20 luglio
2018 ilsole24ore
Fuori dai giochi, dai loro tackle quotidiani,
che dire delle élite politiche italiane vecchie e nuove? La
formazione del governo populista scandisce il tramonto della democrazia dei
partiti, collettori di credenze e di larghi interessi sociali e civili. Apre la
possibilità di forgiare un cambio di regime (democratico), se la legislatura si
protrarrà, a dispetto dei non pochi dubbi sulla solidità della coalizione di
governo (“i piedi in due staffe” di Salvini).
Turner : navi nella tempesta |
Sul declino dell’egemonia dei partiti
sappiamo: la sua decadenza accompagnata dall’eclissi delle grandi credenze e
motivazioni d’appartenenza ideologica; la sua metamorfosi post-ideologica,
mediatica, personalizzata, finanziarizzata, a cui non ha resistito. Ha smarrito
il senso profondo del gioco destra-sinistra, è quasi evaporata nella politica
senza profondità che si forgia su semplificazioni e slogan che si irradiano in
superficie.
La democrazia dei partiti ha sfornato
un’élite politica che è apparsa ai cittadini incapace di garantire
crescita e protezione dalle turbolenze di mercato, sempre più autoreferenziale,
senza visione per migliorare, senza coraggio di cambiare, mentre negli ultimi
trent’anni tutto intorno è cambiato. È apparsa distante, svuotata di contenuti
progressivi, inadatta a brillare di luce propria se non attraverso il capo,
smontata dall’astensionismo, sbaragliata dai populismi.
Perché l’alternanza destra-sinistra si
era ormai persa nell’urto collusivo della grande coalizione. Non era più in
grado di mediare l’aporia della nostra democrazia, tra una maggioranza di
rappresentati e una minoranza di rappresentanti, già evidenziata da studiosi
del calibro di Robert Dahl e Norberto Bobbio. In assenza di contenuti di destra
e di sinistra sui quali contendere e con una politica sfiduciata dai cittadini,
è salito in superficie il vuoto pneumatico tra “popolo” e un’élite democratica
senza autorevolezza, un ossimoro in implosione. La cometa Renzi ne ha ritardato
il collasso, perché finalmente era emerso un giovane a capo di un Paese
invecchiato e di una classe dirigente quasi inamovibile. Finalmente un
rottamatore delle inconcludenze del passato. Il primo Renzi era perciò in
profonda sintonia con il mood sociale. Non l’ha saputa
mantenere: le sue scelte per promuovere nuove élite traenti,
il cerchio magico, si è risolto in un déjà-vu in molti
“passati” del Paese. Ha cercato di comandare la linea “tutti dietro il capo”,
ma dietro c’era ormai un’élite politica inconsistente, in preda
alla sua litigiosità interna. Nel vuoto dell’illuminazione del leader, è
riapparsa la querula implosione di un’élite ripiegata su interessi
di bottega, testimonianza dell’incapacità dei partiti – ridotti a etichette –
di selezionare una classe dirigente in grado di tessere il suo destino
personale sul telaio dello sviluppo del Paese.
Della democrazia populista sappiamo
poco. Conosciamo i contenuti destabilizzanti della protesta populista. Ora però
la musica cambia. Si fa governo di un grande Paese europeo, già considerato dai
“nord-continentali” the sick man of Europe, l’ultima ruota del
carro, per il suo debito pubblico e, oggi, per il suo governo populista.
Sappiamo che il populismo colma il collasso dell’onda, la risacca, delle élite democratiche
in crisi, proponendo leader, come Salvini e Di Maio, capaci di mirare
direttamente la pancia del popolo. Gaetano Mosca sosterrebbe che è un abbaglio
considerare la vittoria populista come fosse del popolo sulle élite:
è una pia illusione pensare che i populisti potranno realizzare gran parte
delle promesse, perché, al governo, essi stessi, per colmare l’inesperienza,
copiano prassi inveterate e le vecchie élite, che avevano finora
criticato. Ripropongono quell’aporia che è nella democrazia rappresentativa,
per cui è sempre la minoranza a governare la maggioranza. Nel prossimo futuro,
assisteremo non più al pericoloso teatrino del conflitto tra élite e
popolo, ma a un probabile braccio di ferro tra i leader populisti e poi, forse,
con le nuove élite democratiche, se sapranno rigenerarsi a
sinistra e a destra.
Per ora, dal 4 marzo è uscita una nuova
classe politica che, a dispetto della sua inesperienza, si è assunta una
responsabilità di governo. Deve ancora dimostrare tutto. L’avvio non felice
(l’ossessione dei migranti e un decreto dignità imbarazzante) è lo scotto
dell’inesperienza dei nuovi eletti al governo centrale. Per la Lega, il
discorso è diverso, avvezza com’è almeno all’amministrazione delle autonomie
locali. Tuttavia, anche la nuova Lega conferma che il populismo non si cura
delle proprie élite, ma del proprio leader. La Lega che ha messo
nel mirino Bruxelles, anziché Roma, è del “decisore” Salvini. Anche il M5S è
tutto schierato dietro al “negoziatore” Di Maio.