INTERVENTO DI MONS. MASSIMO CAMISASCA, MILANO 17 SETTEMBRE
"ASPETTARE DA DIO LA RISPOSTA"
Monsignor Massimo
Camisasca ha esordito dicendo che il successo editoriale dell’Opzione
Benedetto è per lui «motivo di gioia e di pena allo stesso
tempo», e che il principale merito del libro è di porre «la questione della
forma che la testimonianza della Chiesa deve avere nella realtà attuale».
Ma se
è giusto e necessario riproporre sempre la domanda su tale forma, «è necessario
aspettarsi da Dio la risposta, che non può mai essere interamente preventivata
dall’uomo».
È «un impulso, un suggerimento di Dio alla libertà dei battezzati
che il Signore rivolge a loro attraverso gli avvenimenti della storia, ma
infine attraverso l’avventura della santità, che non è mai interamente a
disposizione dell’uomo, anche se non è indifferente all’avvenimento della
libertà. In fondo la risposta nasce dall’incontro di due infiniti: l’infinito
di Dio e l’infinito dell’uomo, le loro rispettive libertà».
«Benedetto non è
preventabile né programmabile, così come gli altri grandi santi. La riforma
permanente della comunità ecclesiale, la nascita di una nuova forma, parte
dalla riforma del cuore, il quale cambia forma nel momento in cui non è più
centrato su se stesso, ma su un altro. La vera riforma è il dislocamento in Dio
del nostro essere personale.
Non penso si debba parlare di una forma
storica uguale per ogni continente ed epoca. Fin dal suo sorgere la Chiesa ha
vissuto una forte pluralità, è sempre stata poliforme: le comunità originarie
sono state più di una (petrina, paolina, giovannea), i Vangeli sono quattro e
non uno solo, ecc. Ma questa pluralità va intesa come sfaccettature dell’unico
volto di Cristo. La persona di Gesù è infinitamente conoscibile, e ciascuno non
può cogliere che una parte del suo mistero. Ma nessuno di noi può fare a meno
dell’altro, perché il tutto dell’Uno precede il plurale.
Nel dibattito
teologico fra Ratzinger e Kasper sul rapporto fra Chiesa locale e Chiesa
universale ha ragione Ratzinger. Ogni comunità cristiana è tutta la Chiesa così
come ogni frammento dell’Eucarestia è tutto il corpo di Cristo, nella misura in
cui tale comunità si concepisce nell’unità con tutta la Chiesa».
«Per quanto
riguarda il nostro tempo, dobbiamo avvicinarci con sentimenti di simpatia o di
rigetto? Ritengo che l’atteggiamento più fecondo oggi, davanti alle
problematiche drammatiche e nuove nelle quali siamo immersi, debba essere un atteggiamento
positivo e costruttivo. La nostra principale attenzione non deve soffermarsi
sulla condanna, ma sulla positiva attrazione che esercita la vita di coloro che
vivono la fede. È la positività della proposta che permette di scoprire la
caducità diabolica di ciò che è condannato da Dio. La modernità non è una
storia tutta negativa.
Il magistero di Benedetto XVI ha ampiamente mostrato
quanto la modernità contenga, insieme a una profonda negazione dell’identità
cristiana, un richiamo all’autenticità della fede. Dalla modernità abbiamo
ricevuto per esempio un richiamo alla riscoperta della libertà, che non
dobbiamo dimenticare. Ogni pensiero reazionario, nella misura in cui vede il
bene soltanto nel passato, dimentica quella proiezione in avanti che, assieme
al radicamento nell’origine, costituisce il necessario cammino della vita
cristiana».
«L’origine di una
comunità cristiana è sempre la liturgia, lode alla Trinità dal sangue e dagli
escrementi della terra, ma anche dalla luce dei mari, dei monti, dei fiori, dei
cuori che si aprono a Dio, al perdono, all’accoglienza, alla fraternità. La
Chiesa nasce da un incontro con il Mistero che traluce nell’umano e che lo
trapassa, un incontro reso possibile dal fatto che qualcuno ci aiuta a vedere
con occhi nuovi. Un altro – che si rivela così come autorità, padre che genera,
fratello che ha pietà di noi – ci apre lo sguardo su ciò che avevamo sempre
visto, ma in realtà non avevamo visto mai».
«In realtà tutto
è generato dallo Spirito e dall’attualità dei misteri della vita di Cristo.
Egli prende le cose e le fa suoi sacramenti. È lui che agisce, aggregando così
una comunità di persone, prima sconosciute le une alle altre e ora familiari
perché Dio è divenuto loro familiare. La Chiesa è una comunità universale, un unico
popolo. Ma come il corpo ha molte membra, allo stesso modo, per analogia, la
Chiesa si compone di molte comunità. Questo perché occorre che la fede sia
vissuta in relazioni di prossimità in cui si sperimenti il caldo della
fraternità e il sale del cambiamento, la luce del perdono e il peso della
diversità».
«Una comunità
cristiana è una comunità guidata. Nasce dall’alto, da Dio, per radicarsi sulla
terra, penetrando nella particolarità della vita degli uomini. La guida ultima
è perciò sempre un presbitero in rapporto con il vescovo, e che deve concepirsi
come suo inviato. La guida educativa potrà essere un prete o un laico, un uomo
o una donna, un giovane o un vecchio. Ma non esiste vita cristiana senza
connessione con l’alterità di Dio. Certo, ogni autorità può corrompersi
nell’autoritarismo, nell’arbitrio, nel puro esercizio del potere. Questo non
toglie nulla alla sua necessità».
«La Chiesa non ha
in sé la sua ragione, come la luna non ha da sé la sua luce notturna. Oggi
questo è sottolineato, e giustamente. La luce è Cristo. Ma la Chiesa pure è
necessaria. Senza la luna la notte buia resterebbe impenetrabile. Cristo, luce
delle genti, ha detto “Voi siete la luce del mondo”. La Chiesa non è altro da
Cristo, di cui è il corpo, altro dal regno, di cui è l’inizio. Si può anche
dire che non è altro dal mondo? Sì e no. Preferisco pensare che la Chiesa è il
mondo che si converte a Cristo. Per questo la Chiesa esiste in un duplice
movimento di giudizio sul mondo (“Il principe di questo mondo è già condannato”),
di contestazione dei suoi criteri, dei suoi obiettivi, dei suoi programmi
(“Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”) e in un movimento di
salvezza, che mostra Cristo e la Chiesa come ciò a cui gli uomini aspirano dal
profondo (“Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo”)».
«In duemila anni
questo cammino si è articolato attorno a due esperienze, centrali nella vita di
Gesù: la verginità e il martirio. Verginità e martirio vogliono dire un nuovo
percorso di integrazione fra silenzio, studio, lettura, meditazione, lavoro e
uso delle tecnologie. Rod Dreher negli ultimi due capitoli del suo libro offre
delle riflessioni su sessualità e uso delle tecnologie, tentando di individuare
delle strade per vivere l’eros in modo più umano e il rapporto con le macchine
in modo più libero. Le sue riflessioni sono preziose e condivisibili. Ma queste
tematiche, a motivo della loro estrema complessità, non possono che restare
aperte, in attesa di ulteriori e sempre più precise considerazioni».
«Verginità e
martirio sono la difesa della vita nascente dall’aborto, della vita fragile
dall’eutanasia, la difesa del povero, di chi è dimenticato. La carità mostra la
mostruosità delle ideologie e dell’economia quando è finalizzata
all’arricchimento di pochi. Le nostre comunità cristiane, per custodire e
vivere appieno la fede nel tempo in cui viviamo, necessitano di un’ossatura
monastica, le cui coordinate fondamentali ho delineato sopra. Ossatura
monastica non significa vita claustrale e distacco totale dal mondo
circostante.
Una comunità con ossatura monastica non è un luogo chiuso, che si ritira dal mondo. Se rifiuta alcune forme di vita mondana, lo fa proprio per una maggiore solidarietà e vicinanza agli uomini e alle donne di tutto il mondo. Se sceglie il silenzio, non è per disprezzo della parola, ma per farsi discepolo delle parole autentiche. Se sceglie la vita comune, è perché crede che abbiamo bisogno di sanare le nostre divisioni. Se sceglie una certa distanza, una certa verginità, dalla frenesia dei social e della chiacchiera di oggi, è perché vuole occuparsi di cose che non passano. Se sceglie la comunione dei beni, è perché sa che nulla ci è dato come nostro e tutto è per l’edificazione reciproca e per i poveri”.
Non dobbiamo chiuderci, ma aprirci con slancio missionario verso
tutti, pur consapevoli del fatto che molto spesso tale slancio significa
l’incontro con persone che non hanno fede o che addirittura combattono la
Chiesa. Ma è indispensabile donarsi con quella libertà dall’esito e quel
distacco che si chiama verginità, fino all’eventualità del martirio. Una fede
che non contempla tra le sue possibilità anche quella del sacrificio supremo,
com’è accaduto a Gesù, non è una fede matura».
Una comunità con ossatura monastica non è un luogo chiuso, che si ritira dal mondo. Se rifiuta alcune forme di vita mondana, lo fa proprio per una maggiore solidarietà e vicinanza agli uomini e alle donne di tutto il mondo. Se sceglie il silenzio, non è per disprezzo della parola, ma per farsi discepolo delle parole autentiche. Se sceglie la vita comune, è perché crede che abbiamo bisogno di sanare le nostre divisioni. Se sceglie una certa distanza, una certa verginità, dalla frenesia dei social e della chiacchiera di oggi, è perché vuole occuparsi di cose che non passano. Se sceglie la comunione dei beni, è perché sa che nulla ci è dato come nostro e tutto è per l’edificazione reciproca e per i poveri”.