domenica 14 novembre 2010

FINI NON CONVINCE AVVENIRE

FINI: Non voglio parificare matrimonio e unioni ma far incontrare le diverse etiche
Caro Direttore,
ho letto con attenzione la risposta con cui lei ha condiviso, dalle pagine del suo giornale, il contenuto di una breve lettera, a firma di Fabio Russo, che (lo dico senza alcuna vena polemica) denota la mancanza di una piena conoscenza di quanto da me affermato domenica scorsa a Bastia Umbra, a proposito della necessità di tutelare la dignità di qualsiasi persona, prescindendo da distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali.


Mi dispiace, pertanto, che non si sia voluto cogliere nel mio intervento tutto lo sforzo, che da molto tempo compio, per far maturare nell’opinione pubblica quel sentimento di umana disponibilità nei confronti di tutti coloro, italiani e stranieri, che versano in situazioni di forte disagio causato dall’assenza di adeguate politiche di integrazione e di difesa dei diritti.

Al riguardo, sono convinto che il rapido mutamento della struttura delle nostre società, e più in generale delle società occidentali, accelerato da fenomeni epocali, quali soprattutto la globalizzazione e l’immigrazione, deve indurre tutti ad una profonda riflessione sui valori fondanti e sullo stesso sistema di relazioni che collega tra loro i cittadini e i gruppi sociali.

E’ in questo contesto che si colloca peraltro il tema democratico, e centrale nel dibattito politico, dell’inclusione dei nuovi diritti che scaturiscono da reali situazioni di fatto e che non possono essere disconosciuti a priori se si mantengono aperti i luoghi del dialogo e del confronto.

Da uomo politico e delle istituzioni ho sempre riconosciuto il valore fondante della famiglia, così come garantita dall’articolo 29 della Costituzione, e mi sono sempre opposto ad ogni ipotesi di parificazione di trattamento tra matrimonio e unioni di fatto, specie di quelle omosessuali. Ma non per questo ritengo giusto, di fronte all’insufficienza di forme ed istituti giuridici, ignorare alcune legittime esigenze che meritano di essere prese in considerazione dal nostro ordinamento in virtù di quella idea di “laicità positiva” intesa come punto di incontro tra diverse concezioni etiche presenti nella società.
Del resto, compito dello Stato di diritto è quello di favorire approdi normativi lungimiranti basati sull’unico criterio possibile da adottare, vale a dire quello della “ragionevolezza” delle leggi e della tutela dei diritti dei cittadini.

Questo, a mio avviso, è l’unico antidoto per debellare ogni pericolosa e strisciante forma di indifferenza umana e sociale che tende a minare la convivenza civile. 
Da questo punto di vista, sono profondamente convinto che il nostro Paese sia molto più avanti, in termini di scelte e di orientamenti culturali, di quanto, talvolta, non lo sia la classe politica italiana troppo spesso dilaniata da odiose ed improduttive contrapposizioni di “schmittiana” memoria.
Non credo, quindi, che un invito alla riflessione sulla necessità di impedire l’emarginazione delle differenze possa essere liquidato come un qualcosa di strutturalmente ed ideologicamente vecchio.
Al contrario, ritengo che l’idea di giungere ad una nuova “dimensione etica e morale” della società possa essere perseguita con il contributo fattivo ed intelligente di tutti i grandi “attori” che operano nel nostro territorio, a cominciare dalla Chiesa cattolica che, per ragioni storiche e per la sua forte e radicata presenza, rappresenta un autentico caposaldo nella cultura della solidarietà e della giustizia sociale.
Gianfranco Fini

La risposta del direttore di Avvenire a Fini
TARQUINIO: Parole non convincenti ma utili
Caro Presidente,
dopo aver letto con grande attenzione il discorso da lei tenuto domenica scorsa a Bastia Umbra, ho letto con altrettanta attenzione le messe a punto contenute nella lettera, che ha avuto la cortesia di inviarmi e che volentieri pubblichiamo qui sopra.

Avevo, allora, preso buona nota non solo delle significative e condivisibili affermazioni da lei fatte sulle situazioni di disagio riguardanti cittadini italiani e stranieri immigrati in Italia, ma anche delle rischiose argomentazioni (e proiezioni programmatiche) a proposito di novazioni ordinamentali in materia familiare. Su queste ultime – oltre che su certo “ronzio radicaleggiante”, su ben note vicende parlamentari e su alcune sconcertanti accentuazioni anticlericali che hanno accompagnato la gestazione e la nascita del suo partito – mi sono soffermato martedì scorso (e nel frattempo ho dovuto registrare che uno dei più alacri laicisti di Fli, l’onorevole Della Vedova, si è addirittura fatto dipingere sul primo quotidiano italiano come un cattolico doc…). 

Oggi devo prendere atto di altre importanti affermazioni, in particolare del passaggio in cui lei esclude «ogni ipotesi di parificazione di trattamento tra matrimonio e unioni di fatto, specie di quelle omosessuali», e di alcune sorprendenti interpretazioni (su cui non qui non mi soffermo). Ma devo soprattutto sottolineare che lei torna a parlare della «insufficienza di forme e istituti giuridici» in materia familiare, evocandone una pluralità che sia specchio di «diverse concezioni etiche». Temo che la strada sia scivolosa e rischi di finire da un lato nel burrone giuridico dei «matrimoni di serie b» (pacs e dintorni) e dall’altro di sfiorare quello  dei «matrimoni a tempo» pure giustificati da qualche etica per noi esotica (nonché dai fautori del divorzio–lampo alla Zapatero). Mi auguro che non sia così, ma questo s’intravvede. Ed è abbastanza.


E, per quanto ci riguarda, su un punto così decisivo non può darsi uno «Stato neutrale». 
Si chiedeva, proprio lunedì scorso il presidente della Cei, cardinal Bagnasco: «Se uno Stato, in nome di un’ipotetica neutralità o di altri pregiudizi, non si allarmasse a fronte di un prosciugamento dei presupposti etico–culturali cui deve invece attingere se vuole prosperare, come potrà rispondere con solidarietà e giustizia a situazioni e sfide emergenti?». Trovo che questa sia una delle domande–chiave nel tempo che viviamo. E nella sua cortese e utile lettera, per la quale la ringrazio, onorevole presidente Fini, non c’è purtroppo una risposta convincente e chiara.
Marco Tarquinio
Come sa, gentile presidente Fini, e come sanno assai bene (e affermano) anche non pochi parlamentari a lei vicini, l’idea di famiglia che i cattolici – ma non solo i cattolici – considerano un valore non negoziabile è quella naturale, fondata sul matrimonio di un uomo e una donna e aperta ai figli. Questo è un bene civile (sul sacramento le norme dello Stato non intervengono di certo) da «ragionevolmente» preservare, fonte di duratura solidarietà interpersonale e di tenuta nella rete delle relazioni sociali. Su questo uno Stato dovrebbe puntare e investire. Per questo fare leggi.

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