Occorre iniziare l'anno prendendo
sul serio la percezione di una mancanza, il "buco", frutto della
mentalità contemporanea, di cui parlava Foster Wallace.
GIANNI MEREGHETTI 13 SETTEMBRE 2018
Sarebbe
interessante iniziare il nuovo anno scolastico da queste osservazioni di David
Foster Wallace: "Secondo me il motivo per cui la gente si comporta male è
che fa veramente paura stare al mondo ed essere umani, e siamo tutti, tanto
spaventati (…) la paura è la condizione di base, e ci sono motivi di tutti i
tipi per essere spaventati. Ma il punto (…) è che il nostro compito qui è di
imparare a vivere in modo tale da non essere costantemente terrorizzati. E non
nella posizione di voler usare qualunque strumento, di usare le persone per
tenere lontano quel tipo di terrore (…) Per quanto mi riguarda il volto che do
a quel terrore è la nascente consapevolezza che nulla è mai abbastanza, mi
spiego? Che il piacere non è mai abbastanza, che ogni traguardo raggiunto non è
mai abbastanza. Che c'è una sorta di strana insoddisfazione, di vuoto, al cuore
del proprio essere, che non si può colmare con qualcosa di esterno (…) e la
sfida che ci si prospetta, in particolare, sta nel fatto che non c'è mai stata
così tanta roba, e di qualità alta, proveniente dall'esterno, che sembra
tappare provvisoriamente quel buco, o nasconderlo". (David Lipsky, Come
diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta, 2010)
E'
il "buco" che tutti gli studenti e tutti gli insegnanti sentono
quando dopo le vacanze con il ritorno a scuola vi è l'impatto con la realtà del
nuovo anno scolastico. Un buco che chiude alla realtà, che aspetta di adattarsi
e quindi di scomparire oppure un buco che sfida a guardare a ciò che inizia,
che provoca ad un nuovo inizio.
Don
Luigi Giussani a Viterbo nel 1977 parlava di una provocazione alla vita che
permane; in questo identificava il nuovo inizio, sottolineando la provocazione
alla vita e non all'intelligenza o all'esigenza di una nuova morale. Dopo
quarant'anni quella provocazione alla vita è ancor più forte, perché deve
reggere a quanto è accaduto in tutto questo tempo, al crollo di tutte le
certezze e alla sfiducia che ne è conseguita, per cui il vuoto che si sente non
è il trampolino di lancio verso un'avventura nuova, ma la caduta libera nello scetticismo che pervade ogni ambito.
Forster
Wallace ha ben identificato il punto di rottura della mentalità contemporanea,
il diventar evidente che nulla ci basta; neanche le vacanze sono state
sufficienti per rispondere al desiderio di essere felici. Neanche
l'intelligenza della condizione in cui siamo però ci basta: andare a scuola con
quel buco in noi porta a guardare alla realtà con un'attesa nuova. Chissà che
Forster Wallace questa volta si sia sbagliato a non aver fiducia in qualcosa di
esterno, a non lasciare aperta questa possibilità, che tra i volti noti, tra le
procedure conosciute accada qualcosa di non immaginato, ma di così umano da
farci prendere sul serio questa mancanza che portiamo in noi, fino a vivere la
scuola come provocazione, mossa esistenziale.
Un
anno è nuovo perché l'umano viene affrontato di petto, riportando tutti —
studenti e professori — alla posizione originaria, quella che la cultura ha
stravolto. E la posizione originaria non è la paura, ma la meraviglia.
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