Rep. delusa da Monti
Tratto da Il Foglio del 27 gennaio 2012
“Non si può costituire il Cln assieme a Mussolini”, dicono nei corridoi di Largo Fochetti, sede del giornalone del centrosinistra: Repubblica.
Niente pacificazione nazionale, niente grande coalizione, nessuna legittimazione per il patto tripartito fra Pdl, Pd e Udc visto che Mario Monti (con Giorgio Napolitano) dà l’impressione di tendere una troppo generosa mano a Silvio Berlusconi, belzebù. Da qui il pressing insistito su Corrado Passera (e il tremendo sospetto che la sua presenza su una recente copertina di Panorama sia il segnacolo di un corteggiamento serio da parte del Cav.): e la faccia questa benedetta asta per le frequenze televisive! E che dolori, ieri, quando Berlusconi in persona – cioè quello che secondo loro agita i peggiori incubi di Monti: “Il professore inizia a temere il Pdl”, scrive Rep. “Non so se riesce a tenere fino alla fine”, rilancia Rep. – ha candidamente confessato che a lui, invece, il governo tecnico va benone (“non ci tiriamo indietro”) e ha persino provocato il solito rigurgito bossiano di male parole: “Berlusconi? E’ una mezza cartuccia”.
Se è vero che una parte minoritaria del Pdl, della corte del Cavaliere (soprattutto gli ex di An), soffia con scarsi risultati nelle orecchie di Berlusconi le parole “elezioni” e “anticipate”, si conferma ogni giorno di più – come sanno i bene informati – che il partito della zizzania ha il suo vero quartier generale nella redazione di Repubblica. Guai a parlare di grande coalizione, da quelle parti: ne sa qualcosa il povero Enrico Letta, che quella formula l’ha usata sul serio, e per questo è scarsamente amato.
“Il problema è che Monti, loro, non riescono a eterodirigerlo com’erano abituati a fare con tutti gli altri. Sono stati sempre loro a incoronare gli antiberlusconi di turno, a partire da Rutelli. E invece Monti fa parte di un’altra corazzata, è imbarcato sull’incrociatore Corriere della Sera. Insomma è un’altra scuola, un’altra genìa e non fa nulla per ingraziarsi Repubblica”, sostiene Maurizio Gasparri. Basta seguire le mosse dell’editore Carlo De Benedetti (CDB), decrittare l’arzigogolio del Fondatore (Eugenio Scalfari), osservare la freddezza dimostrata da Rep. nei confronti del professor Monti dal momento in cui si è seduto sulle poltrone bianche e orridamente criptoberlusconiane di Bruno Vespa: che delusione, “una favola interrotta” ha sospirato Curzio Maltese. E pensare che Ezio Mauro, il direttore, era pronto a esaltarne la dote più forte (ai suoi occhi): la discontinuità con “l’egoarca”. E invece niente. Un alieno, questo Mario Monti, uno che, con Elsa Fornero, vorrebbe abolire l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, uno che fa preoccupare la tosta Mariastella Gelmini (“ma non è che ci sorpassa a destra?”).
Il problema del professore e presidente tecnico del Consiglio, per Rep., è che in Parlamento si alimenta del consenso berlusconiano, laddove Rep. il berlusconismo avrebbe voluto epurarlo in ogni forma e latitudine. Oltretutto Monti non è Carlo Azeglio Ciampi, che seppe manovrare con scrupolo sospetto in un’altra emergenza. Il moribondo governo Ciampi, figlio dell’intrigo di Palazzo – si sa – si comportò come i generali tedeschi che con gli americani alle porte fuggivano bruciando le ultime carte; poco prima di cadere, con un rapido movimento delle mani, fece nascere la Omnitel di De Benedetti: et voilà! Dopo l’iniziale sobria esaltazione estetica del loden verde, Monti si è rivelato a Repubblica per quello che è: poco amico. Anzi, amico, Monti, non lo è affatto. In definitiva frequenta tutto un altro salotto, un altro mondo: all’attico romano di via Monserrato 61, dove Ezio Mauro chiacchiera amabilmente con l’editore (ma niente pasta per via della celiachia), il professore preferisce i divani dalla tappezzeria terzista di Via Solferino, quelli del Corriere della Sera, quelli di Ferruccio de Bortoli, quelli dei banchieri non integrati e forse a tratti persino ostili al sistema del centrosinistra debenedettiano. E poi, Monti ha pure quella odiosa abitudine di segnalare continuamente, in Parlamento, “le linee di continuità con il precedente governo”; ha persino il cattivo gusto di citare in conferenza stampa “il buon lavoro” degli ex ministri Raffaele Fitto e Gelmini; invita il Cavaliere a fare colazione a Palazzo Chigi invece di chiamare i carabinieri; ha cercato di piazzare Gianni Letta nell’ufficio accanto al suo; e ha lasciato che Marco Pannella parlasse impunemente di amnistia. Così giù botte: il Guardasigilli Paola Severino? E’ un’amica di Cesare Previti.
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