sabato 5 agosto 2023

BIDEN PUO' PERDERE LE ELEZIONI?

Biden ha tali e tanti difetti che non possiamo dare per scontata la sua vittoria contro Trump. Dunque la prospettiva di una seconda presidenza Trump è reale. Donald Trump viene raggiunto praticamente da una nuova incriminazione a settimana, e con altrettanta regolarità si rafforza nei sondaggi. Sta dominando i suoi rivali repubblicani, ed è alla pari con Joe Biden nei sondaggi elettorali generali. I numeri dei sondaggi di Trump sono più forti contro Biden ora che in qualsiasi momento nel 2020.


 Nella confusione e nella noia dei commenti politici americani, sul New York Times, firmato da David Brooks, osservatore di raro equilibrio e lucidità, è apparso un articolo “fuori dal coro”, intitolato:” What if We’re the Bad Guys Here?”; E se fossimo noi i cattivi?

Riportiamo commentate alcune parti del lungo articolo, Che potete leggere in integrale nel link in calce

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Brooks è una grande firma del giornalismo americano. Viene da un passato conservatore, a volte votò repubblicano. Ha condannato inequivocabilmente Trump (“sociopatico”, lo ha definito più volte) e contro di lui ha appoggiato le candidature di Hillary Clinton e Joe Biden. Aveva anche fatto una dichiarazione di voto per Barack Obama. Insomma, pur essendo rimasto un moderato ha rotto ogni rapporto con i repubblicani trumpiani. Tuttavia fa uno sforzo per capire l’apparente mistero che sconcerta il mondo intero: l’irresistibile ascesa di Trump nei sondaggi. Vale la pena prestargli attenzione, se non vogliamo rifugiarci nel logoro stereotipo secondo cui mezza America è fascista, razzista e bigotta.

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Brooks prende le mosse proprio da quest’ultimo stereotipo, quello che demonizza mezza America come una massa di incolti imbecilli reeazionari (a cui bisognerebbe togliere il diritto di voto, in buona sostanza, riservando la democrazia agli illuminati). Scrive: “I repubblicani vedono intorno a sé un mondo che cambia in modo sgradevolmente veloce e vogliono rallentarlo, magari anche fare un passo indietro. Ma se sei una persona di colore, una donna che apprezza la parità dei diritti o una persona Lgbt, vorresti tornare al 1963? E’ improbabile”. In questa storia gli anti-Trump sono la forza del Bene e del Progresso. I trumpiani sono oscurantisti e anti-democratici. Sostengono Trump in qualsiasi circostanza e nonostante tutte le accuse giudiziarie, perché lui incarna i loro risentimenti e questa è l’unica cosa che conta.

“In parte io sono d’accordo con questa versione – scrive Brooks – però essa è anche un monumento all’auto-compiacimento delle élite”. Da qui parte per illustrare una contro-narrazione. 

In questa versione alternativa, spiega Brooks, “noi” non siamo gli Eterni Buoni. In realtà siamo i cattivi. Quella che segue non è una teoria del complotto, al contrario è una storia ben nota, avvenuta alla luce del sole. Dovremmo conoscerla. Ha inizio negli anni Sessanta, quando i figli della classe operaia (no, non solo neri, anzi a maggioranza bianchi) vanno a combattere e a morire in Vietnam; mentre i figli della borghesia ottengono il rinvio del servizio militare grazie agli studi universitari (così vuole la legge di quegli anni). I figli della classe operaia restano, malgrado tutto quel che subiscono, dei patrioti. I figli della borghesia che sono al sicuro a casa propria bruciano la bandiera americana nelle piazze e nei campus universitari, si costruiscono una “buona coscienza pacifista”, e insultano i reduci di ritorno dal fronte. La spaccatura tra le due Americhe è già tutta lì.


Qualcosa di molto simile accade negli anni Settanta sul terreno razziale. Le élite privilegiate e illuminate decidono che non bastano le conquiste dei diritti civili, bisogna che gli afroamericani siano portati a livello dei bianchi mescolandoli nelle stesse scuole. Poiché non abitano negli stessi quartieri, ha inizio l’esperimento di massa del “busing”, cioè gli autobus scolastici che trasportano alunni da un quartiere all’altro. Nella realtà accade che vengono mescolati i figli dei Black con i figli della classe operaia bianca. Questi ultimi subiscono un abbassamento nella qualità media delle scuole. La borghesia medioalta non viene toccata da questo esperimento di ingegneria sociale su vasta scala, i suoi figli restano al sicuro in scuole di élite. Ma ha la coscienza a posto, sta facendo quel che è giusto per risarcire le colpe dello schiavismo.

E così via, di decennio in decennio, fino a costruire la meritocrazia come la conosciamo oggi. Dove, per esempio, nelle grandi università di élite un modo pressoché certo di essere ammessi è avere dei genitori della classe dirigente (che hanno frequentato quelle stesse università; oppure vi donano milioni); un altro modo è appartenere a minoranze etniche o sessuali. I perdenti sono sempre gli stessi: i figli dei bianchi che non hanno alcun titolo di studio o al massimo il diploma della secondaria superiore. E’ un sistema intriso di valori progressisti e al tempo stesso profondamente iniquo. Dove i perdenti sono “cornuti e mazziati”, diremmo noi. La classe operaia bianca si vede bloccate molte strade, negate molte opportunità, e per di più relegata nella categoria dei rozzi, ignoranti, razzisti. Un presidente come Obama, plurilaureato nella più élitaria delle università, è stato studiato dai linguisti per l’elevata frequenza statistica con cui nei discorsi usava l’aggettivo “smart”: che unisce il concetto di intelligente, brillante, moderno, avanzato. Designa ovviamente quelli come Obama, include generosamente chi lo vota. Gli altri? Stupidi.

Un passaggio prezioso nell’analisi di Brooks riguarda la professione di giornalisti, e in particolare il “tempio” dell’informazione per il quale lavora lui, il New York Times. Un tempo, ricorda l’editorialista, c’erano ancora dei figli di operai nelle redazioni dei giornali americani. Oggi la redazione del New York Times è per oltre il 50% laureata nelle 29 facoltà più elitarie d’America, cioè atenei le cui rette costano fino a 70.000 dollari l’anno. E più questi giornalisti, gli intellettuali, gli opinionisti provengono da ambienti sociali privilegiati, più si “purificano” adottando ideologie ultra-progressiste che esaltano i diritti delle minoranze.

I privilegiati hanno saputo sempre ottenere delle politiche in difesa dei loro interessi: l’apertura delle frontiere alla Cina li ha arricchiti come consumatori o come risparmiatori mentre distruggeva lavoro operaio; l’apertura delle frontiere agli immigrati gli ha fornito manodopera a buon mercato mentre deprimeva i salari operai. I privilegiati decidono il gergo etnicamente e sessualmente corretto che li distingue come illuminati; i non-laureati “devono fare acrobazie per capire come cambiano le regole, e se qualcosa che potevano dire fino a cinque anni fa oggi li espone al licenziamento”.

“Le istituzioni élitarie sono diventate sempre più di sinistra, in parte perché chi ci sta dentro vuol sentirsi dalla parte del giusto, mentre partecipa a sistemi che escludono e rigettano”, osserva Brooks.

E conclude tornando al tema di attualità, cioè Trump. I non laureati si sentono sotto un’aggressione economica, politica e morale, e vedono in Trump un loro difensore contro i ceti laureati. Trump ha capito che per gli operai la minaccia non sono gli imprenditori bensì le élite professionali, i laureati delle professioni intellettuali. Per la base popolare le incriminazioni di Trump “sono un episodio nelle guerre di classe tra élite professionali e lavoratori, un attacco condotto da avvocati e giuristi delle metropoli di sinistra che vogliono abbattere colui che gli tiene testa”.

https://www.nytimes.com/2023/08/02/opinion/trump-meritocracy-educated.html

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