digitali”, le generazioni che, come spiegava ieri al Foglio la professoressa Anna Maria Ansaloni, abituate a pc e sms non sanno più usare il corsivo e la punteggiatura. Senza demonizzare Twitter e i suoi fratelli (strumenti fondamentali per rimanere aggiornati con fatti e avvenimenti più o meno significativi), c’è da registrare che forse dovremmo rivedere l’assunto per cui “Internet è neutro, dipende dall’uso che ne fai”. Nessun medium è neutro, spiega Carr, e anche usandolo al meglio, Internet sta cambiando il modo di pensare, da “lineare” a “reticolare”. Davanti allo schermo non leggiamo più dalla prima all’ultima parola, ma saltiamo, gettiamo uno sguardo e clicchiamo su un’altra pagina. Con questo rischio, sperimentato: tra due individui che hanno letto lo stesso testo, uno al computer e ricco di link, l’altro su carta, il secondo ricorda meglio che cosa ha letto.
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