mercoledì 15 giugno 2011

PORTARE CRISTO A MILANO



La missione di Scola:
portare Cristo a Milano

di Giuliano Ferrara


Amore e carità: la città sotto la sua guida dovrà far scuola in linea con la dottrina Ratzinger
Portare Cristo in città.




È la missione del prossimo arcivescovo di Milano, allievo di don Giussani, il prete brianzolo che diede vita a Comunione e Liberazione. Angelo Scola si darà da fare.

È un vecchio amico di Ratzinger, è una persona di valore, un teologo e un pastore d’anime esperto. Essersi formato in un movimento carismatico di fine Novecento è un segno forte di appartenenza alla chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Sono i due papi che hanno incorporato i movimenti, espressioni di confine di crisi della realtà cattolica, nel suo centro: il magistero, la prassi pastorale, la relazione della fede con la ragione, con il mondo dell’uomo e della donna liberati, che vogliono sapere tutto, diradare il mistero dell’esistenza, autodeterminarsi e vivere senza il sostegno della tradizione.

Uomini e donne sempre alla ricerca di un’etica laica in grado di seppellire, magari sotto il peso schiacciante di un moralismo e di un solidarismo fanatici, politicamente corretti e perfino neo puritani, l’antico senso cattolico del peccato. Milano è una città moderna, si sa. Il denaro e il lavoro a Milano contano. Contano la tecnica e la scienza, e l’ideologia che ne discende: è qui a Milano, dall’interno di un potente complesso scientifico e sanitario cattolico come il San Raffaele, che si promette agli uomini non più la cura pietosa ma la guarigione prodigiosa, non tanto la salvezza dell’anima quanto l’immortalità virtuale dei corpi, una imponente fornitura di pezzi di ricambio genetici e di soluzioni salutiste capace in mettere in soffitta, a lasciarsi divorare dalla critica roditrice dei topi, intere biblioteche di teologia del dolore, del limite e della contingenza del mondo. Questo slancio secolarizzatore, senza apprezzabili differenze tra la destra e la sinistra politica, è la vera impronta della città ricca, industriale, tecnologica e terziaria, europea e occidentale.

Riportare Cristo in Occidente è il compito al limite delle umane possibilità che il Papa ha assegnato, come missione di indagine e di studio, a un pontificio consiglio (subito ironicamente ribattezzato come «ministero per l’attuazione del programma»).

Il cardinale Scola dovrà inevitabilmente fare della sua Milano un caso di scuola in questo ambito. La Chiesa non ha altra priorità che l’amore, la carità. Non ha strumenti superiori alla preghiera, alla cura liturgica, alla comunione dei santi e all’amministrazione dei sacramenti. Ma la Chiesa si comprende come umano-divina, discende in linea diretta dall’incarnazione, dunque ha da sempre uno spiccato profilo sociale, una funzione pubblica e civile se non politica.

Fu il vescovo di Milano chiamato a reggere il Concilio Vaticano II, Paolo VI, a definire la politica come «la più alta forma di carità».

E l’altro grande predecessore del nuov o arcivescovo, il cardinal Martini, gesuita, ne chiede addirittura un altro, di Concilio, per realizzare la promessa riformatrice, inappagata, di una definitiva riconciliazione dei cattolici con il mondo moderno e post moderno.

Scola si districherà tra rilevanti e molto diverse eredità. Ho l’impressione, ma ovviamente posso sbagliare per difetto di sensibilità cristiana e specificamente cattolica, che il futuro pastore dei milanesi dovrà, per i profili laici che sono parte della missione di un vescovo, scegliere tra una «strategia della riconciliazione» e una «strategia della contraddizione ».

Recenti tendenze della migliore teologia di scuola ambrosiana hanno messo l’accento sul carattere forte, identitario, che è insito nell’idea stessa di testimonianza cristiana.
Il che vuol dire che la Chiesa degli ultimi, dell’accoglienza solidale, la Chiesa buona e samaritana delle beatitudini evangeliche, quella che va incontro al mondo moderno com’è, e lo consola, non può risparmiarsi anche la fatica di correggerlo, di tentare di emendarlo con i suoi carismi e con la forza laica del suo pulpito, della sua cultura etica e sociale.

La famiglia in stato avanzato di decomposizione, l’educazione imperniata su un relativismo assoluto inteso come ideologia di stato, e la vita umana negata o maltrattata sono i campi di battaglia in cui, con l’aiuto della fede e della scrittura, si decide tutto ciò che non è sola fede e sola scrittura.
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DA ILGIORNALE

LADY GAGA, LA MENZOGNA E IL POTERE




di Marco Invernizzi

Tratto da La Bussola Quotidiana il 13 giugno 2011



La menzogna più grave è quella che si cerca di fare apparire come normale. Questo è accaduto sabato al Circo Massimo al termine dell’Europride, con il comizio di Lady Gaga e la venerazione mediatica che ha accompagnato l’evento.

Si è cercato infatti di fare apparire come normale l’amore “senza limiti”, come ha detto la popstar, l’amore che prescinde dalla natura che vuole le persone maschi o femmine.

Questo è il cuore della questione antropologica, oggi: il rifiuto della natura, e quindi delle sue indicazioni e dei suoi limiti.

La «rivoluzione dell’amore» evocata durante l’evento del Circo Massimo viene da lontano, almeno dal 1968, e si vuole estendere a tutti i Paesi che, come l’Italia, non hanno ancora riconosciuto giuridicamente il matrimonio gay, come esplicitamente Lady Gaga ha detto al termine del suo discorso, proponendolo come obiettivo politico da raggiungere nel «tempo presente» e fornendo l’elenco di questi Paesi, come per annunciare un itinerario politico da perseguire nell’immediato futuro: Lituania, Russia, Polonia, Libano ecc...

Tutto il resto è di contorno, anche se un contorno importante che merita di essere ricordato. Intanto, risulta patetico il tentativo di fare apparire come parte perseguitata il mondo glbt (gay, lesbica, bisessuale, transessuale) che riceve un messaggio del segretario di Stato Hillary Clinton, che riesce a far venire appositamente a Roma, attraverso la mediazione dell’ambasciatore americano, la star considerata da Forbes (2011) come la celebrità più potente del pianeta, che mobilita i media di tutto il mondo.

Ma c’è di più. C’è una pressione straordinaria concentrata su chi è rimasto fedele a una dottrina che riconosce l’esistenza della natura sessuata, dell’amore come progetto per sempre fra un uomo e una donna e dell’esistenza di limiti morali che la stessa natura indica come non valicabili, appunto non negoziabili: ma chi nel mondo occidentale è rimasto ancora fedele a questa prospettiva oltre al Papa, al suo Magistero e ai cattolici che gli sono accanto?

La domanda non è peregrina. Quali pressioni sono state esercitate affinché il sindaco di Roma on. Gianni Alemanno, concedendo il patrocinio all’Europride e dando il benvenuto a Lady Gaga perdesse l’onore e l’apprezzamento di molti dei suoi sostenitori che hanno faticato per farlo diventare sindaco nel 2008? E chi ha spinto la Presidente di centro-destra della Regione Lazio Renata Polverini a intervenire alla manifestazione per prendersi una selva di fischi? Hanno fatto il conto di quanti voti perdono e di quanti ne guadagnano con gesti simili? Ma se anche ci guadagnassero, essere di destra non voleva dire che ci sono dei valori che prescindono dal consenso democratico, dal vantaggio elettorale (o economico, o di potere)? Lo sconcerto è grande.

Rimane il Pontefice e l’insegnamento della Chiesa, e poco altro. Ci sarà qualcuno fra chi ha ancora un po’ di potere e di influenza che avrà il coraggio di farlo proprio e di sostenerlo pubblicamente?

TORNA IL CATTOCOMUNISMO?

Dalla Cei alle associazioni i cattolici vanno a sinistra: torna il cattocomunismo?

Avvenire loda la "macchina delle sberle", la Cei chiede un cambio di governo. I cattolici si spostano a sinistra disattendendo gli imput del Papa. Sembra che stia tornando il cattocomunismo...

di Andrea Indini
Tratto da Il Giornale del 14 giugno 2011

Che fine ha fatto il voto dei cattolici? Dalle amministrative alla consultazione referendaria sembra tornare quella lontana voglia di catto-comunismo. Termini da Prima Repubblica, connotazioni che si sperava essere state già archiviate da tempo. Eppure il vero vento che cambia sembra spirare tra le parrocchie e l'associazionismo cattolico. Tanto che Avvenire, quotidiano solitamente moderato, celebra la "macchina delle sberle" che sta mandando a casa il governo Berlusconi.

Cosa è cambiato in questi anni? Sicuramente si è trattato di un processo silenzioso e continuo. Un "vento" - per dirla col vocabolario della sinistra - che è riuscito ad affascinare l'elettorato cattolico che si è stufato di votare i centristi. Lo dimostra il laboratorio milanese dove il neosindaco Giuliano Pisapia ha vinto grazie anche al sostegno dell'ala radicale della sinistra (da Rifondazione all'Idv, dai vendoliani alle frange extraparlamentari) ma ha preferito formare una Giunta in cui la società civile e i cattolici hanno la meglio. Così, chi si aspettava una squadra pesantemente rossa si è trovato ad avere a che fare con un'accozzaglia di ex centristi. Non è, infatti, sfuggito ai grandi esclusi che il portafoglio di Palazzo Marino è andato nelle mani di un esponente del Terzo Polo, Bruno Tabacci - espressione dei poteri forti che vorrebbero dire la loro sulla vendita di importanti partecipate del Comune - e che come vicesindaco non è stato nominato il piddì "trombato" Stefano Boeri ma Maria Grazia Guida, vicepresidente di quella Casa della Carità guidata da don Virginio Colmegna e che, dopo aver intascato svariati milioni di euro dalla Giunta Moratti, le ha voltato le spalle.

A PAVIA CATTOLICI SGRADITI AL VESCOVO

di Alessandro Gnocchi
Tratto da Libero del 7 giugno 2011
Tramite MiL - Messainlatino.it


Scrivo per raccontare una grottesca vicenda di genere clericalcuriale che mi ha visto coinvolto in compagnia del professor Roberto de Mattei.

Riassunta brutalmente, suona così: oggigiorno, essere cattolici senza indulgere in sbavature dottrinali e morali non è il viatico migliore se si vuole andar per parrocchie, oratori e associazioni culturali cattoliche, anzi finisce che ti tolgono la parola come soggetto non gradito.

Ma questo è il succo del ragionamento. Per cogliere quella che i giornalisti chiamano notizia, bisogna partire dalla fine: ieri sera, lunedì 6 giugno, presso la Sala Santa Maria Gualtieri, in Piazza della Vittoria 1, a Pavia, è stata presentata l’opera Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, di Roberto de Mattei, edizioni Lindau; relatori Alessandro Gnocchi e Roberto de Mattei.

La presentazione di un libro non è necessariamente un evento degno di nota. Ma l’opera di de Mattei, vice presidente del Cnr e docente di Storia del Cristianesimo e della Chiesa all’Università Europea di Roma, è divenuto un caso editoriale perché, come recita il sottotitolo, osa raccontare la “storia mai scritta” di un mito del XX secolo.
Ma questa, per quanto innegabile, è una notizia secondaria rispetto a ciò che ha reso tribolata l’organizzazione della serata. La presentazione si è tenuta alla Sala Santa Maria Gualtieri a cura della Fondazione Lepanto e delle Edizioni Lindau dopo che il Collegio Ghislieri aveva declinato la possibilità di farlo nella propria sede. In un primo tempo, sembrava tutto fatto, il rettore era ben felice di ospitare uno studioso illustre, ma poi, improvvisamente, le date ipotizzate si sono riempite di impegni improrogabili. Si dirà: un intellettuale di formazione laica, laicissima, che non impazzisce per ospitare dei cattolici che parlano di un libro cattolico, anche in tempi di tolleranza, è una notizia, ma non eclatante.

In effetti, c’è dell’altro. Il laico Collegio Ghislieri era un ripiego su cui ci si era orientati dopo che il vescovo di Pavia, monsignor Giovanni Giudici, aveva opposto il suo personale e autorevole dissenso alla presentazione del libro di de Mattei in ambito riconducibile alla diocesi. Ne sa qualcosa il sacerdote che pensava di far del bene invitando l’autore e il sottoscritto a parlare di un’opera tanto importante e si è sentito dire che sarebbe stato meglio, molto meglio, lasciar perdere. Con tanto di telefonate, convocazioni e il monito clericaleggiante: di quel libro ha parlato male l’”Osservatore Romano”. Perché si sa, quando serve, fa brodo anche l’”Osservatore”.

A questo punto, la notizia non si può dire che non vi sia e va tradotta così: il vescovo cattolico della diocesi cattolica di Pavia non gradisce la presentazione di un libro cattolico, scritto da un cattolico, presentato da due cattolici, su invito di un’organizzazione cattolica.

lunedì 13 giugno 2011

BERSANI E L'ACQUA


BERSANI L'ACQUA E' DI DIO

Ecco un video che fa riferimento a un incontro del 2008, in cui Bersani, dal tavolo dei relatori, spiega perché bisogna "privatizzare" l'acqua.

Durante l'incontro si discuteva della società pubblica Aimag e, come vedete dal video, è già molto significativo il titolo dell'incontro: "Aimag più cara? No, più efficiente!" che compare accanto al simbolo del Pd.

Disse Bersani: «L’acqua bene comune è un dibattito che è arrivato persino da Porto Alegre, un po’ da terzomondismo, da Teologia della Liberazione. In Brasile effettivamente ci sono i padroni dell’acqua, che te la danno se vogliono loro. Noi in Italia abbiamo il problema degli acquedotti che perdono metà dell’acqua, che è un altro film».

«Sappiamo assolutamente che è un bene pubblico, l’acqua; aggiungiamo addirittura che le infrastrutture che la presidiano, la fanno passare, la governano, per avere una garanzia collettiva, sono di proprietà pubblica, sono comunali. Poi subentra il tema della gestione: come faccio a far perdere meno acqua? Che si depuri bene? Che si facciano investimenti in un modo sensato? Devo chiamare uno che è capace di fare quel mestiere lì. E’ tutto qua il tema».

«Si aprono dei meccanismi competitivi, nel senso che passa l’idea che - io credo giusta - una volta che le infrastrutture sono pubbliche, devi andare un po’ a gara per capire chi li gestisce, perché poi l’utente deve essere trattato bene, col prezzo che Dio comanda: non puoi avere delle cose monopolistiche. Devi dire: chi è che fa l’offerta migliore? Chi mi garantisce tot qualità che poi io controllo, a quel prezzo lì? Confronto due proposte, e scelgo quella migliore».


sabato 11 giugno 2011

LA POLITICA PER CHI PER COSA


Cari amici (di CL e non solo), occorre rifare il Movimento Popolare !

ANTONIO SOCCI
9 giugno 2011

Rifare il Movimento popolare. Questa è la mia proposta.

La spiegherò fra poco, prima voglio premettere che per noi cattolici non è possibile e non è giusto lasciar cadere nel vuoto il ripetuto, insistente appello del Papa e del presidente della Cei.

Da mesi e anche in questi giorni (tanto più oggi, nell’attuale sommovimento politico) Benedetto XVI e il cardinale Bagnasco hanno chiamato i cattolici alla necessità di un impegno politico diretto.

Ora, questo caldo invito non può essere interpretato come un’esortazione all’impegno individuale, magari alla ricerca di una candidatura in qualche organismo politico.
Sarebbe meschino, fallimentare e ridicolo (del resto riguarderebbe pochissimi)
Ci sono almeno tre motivi che portano in un’altra direzione.

Primo: l’impegno individuale di cattolici in politica c’è già e non è un bello spettacolo.
C’è su tutto l’arco dei partiti, da Rifondazione comunista e da Vendola (che si definisce cattolico) fino all’estrema destra di Forza Nuova.
Mi pare evidente che non è a questo che la Chiesa chiama: così infatti ognuno mette l’etichetta di “cattolico” a qualsiasi posizione, in un soggettivismo che finisce per opporre i sedicenti cattolici che rivendicano tutti quell’identità però contrapponendosi gli uni agli altri.

Secondo: storicamente l’impegno politico dei cattolici non è mai stato individuale, ma è sempre stato legato a un “noi”, a soggetti sociali portatori di una cultura, di una visione dei problemi del Paese legata alla dottrina sociale della Chiesa (prima venne l’Opera dei Congressi, vennero cooperative e sindacati, venne un’elaborazione culturale e politica matura e poi fu fondato il Partito popolare).

In terzo luogo la politica non è solo quella fatta professionalmente dalla “casta” politica e lo vediamo bene oggi che proprio i movimenti sociali rubano l’iniziativa al Palazzo.
E lo vediamo soprattutto quando scopriamo una classe politica costituita da personaggi improvvisati, a digiuno di politica e di cultura, di problemi sociali e di consapevolezza civile.
Oltretutto per noi cattolici è impegno politico anche l’attività culturale e sociale, quella educativa, lo sono perfino le responsabilità familiari e occorre un luogo che “ospita” tutta questa presenza di laici cattolici e che educhi a una loro responsabilità pubblica, facendo diventare la dottrina sociale della Chiesa un giudizio sul presente, sui problemi concreti, sulle scelte contingenti.

La politica diretta infatti sboccia dall’impegno sociale.

Aggiungo che oggi un impegno dei laici cattolici – come soggetti con una precisa identità, che può anche dialogare con diversi partiti – è necessaria alla Chiesa stessa non solo per difendere i valori irrinunciabili dei cristiani, ma anche per difendere se stessa, per evitare alla gerarchia un’esposizione troppo diretta in un ambito che è proprio dei laici.
Negli scorsi anni, dopo la fine della Dc, c’è stata una sorta di “supplenza” dei vescovi che, anche grazie al genio politico del cardinale Ruini, ha orientato la politica, trasformando un tempo di debolezza dei cattolici (per la fine della Dc) addirittura in un momento di forza e di incidenza pubblica.

Ma questa fase, del tutto straordinaria, ha anche esposto la Chiesa alla malevola accusa di ingerenza clericale e di conseguenza ha scatenato un anticlericalismo e un anticattolicesimo che – così espliciti – non si vedevano da molto tempo.

Oggi è cambiata la scena politica e anche quella ecclesiale e il Papa e i vescovi chiamano all’impegno dei laici perché è fisiologico che siano i laici cattolici – soprattutto dopo il Concilio Vaticano II – a giocarsi direttamente sulla scena pubblica. Questo evita anche pericolose e improprie esposizioni della Chiesa.

Faccio un esempio: la scuola o le coppie di fatto.
Se sono i vescovi a trattare della scuola privata o delle “famiglie di fatto” con ministri e capi di governo, immediatamente si scatenano allarmi sulla laicità dello Stato e si mettono in discussione il Concordato l’otto per mille, l’ora di religione e via dicendo.
Ma se è un movimento laico, un movimento di popolo, di padri e madri, di italiani che pagano le tasse e che votano, che in forza della Costituzione italiana chiedono il rispetto della libertà di educazione e del valore sociale della famiglia, tutto cambia.
E magari trovano anche la simpatia o la collaborazione di non cattolici, per queste battaglie che sono del tutto laiche.

Dunque è tempo – secondo me - di rifare il Movimento popolare.

Fu uno strumento prezioso in una certa stagione, negli anni Settanta, in cui i cattolici dovevano riconquistare il diritto di cittadinanza nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro e perfino in politica (perché la Dc aveva subito le degenerazioni che sappiamo).
In seguito, negli anni Ottanta, come è naturale per gli strumenti, mutate le circostanze, il MP fu giudicato non più adeguato.

Ma oggi siamo di nuovo nella necessità di trovare un luogo come quello che – fra l’altro – ha il merito di aver selezionato una classe dirigente che ha mostrato di valere (il problema della “selezione della classe politica” – come si dice con orrida espressione – è una delle urgenze più evidenti).

Ma il motivo fondamentale che mi induce a fare questa proposta voglio dirlo per ultimo: a me è capitato, anche di recente, di fare delle testimonianze a raduni di preghiera nei palazzetti dello sporto di Bologna e di Firenze, rispettivamente davanti a 7 mila e 4 mila persone.
Oggi c’è tanta gente che riscopre o comincia un cammino di fede, nelle modalità più diverse, ed è un mondo sommerso di cui i media non si accorgono o non vogliono parlare.
E’ una realtà meravigliosa, che deve mantenere la sua natura perché una realtà ecclesiale ha il compito dell’educazione alla fede, ma che restando relegata – passatemi l’espressione – alla sola esperienza religiosa rischia di essere poi culturalmente subalterna a culture dominanti estranee o di essere condannata all’irrilevanza.
Mi pare invece che la Chiesa ci inviti a far sì che l’intelligenza della fede diventi intelligenza della realtà.

In questo senso il Movimento popolare potrebbe essere uno strumento oggi adeguato: potrebbe infatti aiutare le più diverse esperienze ecclesiali (e anche tanti singoli cristiani) a far crescere uno sguardo cattolico sulla vita pubblica.

E anche a far diventare la dottrina sociale della Chiesa una realtà sociale e culturale su cui possano convenire anche dei non cattolici.

Antonio Socci
Lettera a Luigi Amicone, direttore di Tempi

giovedì 9 giugno 2011

BENEDETTO XVI, L'ECOLOGIA UMANA E IL NUCLEARE


Referendum sul nucleare,

ci provano

anche col Papa


di Riccardo Cascioli
09-06-2011




Il Papa scende in campo contro il nucleare?
Così sembrerebbe a leggere i siti dei principali giornali italiani, che riportano il discorso rivolto a sei nuovi ambasciatori presso la Santa Sede.
 E ovviamente c’è subito uno stuolo di cattolici zelanti che, quando il Papa parla di aborto, famiglia, libertà di educazione, morale sessuale, si distraggono salvo poi vestirsi da guardie svizzere quando tocca temi ecologici. E così eccoli a scrivere alla nostra redazione trionfanti: “Visto? Il Papa è contro di voi”, “Adesso non avete il coraggio di riportare il suo discorso, eh!”, “Citate il Papa solo quando vi fa comodo”, e via di questo passo.

Cari amici zelanti, non solo non censuriamo l’intervento del Papa, ma ve lo riportiamo integrale, (in fondo a questo articolo) così almeno sarete tentati di leggere per intero il suo discorso una volta nella vita, magari cercando di capire quello che dice invece di fargli dire quello che pare a voi.

Lo so, non è solo colpa vostra, voi leggete i grandi giornali e quello che dice il Papa vi arriva attraverso questo filtro. Così se il Corriere della Sera all’occhiello “Nucleare”, aggiunge il titolo “Il Papa: le fonti d’energia non siano pericolose per l’uomo e l’ambiente” e poi nel sommario aggiunge: “L’appello di Benedetto XVI nell’imminenza della tornata referendaria…”, certamente si è portati a pensare che il Papa, sulla scia di Napolitano, abbia sentito l’insopprimibile necessità di dire la sua sui referendum che si svolgono in Italia.

Se poi si va sul sito di Repubblica, punto di riferimento dei cattolici adulti, il messaggio attribuito al papa è ancora più chiaro: “Il Papa: il Giappone faccia riflettere”. Non è da meno il sito di Avvenire che, non brillando per originalità, così inizia l’articolo dedicato al discorso del Papa: “Benedetto XVI ha evocato oggi l'emergenza della centrale nucleare di Fukushima in un discorso ai nuovi ambasciatori ricevuti per la presentazione delle credenziali”.

Ora qualcuno ci dovrebbe spiegare perché mai il Papa dovrebbe mettersi a parlare della centrale di Fukushima, del Giappone e della tornata referendaria in Italia rivolgendo un discorso ai nuovi ambasciatori di: Moldavia, Guinea Equatoriale, Belize, Siria, Ghana e Nuova Zelanda (perché questi erano gli ambasciatori che gli presentavano le credenziali). Così fosse si dovrebbe dire, come minimo, che il Papa ha mancato di rispetto ai suoi interlocutori, al limite dell’incidente diplomatico. Come se cogliesse l’occasione di un incontro con l’ambasciatore italiano per esprimere le proprie preferenze alla vigilia delle elezioni in Germania. Chi nelle ultime ore si è scoperto grande estimatore del Papa, gli dovrebbe almeno riconoscere la capacità – più volte dimostrata – di saper dire le cose giuste all’interlocutore corretto.

E allora cosa ha detto il Papa? A voi il piacere di leggerlo integralmente, ma state tranquilli che non ha mai citato né Fukushima né il nucleare né i referendum in Italia. Ha semplicemente svolto una riflessione a partire dalle “innumerevoli tragedie” che “nei primi sei mesi dell’anno” “hanno riguardato la natura, la tecnica e i popoli”. Fra queste c’è certamente anche il terremoto in Giappone che non può essere ristretto all’incidente di Fukushima, visto che i 27mila morti con la centrale nucleare non c’entrano un bel nulla. Ma visto che si parla di "innumerevoli", siamo portati a pensare che magari si riferisse anche ai terremoti in Thailandia e in Indonesia oltre che alle alluvioni in Australia e in Europa nonché alla siccità in Africa.

Quindi ha messo l’uomo al centro di ogni riflessione sulla natura e sulla tecnologia affermando chiaramente che “l’ecologia umana è un imperativo”. Ripeto: “ecologia umana”, non l’ecologismo antiumano a cui volentieri si accodano tanti cattolici. E qui l’invito, tra l’altro, a “sostenere la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate che salvaguardino il patrimonio della creazione e non comportino pericolo per l’uomo”.

Vi sembra contro il nucleare? Se proprio dovessimo tirarlo per la giacchetta dovremmo dire il contrario. Che del resto sarebbe in linea con quanto detto dallo stesso Papa il 29 luglio 2007 nel discorso in occasione del 50° anniversario dell’Agenzia Atomica Internazionale (Aiea), quando lanciò un appello al disarmo nucleare e all'«uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare per un autentico sviluppo , rispettoso dell'ambiente e sempre attento alle popolazioni più svantaggiate». E in linea con quanto il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, citando due discorsi di Giovanni Paolo II, dice al no. 470, afferma a proposito di risorse energetiche, quando invita la comunità scientifica “a identificare nuove fonti energetiche, a sviluppare quelle alternative e a elevare i livelli di sicurezza dell’energia nucleare”.

Cari amici cattolici zelanti, leggetelo il Papa, ma leggetelo tutto.

Ed ecco il testo integrale pronunciato il 9 giugno ai nuovi ambasciatori che gli hanno presentato le credenziali.

martedì 7 giugno 2011

UNA NUOVA GENERAZIONE DI CATTOLICI POLITICI RESTERA' UN SOGNO?


Crepaldi: I politici cattolici? Seguono il mondo, non la Chiesa


di Andrea Tornielli
07-06-2011


Una nuova generazione di politici cattolici «è difficile che si realizzi» se i cattolici continueranno a conformarsi «al mondo e ai suoi venti di opinione» invece che ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa. Lo sostiene in questa intervista il vescovo di Trieste Gianpaolo Crepaldi, autore del recente manuale Il cattolico in politica (Cantagalli), che critica l’uso di «slogan ecologisti» da parte di molte associzioni cristiane in vista del referendum sull’acqua e descrive come, a suo parere, dovrebbe essere la «casa comune» dei cattolici in politica a partire dai «principi non negoziabili», cioè la difesa della vita, della famiglia e della libertà di educazione.

Molte associazioni cattoliche hanno messo in guardia dalla privatizzazione dell’acqua. Come vede il voto al referendum?
Mi sembra si sia concesso troppo agli slogan ecologisti e non si sia affrontato il problema con i dovuti riferimenti alla dottrina sociale della Chiesa. Il referendum riguarda la gestione dell’acqua qui da noi, in Italia, non nel Corno d’Africa o in Mauritania. La gestione della rete idrica è cosa diversa dalla proprietà e dal controllo, e può essere affidata sia ad aziende pubbliche o semipubbliche sia a soggetti privati, a seconda delle situazioni e delle opportunità. I quesiti referendari sono stati caricati da parte cattolica di eccessive valenze ideologiche o addirittura salvifiche con contrapposizioni inaccettabili. Lo stesso concetto di “privatizzazione” dell’acqua è fuorviante. Questo tipo di approccio superficiale – si pensi alla strumentalizzazione di San Francesco cui abbiamo purtroppo assistito – denota una incertezza e povertà culturale nell’affrontare i problemi.

Ai ballottaggi i «principi non negoziabili» non sembrano aver pesato molto nel voto cattolico, come si è visto a Milano. Perché?
I richiami ad una coerenza personale con alcuni valori umani fondamentali non hanno un significato elettoralistico. Per i pastori sono un dovere. Bisogna però riconoscere che su questo c’è ancora molto da fare. La penetrazione nella base dei nostri fedeli delle indicazioni del Papa sui “principi non negoziabili” non è ancora avvenuta. Prevale una notevole confusione che, in occasione del voto, si traduce in disorientamento. Ma la diaspora, in questi casi, è frutto di una precedente diaspora culturale. Alle recenti amministrative non è stato sufficientemente chiarito come i principi non negoziabili siano oggi di fondamentale importanza anche negli enti locali.

Secondo lei il caso Ruby quanto ha influito nel recente voto amministrativo?
Non saprei rispondere. Noto che oggi la morale in politica è strattonata di qua e di là, usata, strumentalizzata. E non mi riferisco solo alla morale pubblica e alla morale privata. Chi ha fatto di tutto per dare legittimità ad ogni comportamento morale diventa poi un censore; catene di giornali che insieme contano più di un partito, anzi per molti versi oggi sono l’unico vero partito organizzato, impalcano campagne di moralizzazione pubblica. Oggi il mondo politico è pieno di moralizzatori: è un segno non da poco della grave crisi della politica. L’elettore medio si fa guidare da mille valutazioni: dal sentito dire, dalle impressioni, dalle promesse, dalla simpatia, dagli slogans, dalle barzellette… si crea così un’aria, una tendenza, un flusso epidermico di sensazioni che determinano anche l’esito elettorale. Gli elettori, per fortuna, non sono tutti politologi, ed è comprensibile che si creino queste tendenze collettive e controtendenze. Il fiuto politico dovrebbe sintonizzarsi con tutto ciò, prevenire, intervenire al momento giusto per correggere. In politica non bisogna arrivare troppo tardi, a tempo scaduto. Per i cattolici, si ritorna al tema della formazione.

La Chiesa chiede una nuova generazione di politici cattolici. Non crede però che il protagonismo delle gerarchie abbia indebolito la presenza pubblica dei cattolici?
È anche vero il contrario. I cattolici laici sono spesso afoni. Non riescono a trovare punti significativi di raccordo e di incisività. Soprattutto non c’è un luogo unitario in cui stabilire le priorità e i criteri. Si finisce per fare l’enciclopedia dei problemi e per porre tutto sullo stesso piano: il sì all’acqua è visto come un dovere imprescindibile e intanto il trentesimo anniversario del referendum sull’aborto è passato quasi inosservato. Molteplici tentativi di raccordo nel cosiddetto “prepolitico” non hanno prodotto granché. La conseguenza è che i cattolici impegnati sono spesso vittime delle ideologie e pensano di esprimere una posizione cattolica quando invece si adeguano al mondo e ai suoi venti di opinione.

La «nuova generazione» di politici cattolici rimarrà dunque un sogno?
È difficile che si realizzi, se la riflessione culturale rimane così frammentata. Basta prendere alcuni settimanali diocesani e leggere gli editoriali dei direttori: rappresentano tutto l’arco politico. A volte mi domando: sono di più le cose su cui i laici cattolici sono in disaccordo o quelle su cui sono in accordo? Bisogna cominciare da qui.

I cattolici a disagio nell’attuale sistema ritroveranno una casa comune?
Serve una maggiore omogeneità di cultura politica ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, capace di individuare delle priorità: una condizione che oggi manca e si è fatto poco per promuoverla. Mentre si prepara il futuro, però, non si può essere qualunquisti: si dovrebbe stare dalla parte che garantisce la tenuta dei principi non negoziabili. Se si creerà qualcosa di nuovo, non potrà essere confuso sul tema dei valori di riferimento, non potrà rieditare un moderatismo neocorporativo che accontenta tutti, non potrà nascere sulle ambiguità, e dovrà essere coerente con i principi non negoziabili.

Oltre ai “valori non negoziabili” ci sono però anche le emergenze sociali, come ad esempio quella del lavoro…
Un impatto di disgregazione sociale non ce l’ha solo la disoccupazione o la precarietà lavorativa. Un ulteriore scivolamento sul terreno dell’uso degli embrioni umani, del suicidio assistito, del divorzio breve, del riconoscimento delle coppie omosessuali sarebbe disastroso per la tenuta morale e anche sociale complessiva della nostra nazione. Non mi sembra che questa emergenza sia molto presente nella consapevolezza dei cattolici, tanto solleciti invece per un problema di gestione dell’acqua.


http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-crepaldi-i-politici-cattoliciseguono-il-mondo-non-la-chiesa-2080.htm

I CAVALIERI DELL'INDIGNAZIONE



Gli indignati strabici

di Vincenzo Sansonetti

07-06-2011


In nome di quale principio tanti nel mondo cattolico, soprattutto tra coloro che si genuflettono alla sinistra, invocano il proliferare delle moschee? In nome della libertà religiosa. Giusto. In nome di quale principio gli stessi non muovono un dito dopo la vergognosa irruzione di un manipolo di squadristi rossi in una chiesa di Milano? Non si sa. Ce lo devono spiegare. E subito. Altrimenti dubiteremmo della loro onestà intellettuale.

Non c’è nessuna differenza tra il pretendere che i fedeli di religione islamica abbiano a disposizione un luogo in cui pregare e pretendere che i fedeli di religione cattolica abbiano un luogo in cui pregare in santa pace, senza che la celebrazione del sacrificio eucaristico – culmine della fede cristiana – venga brutalmente interrotta.

Se la sono cercata… Cosa avremmo letto su certa stampa se un gruppo di facinorosi, anziché irrompere in una chiesa accusando il parroco di fare il suo mestiere - in questo caso seguire gli insegnamenti della Chiesa in materia di morale sessuale - avesse fatto irruzione in una moschea inveendo contro il mullah, poniamo per le sue prese di posizione contro i «crociati» e l’Occidente? Apriti cielo! Avremmo dovuto sorbirci fiumi di parole sull’intolleranza, sulla pericolosità di certe frange integraliste, ecc. Ma ad essere profanata è stata una chiesa cattolica. Quindi va tutto bene. Anzi, se la sono cercata. Che è poi ciò che emerge dal modo con cui è stata data la notizia dai siti gay. Una malcelata soddisfazione. Anzi, quasi l’incoraggiamento ad andare avanti. Una, cento, mille messe da interrompere. Complimenti.

Legami sospetti. La stessa chiesa era già stata oggetto di recente di attacchi analoghi, ma non stupisce che l’ennesimo sacrilego atto squadristico avvenga pochi giorni dopo l’insediamento del novello sindaco di Milano, l’avvocato Giuliano Pisapia. Uomo mite, come lo dipinge una certa agiografia che gli ha già messo l’aureola. Molto meno miti quei giovanotti vicini ai Centri Sociali entrati nella chiesa di San Giuseppe Calasanzio per minacciare, offendere, spintonare. Hanno urlato il loro programma («Chiudete le chiese!») e aggiunto: «Pisapia ha liberato Milano e ora ne vedrete delle belle!». La segreteria del primo cittadino ha smentito ogni legame con l’atto teppistico, ma è un fatto che tra gli eletti nella nuova maggioranza ci sia un rappresentante dei Centri Sociali.

Curia batti un colpo. Non stupisce nemmeno l’assordante silenzio di quegli ambienti che si ergono a paladini, un giorno sì e l’altro pure, di rom, musulmani, gay, emarginati di ogni sorta, in nome del rispetto della dignità umana. Questi cavalieri dell’indignazione ci devono spiegare perché invece i cristiani sono da considerare una specie subumana, che può subire ogni oltraggio nell’indifferenza generale. C’è chi comincia a ipotizzare che, se viene alimentato un clima di caccia alle streghe contro i cattolici (attenzione! i cattolici osservanti, quelli che seguono il Papa), allora si dovrebbe cominciare a pensare a una sorta di servizio d’ordine, di gruppi di difesa delle chiese, come in fondo avviene in tanti Paesi islamici. Siamo davvero a questo punto? Speriamo di no. Non siamo tra coloro che vorrebbero «vederne di belle». Ma un po’ più di solidarietà ai sacerdoti e ai parrocchiani della chiesa profanata, quella sì che vorremmo vederla. Curia di Milano, se ci sei batti un colpo.



http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-gli-indignati-strabici-2086.htm

lunedì 6 giugno 2011

IL PAPA IN CROAZIA : CHE COSA E' LA COSCIENZA


Da due diverse nozioni di coscienza nascono due opposte concezioni della famiglia e della politica
di Massimo Introvigne

Dopo l’euforia dei cattolici "progressisti" per le nuove giunte rosse, emerge la preoccupazione di Benedetto XVI: dalle unioni civili all’eutanasia, a rischio i valori "non negoziabili"

Il viaggio del Papa in Croazia ha avuto, lo ha detto lui stesso, la coscienza come «tema centrale ». Un tema che rischia di avere immediate ripercussioni nella vita culturale e politica: anche in Italia, dove proprio sui temi «di coscienza » come l’eutanasia o il riconoscimento delle unioni di fatto i cattolici schierati nella sinistra sono uniti da uno strano connubio a chi sostiene tesi opposte alle loro.

«La qualità della vita sociale e civile, la qualità della democrazia- ha affermato il Pontefice - dipendono in buona parte da questo punto “critico” che è la coscienza, da come la si intende.

Se la coscienza, secondo il prevalente pensiero moderno, viene ridotta all’ambito del soggettivo, la crisi dell’Occidente non ha rimedio e l’Europa è destinata all’involuzione. Se invece la coscienza viene riscoperta quale luogo dell’ascolto della verità e del bene, allora c’è speranza per il futuro».

Oggi per molti coscienza significa che ciascuno fa quello che vuole, seguendo i suoi impulsi e i suoi desideri. Per la grande tradizione classica e cristiana, al contrario, la coscienza è il luogo dove si ascoltano la verità e il bene, la voce che non incita a fare quel che si vuole ma quel che si deve.

Da queste due nozioni di coscienza nascono due opposte concezioni della famiglia e della politica, e il fatto che il Papa identifichi le due posizioni come opposte mette in crisi alleanze trasversali come quelle che nella si-nistra italiana uniscono libertari laicisti e cattolici progressisti.

IL CARDINALE CHE FA POLITICA


Il Cardinale Tettamanzi è stato l’unico alto prelato che ha preso posizione nella campagna elettorale, assieme ad un gruppo di suoi preti, a favore di una parte politica, quella di Pisapia.
Con una interpretazione del tutto personale dei principi non negoziabili ha messo al primo posto quello dell’accoglienza del diverso, contrariamente a come insegna la dottrina sociale della Chiesa, e ha scatenato critiche pesanti tipiche della campagna elettorale.
In un editoriale di Avvenire di ieri il direttore Tarquinio ha cercato di stroncare chi si è permesso di disapprovare il cardinale, con un articolo di stampo clericale-ottocentesco (“Insolente sguardo come di guerra”), all’insegna di “quello che dicono i cardinali non si può criticare”, mettendo in mostra un evidente disagio a dover difendere certe scelte.
Nel post Magdì Cristiano Allam esprime con molta chiarezza i sentimenti del popolo cristiano, e Massimo Introvigne, nel post successivo, contribuisce con la sua solita lucidità a evidenziare gli elementi fondamentali del confronto fra chi segue il Papa e chi si sente adulto e libero in nome di una coscienza privata.

Legittimo criticare
il cardinale che fa politica
e si schiera con Pisapia
di Magdi Cristiano Allam

Legittimo il nostro intervento su Tettamanzi: si è schierato con Pisapia, un sindaco contrario ai dogmi della fede. È arrivato il momento di privilegiare l’amore per l’Italia e per gli italiani prima ancora di preoccuparci degli immigrati

Dobbiamo ringraziare Marco Tarquinio, il direttore dell’ Avvenire , l’organo della Conferenza episcopale italiana, per aver ieri additato il Giornale come la voce che più di altre si eleva contro l’asse Pisapia-Tettamanzi. È stato il nostro Mario Giordano a denunciare come, anche nel recente raduno religioso di 50mila cresimandi nello stadio di San Siro, l’arcivescovo di Milano non abbia perso l’occasione per manifestare il suo sostegno politico al neo-sindaco, espressione della sinistra radicale favorevole all’aborto, all’eugenetica, all’eutanasia, ai matrimoni omosessuali, alla droga di Stato, ai centri sociali, alla mega-moschea, ai privilegi ai rom e agli immigrati rispetto alle istanze dei cittadini milanesi.

Fermo restando il nostro diritto alla libertà d’espressione anche su temi prettamente religiosi, è decisamente un nostro dovere intervenire, persino severamente, nel momento in cui il cardinale Tettamanzi dismette l’abito talare color rosso porpora per indossare quello del militante politico a sostegno di Pisapia come ha fatto prima, durante e dopo le elezioni amministrative.

Non perché io la consideri un’indebita interferenza,essendo assolutamente favorevole alla presenza della voce della Chiesa nella sfera pubblica quale laico e non laicista. Personalmente, sin da quando ero ancora musulmano, ho difeso il Papa Benedetto XVI quando a Ratisbona e altrove ha manifestato dall’alto del suo magistero la verità in libertà, assumendo delle posizioni che hanno inequivocabilmente una valenza politica che va oltre l’ambito religioso, storico, culturale e sociale.

Trovo pertanto di per sé sbagliato l’approccio del giornalista Tarquinio che vorrebbe mettere il bavaglio ai colleghi che criticano Tettamanzi. Mentre considero assolutamente legittimo il fatto che,nella sua veste di direttore dell’organo ufficiale della Cei, difenda le posizioni dell’arcivescovo di Milano, fermo restando il nostro diritto- dovere a considerare come non meno legittima la nostra critica, anche sferzante, per delle posizioni che non condividiamo nel merito e di cui ci rammarichiamo perché ci preoccupa il disorientamento che il cardinale crea tra i fedeli cattolici schierandosi dalla parte di un sindaco che incarna delle scelte in flagrante contraddizione con i dogmi della fede cristiana, a cominciare dalla sacralità della vita.

giovedì 2 giugno 2011

RIPARTIRE DAL BASSO, COME A CESENATICO


Renato Farina «Sì alle primarie, si riparte dal basso, da Cesenatico»

Renato Farina commenta la sconfitta elettorale del Pdl e indica da dove può ripartire: «Non si può risolvere tutto con una telefonata tra Bossi e Berlusconi. Io sono d'accordissimo con le primarie e sulla necessità di un rilancio economico. Chi è in alto deve ascoltare cosa dice la base e appoggiare la politica dell'incontro che ha trionfato a Cesenatico»

Renato Farina (Pdl) commenta la disfatta elettorale del Pdl e indica da dove può ripartire: «Berlusconi è visto come l'epicentro di tutti i mali, la gente ha voluto fare piazza pulita dell'ordine esistente per rispondere a un disagio che non è politico. La Lega poi ha preso una bella tranvata. Cesenatico è l'unica nota positiva: un candidato giovane e cattolico ha fatto una politica di incontro con le persone, chi è in alto non deve ignorare ciò che prende piede dal basso. D'accordo con le riforme economiche e le primarie».

Silvio Berlusconi dalla Romania ha dichiarato che alle elezioni amministrative il Pdl ha perso, «è evidente». Quali sono le cause della sconfitta?

Mi sembra una situazione analoga ai primi anni '90, quando c'era un sentimento di infelicità e insicurezza esistenziale che individuava il nemico di questo disagio esistenziale nella politica. Così la gente ha fatto piazza pulita dell'ordine esistente. Berlusconi oggi è visto un po' come l'epicentro di tutti i mali e in tanti hanno preferito il peggio allo status quo, in molti di quelli che votano a destra non sono andati a votare, affermando: vediamo come va a finire. Poi c'è la Lega che ha preso una bella "tranvata", la loro identità vista sempre come contrapposizione e mai come proposta ha stancato. Dove hanno provato ad andare da soli, hanno perso.

Il centrodestra ha perso praticamente dovunque. Ci sono note positive su cui costruire e ripartire?

Ce n'è una: Cesenatico, un Comune importante, storica roccaforte della sinistra che è passata al centrodestra. Lì abbiamo candidato un giovane insegnante, cattolico del Pdl, che si è messo in gioco anche se molti non lo volevano. Lui ha saputo coinvolgere Pdl, Lega, Udc, Partito repubblicano e vincere con oltre il 4% di distacco. E' da questa esperienza che dobbiamo ripartire: infatti non si può risolvere tutto con una telefonata tra Bossi e Berlusconi. Il giovane che ha vinto a Cesenatico ha fatto una politica di incontro con le persone, ha ascoltato i cittadini e chi è in alto ora deve guardare ciò che accade di positivo e che prende piede dal basso.

Ieri il ministro Roberto Maroni ha detto che bisogna fare delle riforme economiche e il governatore della Lombardia Roberto Formigoni l'ha appoggiato subito.

E' evidente che una frustata non basta. Bisogna trovare i soldi, serve una politica che, innanzitutto, paghi i debiti delle imprese e poi sostenga, come dice Formigoni, quelle aziende che manifestano vitalità, che sono virtuose. Bisogna investire in chi sta riaprendo il mercato e può creare posti di lavori, non in tutti in modo indiscriminato. Bisogna sostenere il mercato, non sostituirsi ad esso come vuole la sinistra.

Giuliano Ferrara, nel suo editoriale sul Foglio di oggi, propone di fare le primarie nel centrodestra.
Sono d'accordissimo con le primarie, ci vuole un meccanismo controllato, che non possa essere inquinato, per mettere in moto qualcosa di sorprendente anche nel centrodestra, che faccia partecipare le persone e faccia scegliere a loro.


da Tempi

LA CHIESA IN CERCA DI UN PARTITO?

di ANDREA TORNIELLI




Nuova generazione di politici cattolici cercasi. È l’appello ripetuto ormai con insistenza dal Papa e dalla Conferenza episcopale italiana. L’episcopato e più in generale il mondo cattolico avvertono un crescente disagio nei confronti della politica nostrana, spesso ridotta a «drammatico vaniloquio», come l’ha definita la scorsa settimana il cardinale Bagnasco.

Nelle recenti elezioni amministrative, i «valori non negoziabili» (vita, famiglia, libertà di educazione), ricordati anche in questa occasione dal quotidiano cattolico Avvenire, non sono stati in realtà così centrali.

È vero, come è stato sottolineato, che i grandi Comuni possono diventare un laboratorio modello per iniziative quali la sperimentazione della pillola abortiva, i registri per il testamento biologico o per le unioni di persone dello stesso sesso. Ma questo elemento non è stato determinante nelle scelte dei cattolici. Lo dimostra il dato di Milano, dove lo stesso cardinale Tettamanzi ha ironizzato sui toni apocalittici di Lega e Pdl definendo una boutade la paura di «zingaropoli» a soli cinque giorni dal voto, e dove una parte significativa di quell’elettorato ha sostenuto Giuliano Pisapia. Il quale, peraltro, aveva nella sua lista undici candidati direttamente riconducibili al mondo cattolico, contro i sei del sindaco uscente Letizia Moratti.

Sulla scelta di penalizzare il centrodestra, e in particolare il suo leader sceso in campo personalmente a Milano, ha certamente pesato il caso Ruby, che nei mesi scorsi è stato motivo di imbarazzo e di una crescente freddezza dei vertici della Cei nei confronti di Palazzo Chigi. La sconfitta della Lega insieme a quella di Berlusconi dimostrano però che ancor di più del «bunga bunga» sul voto ha influito un’azione di governo concentrata sulla soluzione dei problemi personali del premier, percepita come distante dalle esigenze concrete delle famiglie anche dall’elettorato cattolico. Proprio una settimana fa, nel discorso tenuto in occasione della preghiera per l’Italia, lo stesso papa Ratzinger in presenza di tutti i vescovi della Penisola ha sottolineato con forza il problema della disoccupazione e della precarietà del lavoro, «che nei giovani compromette la serenità di un progetto di vita familiare».

L’epoca del partito unico è tramontata, lo ha ribadito nei giorni scorsi anche il segretario della Cei Crociata, che ha però invitato i politici cristiani a tener viva quell’unità che scaturisce dalla fede comune e dalla condivisione dei principi e valori della dottrina sociale della Chiesa. I politici che più tengono a sottolineare il loro legame organico con il mondo cattolico oltre a non avere più un partito di riferimento, nell’attuale quadro bipolare hanno anche qualche difficoltà ad accasarsi con la loro precisa fisionomia. Nel centrosinistra, caratterizzato dal prevalere di una cultura radicale sui valori «non negoziabili», risultano spesso afoni e si vedono talvolta costretti a migrare altrove per preservare la loro identità. Il laboratorio politico del Terzo Polo appare ancora confuso e poco rilevante. Mentre nel centrodestra, approdo giudicato dai vertici della Santa Sede e della Cei più consono per la difesa di alcune istanze etiche, finiscono per fare da stampella agli stili di vita del premier con motivazioni teologiche contro il «moralismo», e convivono con l’estremismo di chi fa leva sulla «paura dello straniero» e del «diverso».

La Chiesa italiana negli ultimi anni è sembrata stringere col Cavaliere di Arcore una sorta di Patto Gentiloni, simile a quello che un secolo fa vide l’elettorato cattolico sostenere, e far vincere, i candidati liberali che si erano impegnati a difendere l’unità della famiglia e la scuola non statale. Il prevalere nel centrosinistra delle forze alternative e più radicali non lascia immaginare cambi di rotta dietro l’angolo in questa impostazione. E così, di fronte al berlusconismo ormai logorato, le gerarchie che negli ultimi anni hanno giocato un ruolo da protagoniste intervenendo direttamente nell’agone politico, ora sperano che una nuova generazione di cattolici si affacci nella vita pubblica trovandovi cittadinanza e possibilità di incidere nelle scelte, come accadde per gli statisti che si formarono nella Fuci di Giovanni Battista Montini durante gli Anni Trenta. Una classe dirigente che nell’immediato dopoguerra ha contribuito a far grande l’Italia. Ma da allora tante cose sono cambiate nella nostra società e anche nella Chiesa.

La Stampa, 2 giugno 2011

A CHE SERVE IL DUE GIUGNO?



2 GIUGNO

Cosa c'è da festeggiare?

Andrea Possieri




giovedì 2 giugno 2011




Qual è la festa nazionale del nostro Paese? È molto probabile che a questo banale interrogativo molti cittadini italiani rispondano formulando una ridda di date diverse: dal 7 gennaio (la bandiera) al 17 marzo (l’unità), dal 25 aprile (la resistenza) al 2 giugno (la repubblica). Non è escluso che qualcuno riproponga addirittura anche la ricorrenza del 20 settembre (Porta Pia). La questione non è di poco conto. Identificare in modo certo ed inequivocabile un evento paradigmatico che nella sua unicità sintetizzi la vicenda storico-identitaria di un Paese significa, infatti, avere un’idea condivisa di quella storia e una percezione non frammentaria di quella comunità nazionale.
La domanda iniziale potrebbe anche essere riformulata così: nel nostro Paese esiste qualcosa di simile al 14 luglio per la Francia o al 4 luglio per gli Stati Uniti? La risposta non può che essere negativa. A tutt’oggi, infatti, la festa nazionale per eccellenza, quello dove più basso è il tono apertamente divisivo e conflittuale dello scontro politico, è senza dubbio il 2 giugno. Tuttavia, questo consenso appare più come il risultato di un compromesso simbolico al ribasso che il frutto di un unanime consenso culturale sul significato di quella ricorrenza. Una ricorrenza che per la sua striminzita, seppur importante, fattualità – la scelta della forma di Stato – non può riassumere né la straordinaria portata culturale di una vicenda millenaria che ha delineato l’identità italiana, né l’eccezionale novità di un deposito secolare che ha costruito lo Stato nazionale.

VENDOLA IL NUOVO STALIN



Giampaolo Pansa

 "Il nuovo boss rosso"


mercoledì 1 giugno 2011


Su Libero di oggi un fondo di Giampaolo Pansa che analizza non solo i risultati elettorali delle recenti elezioni amministrative ma si interroga sulla figura di Nichi Vendola.

Pansa racconta di come il governatore della Puglia sia corso lunedì pomeriggio in Piazza del Duomo a festeggiare la vittoria di Giuliano Pisapia, ma non solo. Da ottimo conoscitore dei media, spiega Pansa, Vendola ha voluto lanciare un preciso messaggio politico.

Pansa prova a tradurre il messaggio lanciato da leader di Sinistra ecologia libertà: "Attenzione, compagni e avversari: Pisapia è un mio sindaco. E non soltanto perché è un militante di Sel, il partito che ho fondato e dirigo. Abbiamo una lunga storia in comune, che inizia da Rifondazione comunista. Le nostre radici sono identiche. La borghesia milanese che l`ha votato, a cominciare dalle grandi famiglie e dal top della finanza capitalista della città, non s`illuda. Pisapia sarà un sindaco rosso, il primo dei miei compagni a Milano. E da compagno si comporterà".

Nello stesso momento in cui Vendola parlava, Pisapia affermava di aver vinto con il sorriso e l'ironia.

Pansa si domanda: riuscirà il nuovo sindaco a liberarsi della sudditanza nei confronti di Vendola? Per Pansa non sarà una cosa facile, e ci sono essenzialmente tre motivi per cui questa sudditanza potrebbe accadere.

"Il primo è un connotato atavico di Rifondazione comunista" dice Pansa, la patria politica di Pisapia. Quel partito ha un solo elemento nel proprio dna, cambiare la società, quella che una volta si chiamava rivoluzione comunista. Chi guidava questo pensiero era il Grande Parolaio Fausto Bertinotti, maestro di Nichi Vendola. Pansa riprende una citazione dell'ex segretario comunista pubblicata nel 1997 sul Corriere della Sera: «Il mito della governabilità è figlio di una cultura politica senza valori, che ha completamente abdicato alla voglia di cambiare la società. L`idea che comunque bisogna governare, per me è un disvalore».

Poi Bertinotti spiegò che il suo partito stava nell`Ulivo di Prodi soltanto per un accidente elettorale: «Abbiamo programmi diversi, anche in politica estera abbiamo da sempre posizioni differenti, sulla Nato, su Maastricht e su altro... Noi non cerchiamo la crisi del primo governo con le sinistre. Ma potremmo esserci costretti». Infatti, l`anno successivo, fece cadere il governo Prodi, ricorda Pansa.

Poi torna su Vendola, un politico a due facce: quella piaciona, con orecchioni e sorriso, e quella da perfetto staliniano. “ L’altra faccia è quella del politico aspro, scrive Pansa, di sostanza maligna, pronto a disprezzare chi non obbedisce ai suoi ordini. Sotto questo aspetto Vendola, nonostante l’orecchino e l’abito casual, è un perfetto staliniano. E ricorda certi vecchi ras delle Botteghe oscure, pronti a usare le parole come pallottole”.
Pansa ricorda la rubrica che Vendola teneva sul giornale Liberazione, in cui definiva D'Alema «grevemente atlantico, cinico, con una spocchia da statista neofita». Fassino, «blaterante scempiaggini cingolate e mortali». Umberto Ranieri, neo tifoso entusiasta di De Magistris, «un caporalmaggiore della Nato», Di Pietro, «dalla caratura mussoliniana». E infine Emma Bonino. Forse almeno lei si rammenterà del pensiero violento e del linguaggio stridulo di Vendola. Una tempesta di volgarità, per «questa vipera con la faccia di colombella, amante delle carneficine umanitarie».

Cose scritte nel 1999, dice Pansa, ma la sostanza non cambia. Anche perché allora non era un ragazzo impulsivo, ma un signore di 41 anni, deputato per la terza volta.

Vendola vuole le primarie del Partito democratico, ha iniziato una guerra perché sa che potrebbe vincere. Vuole l'egemonia sulla sinistra italiana. Progetta una doppia vittoria, quella politica e quella elettorale, immaginando di poter battere anche Berlusconi. Per questo Nichi Vendola, aggiunge Pansa, si farà vedere sempre più spesso sul spiazza di Milano. Per Pisapia, sarà una suocera esigente, mai soddisfatta e capace di carognate a non finire.