mercoledì 30 marzo 2011

LA BALLATA DEL CAVALLO BIANCO



LA BALLATA DEL CAVALLO BIANCO, di G. K. Chesterton

Una meditazione poetica su un fatto realmente accaduto e una visione profetica del nostro presente. È l’anno 878. Il re Alfredo il Grande d’Inghilterra aveva appena sconfitto l’invasore, il re di Danimarca Guthrum e liberato il suo Paese. Dunque è un momento di tranquillità e di serenità. Senonché il re Alfredo, una notte, ebbe la singolare visione di un altro esercito che stava entrando in Inghilterra, molto più pericoloso di quello dei Danesi.

"Sì, questo sarà il loro segno:
il segno del fuoco che si spegne,
e l’Uomo, trasformato in uno sciocco,
che non sa chi è il suo signore,
Anche se arriveranno con carta e penna
[uno strano esercito, che non ha armi, ma solo carta e penna!]
e avranno l’aspetto serio e pulito dei chierici,
da questo segno li riconoscerete,
dalla rovina e dal buio che portano;
da masse di uomini devoti al Nulla, diventati schiavi senza un padrone,
da un cieco e remissivo mondo idiota,
troppo cieco per essere disprezzato;
dal terrore e da storie crudeli
di una macchia segnata nelle ossa e nelle stirpe,
dalla vittoria dell’ignavia e della superstizione,
maledette fin dal principio,
dalla presenza di peccatori,
che negano l’esistenza del peccato;
da questa rovina silenziosa,
dalla vita considerata una pozza di fango,
da un cuore spezzato nel seno del mondo,
dal desiderio che si spegne nel mondo;
dall’onta scesa su Dio e sull’uomo;
dalla morte e dalla vita rese un nulla,
riconoscerete gli antichi barbari,
saprete che i barbari sono tornati."


(…) Chesterton scrive questo poemetto, di cui oggi avvertiamo la straordinaria carica profetica, nel 1911. Mi chiedo: che senso ha parlare oggi di educazione? La mia risposta è: nessuno. Non ha più nessun senso, dal momento che è stato negato che si possa donare un senso al nostro quotidiano soffrire.

Quando Chesterton dice che la caratteristica di questi uomini è di essere «devoti al Nulla», in fondo dice che per questi uomini non c’è nessun senso che si offra dentro al quotidiano soffrire dell’uomo, al suo quotidiano lavoro, all’amarsi di un uomo e una donna nel matrimonio e così via, nelle grandi esperienze della vita.

Se tutto questo viene negato, non solo non ha più senso parlare di educazione – a che cosa educo? perché dovrei educare? – ma in fondo, come dice il poeta, il segno di questa umanità sarà «il segno del fuoco che si spegne». In una condizione in cui non ha più senso parlare di educazione, che cosa ne è allora dell’uomo?

È qui che i versi di Chesterton sono particolarmente suggestivi. Che ne è di questo uomo? Che prima o poi comincerà a vivere senza sapere perché vive. Comincerà ad esercitare la sua libertà senza sapere perché è libero. Lavora senza sapere perché lavora, e alla fine muore senza sapere perché si muore. Questo è l’uomo di oggi.

Il poeta dice stupendamente: «l’onta scesa su Dio e sull’uomo». Un’umanità cioè spenta e atrofizzata. Come si pone la Chiesa in questa situazione? Fa quello che ha fatto l’Alfredo del poema di Chesterton: la sfida, cioè l’affronta. Ecco appunto la sfida educativa. La Chiesa si confronta con questo nuovo contesto, si prende cura di questo uomo in carne e ossa, non dell’uomo in astratto ma proprio di quest’uomo che vive questa condizione.

Si prende cura, come dice il poeta, di quegli «uomini devoti al Nulla,
diventati schiavi senza un padrone, peccatori che negano l’esistenza del peccato, che considerano la vita una pozza di fango» che hanno reso un nulla la vita e la morte.

 Non è la prima volta che la Chiesa deve affrontare momenti difficili, anche se credo che in una situazione di tale radicale vuoto non si sia mai trovata. Come il re Alfredo che vede l’Inghilterra occupata da un esercito senza armi ma solo con carta e penna, e con soldati vestiti da chierici, essa si trova ora di fronte a qualcosa di veramente nuovo.

In questo contesto la Chiesa fa quello che ha sempre fatto. La Chiesa non ha paura di sfidare questo mondo, perché possiede l’unico messaggio che può convincere l’uomo che la sua vita e la sua morte non sono un nulla. Perché la Chiesa sa che Dio ha tanto amato l’uomo da morire sulla croce. E qui voglio dire con molta tristezza: togliete pure il crocifisso dai muri, togliete anche questo ricordo e l’uomo non potrà che avere un profondo disprezzo di se stesso.

Non lasciamoci ingannare dalla retorica della giustizia, dei diritti, e da simili cose. Sono orpelli. Perché il vangelo nasce nel cuore dell’uomo nel momento in cui la notte di Natale quattro sporchi e maleodoranti pastori si sono stupiti di come Dio si prendesse cura di loro. In quel momento il Cristianesimo è nato. E in quel momento è stato interdetto all’uomo di disprezzarsi.

Togliete la possibilità all’uomo di stupirsi di fronte alla sua dignità che ha il fondamento su quell’amore che spinge un Dio fin sulla croce, e a quel punto, come già nel poemetto di Chesterton, succederà che «dall’onta scesa su Dio e sull’uomo, dalla morte e dalla vita rese un nulla riconoscerete gli antichi barbari. Saprete che i barbari sono tornati».


CARLO CAFFARRA,
Arcivescovo di Bologna
8 NOVEMBRE 2009

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