giovedì 19 gennaio 2012

LA NAVE IL NAUFRAGIO LA DOMANDA


Non si parla d’altro in questi giorni. Della nave squarciata, del naufragio di fronte alla costa, dell’incredibile incidente. E dei dispersi. Le notizie si ripetono uguali, continue, quasi sempre le stesse, come se si fosse in attesa di un’impossibile novità, di una definitiva parola che tutti s’aspettano ma che nessuno è in grado di pronunciare.


Collegamenti continui con l’Isola del Giglio per gli ultimi aggiornamenti, come se a distanza di anche solo 10 minuti, qualcosa di sostanziale potesse cambiare.

Eppure siamo di fronte a un fatto che richiederebbe silenzio e un’osservazione rispettosa; domande non inquisitorie, ma profonde, di significato. Se osserviamo quel relitto gigantesco, lacerato dall’urto degli scogli, siamo ancora colpiti dalla sua bellezza imponente. La Costa Concordia era una splendida nave. All’esterno, le forme armoniose ed eleganti, di una geometrica linearità, le conferivano una bellezza particolare, quasi severa; all’interno era il trionfo del lusso, nell’insieme dell’arredo e nella ricercatezza dei particolari. Cosa cercano tanti uomini quando si imbarcano su una città galleggiante che solca il mare? Si tratta di pura evasione e divertimento? Resta ancora traccia di quell’antico navigare per scoprire i misteri del mondo? E noi che oggi osserviamo ciò che ancora emerge dalle acque del Mediterraneo che non ha colpito per le sue insidie, ma per un errore, una decisione azzardata quanto difficilmente comprensibile, da cosa ci lasciamo interrogare?

Ci fermiamo alla ricerca delle colpe? È stato raccontato del coraggio di tanti nell’aiutare chi si trovava in difficoltà, dell’altruismo e della generosità degli abitanti dell’isola, di chi ha messo a repentaglio la propria vita per soccorrere e favorire l’abbandono della nave. Così come si è parlato di confusione, di gesti disperati per riuscire a salvarsi a tutti i costi, magari a scapito dei più deboli.

Lo sappiamo: le situazioni estreme fanno emergere in ugual misura il bene e il male che contrastano in ciascuno di noi. Nessuno può giudicare. Tuttavia tragedie come questa ci indicano anche la necessità di recuperare o di riporre al centro una verità dell’essere umano. Che l’“io” è relazione con un “tu” e che il riconoscimento di “questa relazionalità come elemento costitutivo della propria esistenza è il primo passo per dare vita a una società più umana”.

Oggi, al contrario, domina “l’individualismo, che oscura la dimensione relazionale dell’uomo e lo conduce a chiudersi nel proprio piccolo mondo, ad essere attento a soddisfare innanzitutto i propri bisogni e desideri, preoccupandosi poco degli altri”. Stare di fronte a queste tragedie non come spettatori-inquisitori, ma come parte di un corpo ferito, di un’umanità dolente che soffre per la perdita di un familiare o si trova ancora in attesa che venga ritrovato un proprio caro. Gli abitanti dell’isola hanno compiuto un gesto di carità e di giustizia offrendo la loro disponibilità nei confronti di chi si è trovato nel bisogno. Ma anche a chi è lontano è chiesta carità e giustizia. La carità di una preghiera per chi soffre e per chi ha perso la vita, ragionevole riconoscimento che essa non è nelle nostre mani e che dovremo renderla; la giustizia di una domanda che chiede a Dio, l’unico “capace di dare all’uomo un’accoglienza incondizionata e un amore infinito”, il dono di una solidarietà umana. “Davvero il mondo è buio, laddove non è rischiarato dalla luce divina! Davvero il mondo è oscuro, laddove l’uomo non riconosce più il proprio legame con il Creatore e, così, mette a rischio anche i suoi rapporti con le altre creature e con lo stesso creato”.

(Citazioni dai discorsi di Benedetto XVI agli amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma; dalla presentazione degli auguri del Corpo Diplomatico accreditato presso la santa Sede)

Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele

Fonte: CulturaCattolica.it

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