venerdì 1 maggio 2015

"MADRI SURROGATE” NEPALESI COMMISSIONATI DA COPPIE OMOSESSUALI

l caso delle povere donne nepalesi

Madri invisibili
Assuntina Morresi
30 aprile 2015

Voli speciali stanno portando in Israele decine di neonati, figli di “madri surrogate” nepalesi e commissionati da coppie omosessuali israeliane, evacuandoli dalle zone terremotate. Finora sono arrivati tre bambini, con le rispettive coppie gay che risultano loro genitori “legali”. Se ne aspettano più di venti nelle prossime ore, e il numero potrebbe aumentare di molto: in Israele l’utero in affitto è accessibile solo a coppie eterosessuali, e gli omosessuali che vogliono farlo se ne vanno all’estero. 

Il Nepal è una delle mete preferite (non solo per Israele, e non solo per omosessuali) perché la grande e diffusa povertà della popolazione ha fatto della maternità surrogata una “produzione low cost”: si può avere un figlio con appena seimila dollari, contro qualche decina di migliaia dell’India e più di centomila, ormai, negli Stati Uniti. È emblematico che il caso emerga definitivamente dalla polvere di dolore e morte del sisma che ha scosso il tetto del mondo proprio nel giorno in cui il Papa chiama credenti e persone di buona volontà a «difendere» le donne da sfruttamento, sottovalutazione, mercificazione.
 


Seimila miserabili dollari per convincere una donna povera a portare avanti una gravidanza conto terzi e partorire un figlio che dovrà abbandonare appena nato, cedendolo a coppie o single, ricchi a sufficienza per poter pagare una cifra relativamente modesta. Sorpresi dal terremoto, coppie omosessuali e single israeliani che erano in Nepal per prelevare i neonati commissionati se ne stanno tornando in patria con i bambini già nati e, in alcuni casi – almeno quattro – con le madri surrogate che li portano ancora in grembo, in attesa di partorire.
Se ci fossero ancora dubbi sull’umiliante mercato dell’utero in affitto e sull’ignobile sfruttamento delle donne coinvolte, queste brevi cronache sono in grado di fugarli tutti: non sappiamo niente delle madri surrogate di quei piccoli. Non un nome, una storia, un racconto. Gli articoli sinora pubblicati in giro per il mondo non le nominano, le coppie omosessuali appena sbarcate dagli aerei non ne parlano, quelle coppie che pure dovrebbero sapere chi sono quelle giovani donne, visto che ne hanno commissionato e pagato le gravidanze, e che hanno ottenuto l’oggetto del contratto, il tanto atteso “bimbo in braccio”.


Che cosa ne è stato di chi ha appena partorito? Sono sopravvissute al terremoto? In quali condizioni sono restate nel loro Paese? Non sappiamo, non si sa, a nessuno sembra importare niente: per le cronache semplicemente queste madri non esistono, perché hanno già svolto il “lavoro” per cui sono state retribuite, e devono solo essere dimenticate. Per il mondo non sono madri, esseri umani come ciascuno di noi, ma solo incubatori a pagamento. I “genitori” dei piccoli sono quelli che hanno stipulato il contratto di maternità conto terzi, nella piena legalità conferita dalle leggi e da quei seimila miserabili dollari. Una cifra superiore cambierebbe comunque poco: il giogo della schiavitù non ha prezzo.
 

Ma l’esiguità della somma dà la misura della miseria estrema di queste persone, per le quali solo poche migliaia di dollari significano la sopravvivenza personale e delle loro famiglie.


Il volo verso la salvezza dal terremoto – in Israele – è stato consentito solo a quelle madri surrogate “fortunate” che ancora devono partorire, cioè che aspettano di terminare il “lavoro” e onorare l’impegno stipulato nel contratto. Sopravvissute al sisma, devono ancora cedere il proprio bambino: per questo possono e, soprattutto, devono essere portate via e seguire i committenti, con un permesso speciale del governo israeliano. E c’è chi continua parlare di «dono» e di «diritti»…
Chissà chi quelle donne hanno lasciato in Nepal: genitori, fratelli, parenti, sicuramente qualcuno a cui badare, qualcuno da mantenere, vista la loro disponibilità ad affittare il proprio grembo. Ma, a quanto pare, se ne sono venute via da sole, senza familiari o conoscenti. Chissà cosa ne sarà di loro una volta svolto il compito, consegnati i propri figli alle coppie acquirenti. Probabilmente un volo di ritorno in Nepal, in quel che resta delle loro case dopo il terremoto, avendo intanto assaporato qualche settimana di benessere. Certamente, di nuovo invisibili.
da avvenire


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