martedì 15 ottobre 2024

SAMMY E LA DOLCE RIVOLUZIONE DI CRISTO.

 “Una vita da abbracciare per com’era, con le sue difficoltà, ma pur sempre splendida, un dono che mi è stato dato da Dio. Se in vita sono stato degno, se avrò portato la mia croce così come mi era stato chiesto di fare, ora sono dal Creatore, dal Dio mio, dal Dio dei miei padri, nella sua Casa indistruttibile”.

 

Sammy Basso (1/12/95 - 5/10/24)

“Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”.

Questo pensiero (dal film Andrej Rublëv di Andrej Tarkovskij) descrive l’impressione che hanno fatto a tantissimi le parole di commiato, lasciateci da Sammy Basso, che sono rimbalzate sui social, sorprendendoci e commuovendoci. La stessa impressione che Sammy faceva da vivo a chi lo incontrava o lavorava con lui.

La sua lettera-testamento giustamente è stata definita “bella, struggente e spiritosa”, ma è anche del tutto controcorrente rispetto alla mentalità oggi dominante. È dolcemente rivoluzionaria e non può essere ridotta ai banali buoni sentimenti che attualmente si smerciano su tutte le bancarelle mediatiche. Fa riflettere sul significato da attribuire alla vita, alla morte, alla malattia e al dolore.

Sammy era un giovane ricercatore, laureato in Scienze e in Biologia, che ha potuto studiare la sua malattia rarissima, la progeria che provoca un invecchiamento precoce. Era pieno di entusiasmo e creatività, irradiava simpatia e umanità come testimoniano i suoi compagni di scuola, i suoi amici e i compaesani. Sapeva che non avrebbe avuto molto tempo davanti a sé. È morto infatti a 28 anni.

Questa sua lettera – che lui scrisse il 22 settembre 2017 – è stata aperta dai suoi genitori dopo la sua morte e venerdì è stata letta dal Vescovo di Vicenza durante i funerali che – come lui voleva – sono stati pieni di luce e di sorrisi.

Anche se “fin da bambino la Progeria ha segnato profondamente la mia vita” scrive Sammy “ho vissuto la mia vita felicemente, senza eccezioni, con i momenti di gioia e i momenti difficili, con la voglia di fare bene, riuscendoci a volte e a volte fallendo miseramente (…). Sicuramente” aggiunge “in molti diranno che ho perso la mia battaglia contro la malattia”, ma “non c’è mai stata nessuna battaglia da combattere, c’è solo stata una vita da abbracciare per com’era, con le sue difficoltà, ma pur sempre splendida, pur sempre fantastica, né premio, né condanna, semplicemente un dono che mi è stato dato da Dio”.

Sammy confida un suo desiderio: “Sognavo di diventare una persona di cui si parlasse nei libri di scuola. Mi rendo conto ora che è il più stupido desiderio che si possa avere. La gloria personale, la grandezza, la fama, altro non sono che una cosa passeggera. L’amore che si crea nella vita invece è eterno, poiché Dio solo è eterno, e l’amore ci viene da Dio”.

Sui media si fanno solo vaghi cenni alla sua fede cristiana, preferendo ricordare soprattutto le sue battute scherzose.

Ma nella sua lettera-testamento, pubblicata dal Giornale di Vicenza, c’è molto di più e meriterebbe davvero di restare nelle antologie scolastiche. Quando si parla, con banale retorica giovanilistica, di Millennials Generazione Z bisognerebbe tener presente persone come Sammy.

Parlando degli eventi negativi, com’è una malattia, scrive: “quello che spetta a noi non è nel trovarci qualcosa di positivo, quanto piuttosto di agire sulla retta via, sopportando, e, per amore degli altri, trasformare un evento negativo in uno positivo”, questa è “la facoltà più importante che ci è stata data da Dio”.

Ma come si convive con il pensiero della morte? “La morte” scrive Sammy “è la cosa più naturale della vita. Eppure ci fa paura! È la paura dell’ignoto… Per un Cristiano però la morte è anche altro! Da quando Gesù è morto sulla croce, come sacrificio per tutti i nostri peccati, la morte è l’unico modo per vivere realmente, è l’unico modo per tornare finalmente alla casa del Padre, è l’unico modo per vedere finalmente il Suo Volto. E da Cristiano ho affrontato la morte. Non volevo morire, non ero pronto per morire, ma ero preparato”.

Anche lui guardava per questo all’esempio dei santi: “spero di essere stato in grado, nell’ultimo mio momento, di veder la morte come la vedeva San Francesco, le cui parole mi hanno accompagnato tutta la vita. Spero di essere riuscito anch’io ad accogliere la morte come ‘Sorella Morte’”.

Molto profondo è il suo bilancio, come il suo sguardo sull’esistenza: “Se in vita sono stato degno, se avrò portato la mia croce così come mi era stato chiesto di fare, ora sono dal Creatore. Ora sono dal Dio mio, dal Dio dei miei padri, nella sua Casa indistruttibile. Lui, il nostro Dio, l’unico vero Dio, è la causa prima e il fine di ogni cosa. Davanti alla morte nulla ha più senso se non lui. Perciò, come ho ringraziato voi voglio ringraziare anche LuiDevo tutta la mia vita a Dio, ogni cosa bella. La Fede mi ha accompagnato e non sarei quello che sono senza la mia Fede. Lui ha cambiato la mia vita, l’ha raccolta, ne ha fatto qualcosa di straordinario, e lo ha fatto nella semplicità della mia vita quotidiana. Non stancatevi mai, fratelli miei, di servire Dio e di comportarvi secondo i suoi comandamenti, poiché nulla ha senso senza di Lui e perché ogni nostra azione verrà giudicata”.

Torna ancora ad esortare all’eroismo silenzioso: “Non stancatevi mai, fratelli miei, di portare la croce che Dio ha assegnato ad ognuno, e non abbiate paura di farvi aiutare nel portarla, come Gesù. E non rinunciate mai ad un rapporto pieno e confidenziale con Dioaccettate di buon grado la Sua Volontà, poiché è nostro dovere, ma non siate nemmeno passivi, e fate sentire forte la vostra voce, fate conoscere a Dio la vostra volontà, così come fece Giacobbe, che per il suo essersi dimostrato forte fu chiamato Israele: Colui che lotta con DioDi sicuro, Dio, che è madre e padre, che nella persona di Gesù ha provato ogni umana debolezza, e che nello Spirito Santo vive sempre in noi, che siamo il suo Tempio, apprezzerà i vostri sforzi e li terrà nel Suo Cuore

Una testimonianza potente, delicata e piena di gratitudine che demolisce montagne di chiacchiere ideologiche (sulla vita e sul cristianesimo).

Una testimonianza lieta che già induce i cristiani – a cominciare dalle migliaia di persone presenti ai funerali – a sentire che ora hanno un nuovo amico in Cielo a cui chiedere aiuto, perché la santità è proprio questa cosa semplice, luminosa e umana che traspare dalla vita e dalle parole di Sammy. Davanti alle quali viene da dire “santo subito”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 13 ottobre 2024

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domenica 13 ottobre 2024

VERSO L’ALTO: IL FILM SUL BEATO PIER GIORGIO FRASSATI

 La figura di Pier Giorgio Frassati al centro di un accurato docufilm trasmesso su Rai Storia. Un’occasione per conoscere un beato, presto santo, che continua ad attrarre.

Si intitola Verso l’alto, proprio come la scritta che il beato Pier Giorgio Frassati (6 aprile 1901 – 4 luglio 1925) pose sul retro di una fotografia che lo immortala mentre è impegnato in una scalata, quella della sua ultima gita in montagna, avvenuta domenica 7 giugno 1925, poco meno di un mese prima della sua morte. Parliamo del docufilm prodotto da Cristiana Video, in collaborazione con EWTN
(Eternal World Television Network), la rete televisiva statunitense fondata da Madre Angelica (1923-2016).

Verso l’alto, scritto e diretto da Daniela Gurrieri, è visibile  su Rai Play. Una figura che più si conosce e più attrae, per la sua radicalità evangelica e la sua schiettezza fuori dal comune, capace di compiere in un arco di vita relativamente breve – 24 anni – una scalata alla santità tanto originale quanto per certi versi sorprendente, specie se si pensa al contesto familiare in cui crebbe Pier Giorgio (la madre credente ma piuttosto formalistica a livello religioso, il padre – a lungo proprietario e direttore della Stampa – convertitosi solo dopo la morte del figlio).

Il film (della durata di circa 50 minuti) restituisce in modo puntuale alcuni dei tratti essenziali della personalità di Pier Giorgio. La parte dedicata alla fiction si apre nel suo ultimo anno di vita, il 1925, con diversi flashback che si soffermano su episodi e aspetti particolari, come il suo profondo raccoglimento (si potrebbe dire mistico) durante l’adorazione eucaristica, la sua preparazione per servire Messa, i suoi soggiorni a Berlino, le sue premure per i bisognosi di ogni sorta, il progetto di divenire ingegnere minerario per migliorare le condizioni dei minatori, eccetera.

Fulcro della fiction è un’escursione in montagna fatta da Pier Giorgio (interpretato da Francesco Buttironi) con i suoi amici della Fuci. Lo spettatore comprende presto la generosità di Frassati e, ancora, che quella che è una delle sue più grandi passioni – la montagna, appunto – è subordinata all’amore per Dio che anima il beato stesso, il quale fa di tutto per “piazzare” una Messa all’alba, a precedere la gita. Viene fuori il Frassati innamorato dell’Eucaristia (di cui si ciba ogni giorno) e che con il suo carisma, pur rispettando la libertà di ognuno, esorta gli amici ad accostarsi il più possibile a Gesù nel SS. Sacramento, perché è questa la premessa per lanciarsi nell’apostolato.

Attraverso lo sguardo di un nuovo amico, un siciliano, si scopre in cosa consiste la Compagnia dei Tipi Loschi, cioè quell’associazione fondata da Pier Giorgio e dai suoi amici più stretti, contraddistinta dall’allegria dei suoi membri – i lestofanti e le lestofantesse – e dall’impegno a vivere profondamente l’amicizia, mettendo al suo centro la fede cattolica e pregando l’uno per l’altro.

La fiction scorre leggera, con i protagonisti che scalano la montagna tra Rosari, canti, chiacchierate tra il serio e il faceto, volte a rispecchiare la genuinità dei rapporti tra Frassati e i suoi amici e la tensione del beato a vivere il Vangelo nella sua pienezza: unica via, questa, per attrarre davvero i giovani e tenerli lontani dalle ideologie, dal fascismo al comunismo. Vari gli episodi storici che vengono richiamati, in cui risalta la tempra di Frassati, da quando – in occasione del 50° anniversario della Gioventù Cattolica (1918) – difese la bandiera della Fuci dal tentativo di una guardia regia di strappargliela (al tempo il governo era guidato dal massone Vittorio Emanuele Orlando – il quale pure visse un suo riavvicinamento alla fede – e c’era un diffuso clima anticattolico) fino alla sua resistenza al fascismo.

Il film si mantiene aderente alla realtà, basandosi sulle numerose testimonianze sul beato e sul suo stesso epistolario, a volte citato in modo letterale. E anche le parti più romanzate mantengono il loro aggancio a virtù e gesti reali di Frassati.

Preziosa anche la parte delle interviste, dove si ricorda tra l’altro il suo legame con Maria Santissima e in special modo la devozione per la “sua” Madonna, quella di Oropa; il suo amore per i poveri, le sue visite al “borgo del fumo”, a Torino, dove non portava solo beni materiali, ma si preoccupava di confortare ogni famiglia. E, ancora, quello per gli ammalati, in particolare quelli ospitati alla Piccola Casa della Divina Provvidenza (il Cottolengo), uno dei luoghi che frequentava di più. Una carità eroica, la sua, fondata chiaramente sul rapporto intimo con Cristo.

Ne esce in breve un bel ritratto di Pier Giorgio, che «era conosciuto per essere un gran burlone, ma quando si trattava delle cose di Dio non c’era nessuno più serio di lui». Questa l’efficace sintesi di Christine Wohar, presidente dell’associazione Frassati USA, una delle tante realtà dedicate al beato piemontese. Un beato, vicino a essere proclamato santo (lo sarà nel 2025, per il Giubileo), la cui conoscenza può fare un grande bene alla Chiesa e al mondo intero.

Brani tratti da Ermes Dovico La nuova Bussola

https://lanuovabq.it/it/verso-lalto-il-docufilm-sul-beato-pier-giorgio-frassati

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Papa Francesco e Pier Giorgio Frassati (13 giugno 2018)

“Alcuni pensano che sia meglio spegnere questo impulso - l’impulso di vivere - perché pericoloso. Vorrei dire, specialmente ai giovani: il nostro peggior nemico non sono i problemi concreti, per quanto seri e drammatici: il pericolo più grande della vita è un cattivo spirito di adattamento che non è mitezza o umiltà, ma mediocritàpusillanimità. Un giovane mediocre è un giovane con futuro o no? No! Rimane lì, non cresce, non avrà successo. La mediocrità o la pusillanimità. Quei giovani che hanno paura di tutto: “No, io sono così …”. Questi giovani non andranno avanti. Mitezza, forza e niente pusillanimità, niente mediocrità. Il Beato Pier Giorgio Frassati – che era un giovane - diceva che bisogna vivere, non vivacchiare. I mediocri vivacchiano. Vivere con la forza della vita. Bisogna chiedere al Padre celeste per i giovani di oggi il dono della sana inquietudine. Ma, a casa, nelle vostre case, in ogni famiglia, quando si vede un giovane che è seduto tutta la giornata, a volte mamma e papà pensano: “Ma questo è malato, ha qualcosa”, e lo portano dal medico. La vita del giovane è andare avanti, essere inquieto, la sana inquietudine, la capacità di non accontentarsi di una vita senza bellezza, senza colore. Se i giovani non saranno affamati di vita autentica, mi domando, dove andrà l’umanità? Dove andrà l’umanità con giovani quieti e non inquieti?

Qui puoi leggere tutta  la  Catechesi sui Comandamenti del 13 giugno 2018.

Pier giorgio Frassati è stato beatificato da san Giovanni Paolo II il 20 maggio 1990 e sarà beatificato nel prossimo anno giubilare.

HUSSAM ABU SINI, LA NOVITÀ DELLA MIA VITA

La testimonianza in video collegamento da Haifa, Israele, del responsabile della comunità del movimento in Terra Santa

Hussam Abu Sini

Giornata d'inizio anno di CL Lombardia (21.09.2024)

Buon pomeriggio a tutti, io sono Hussam. Per chi non mi conosce sono cattolico, arabo, israeliano, di origine palestinese. È complicato... Faccio l’oncologo, sono nato e cresciuto a Nazareth e vivo ad Haifa, una città sul mare nel nord di Israele, con mia moglie Chiara, che è italiana, e i nostri due figli piccoli.


Ho incontrato il movimento nel 2008, studiando Medicina a Torino. (…)

Nell’incontro con quelle persone, io ho capito che c’era un altro modo di trattare le cose, c’era un amore che era gratuito verso di me e mi è stato chiesto solo di ricambiarlo. Così, nel 2016 finisco l’università e decido di tornare a casa, in Terrasanta, con l’idea di portare la bellezza e la pienezza che avevo incontrato in Italia ai cristiani qui, alla gente che vive qui, perché potessero vedere quello che avevo visto io.

Avevo anche quella posizione “ideologica” che hanno quasi tutti qui: noi cristiani, noi arabi, siamo qui da prima e dobbiamo starci. Nel percorso che ora vi racconto, capirete che quest’idea – che è ideologica – crolla subito, alla prima tempesta, innanzitutto per me.

Quello che ho capito in tutti i fatti che racconterò è una frase che monsignor Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, ci ha detto all’Assemblea del Medioriente e poi all’Assemblea internazionale dei responsabili: «Essere in missione vuol dire essere mandati da qualcuno, a qualcuno, con qualcuno». Lo avevo già compreso nell’incontro fatto a Torino, ma poi l’ho capito ancora di più dopo, stando qui, perché la prima cosa che ho fatto, quando sono tornato, è stata cercare la comunità del movimento. Quindi ho iniziato a stare con loro, però poi, piano piano, mi sono un po’ allontanato per dedicarmi al lavoro. Ma non ero contento come ero contento in Italia, per quella pienezza e bellezza che vi ho raccontato. Un giorno, gli amici della comunità mi invitano a cena e io desideravo andare, perché mi mancavano. Ma, mentre andavo, per tutto il viaggio mi dicevo: «Adesso inizieranno a dirmi: “Dove sei stato? Perché non sei più venuto, non ti sei fatto vedere? Dicevi che era la prima cosa che hai cercato ...”». La cena era a Betlemme e, quando sono arrivato, non volevo entrare, volevo tornare a casa; prima di salire le scale dicevo: «No, no, adesso si arrabbiano…». Entro e c’è un nostro amico, Ettore, un memor Domini che è stato qui per vent’anni, che, appena mi vede, mi abbraccia e mi dice: «Ci sei mancato!». Quell’abbraccio è stato molto significativo per me. Mi dicevo: «Dove si trova un abbraccio così?». Quell’abbraccio me lo porto fino ad oggi. Infatti, quando nel 2018 mi hanno chiesto la responsabilità della comunità in Terrasanta, ho detto subito di sì perché era la forma con cui ricambiare quell’amore che io ricevo di continuo.

Vi ho raccontato questi fatti per farvi capire quanto dicevo all’inizio, riprendendo monsignor Martinelli: «Mandati da qualcuno, a qualcuno, con qualcuno». Quest’anno – l’anno della guerra – è stato molto importante per me. Io personalmente ho fatto tanti passi, e anche tutta la comunità ha fatto tantissimi passi.

CL MILANO, giornata inizio anno 21/09/24


Il 7 ottobre 2023 stavamo vivendo la nostra vacanza. Per la prima volta, l’avevamo fatta a inizio anno e non alla fine, proprio per farla coincidere con la Giornata d’inizio anno. Vi spiego la complessità della nostra comunità, che è mista: ci siamo io, mia moglie e i miei figli, ed io sono arabo-israeliano; c’è un’altra ragazza arabo-israeliana; un ragazzo italiano che fa il dottorato ad Haifa; alcuni memores Domini che vivono a Gerusalemme; quattro donne palestinesi di Betlemme e altre due ragazze cattoliche di lingua ebraica. La nostra vacanza era dal 6 all’8 ottobre, in un paesino che si chiama Abu Ghosh, venti minuti a nord di Gerusalemme. Il 6 iniziamo, con l’introduzione, i giochi, un bel clima, bell’ambiente... Ci svegliamo il 7 con tutti i video e le notizie di quanto era successo nei kibbutz vicino a Gaza. Subito ci sono stati momenti di agitazione, di ansia. Insieme a noi c’erano quattro persone venute dall’Italia ad accompagnarci, compreso il nostro visitor, e all’inizio abbiamo deciso di continuare la vacanza, perché comunque non si poteva uscire da lì: sentivamo i razzi, i bombardamenti e ci siamo messi a recitare le Lodi insieme. È stato il primo punto importante per me: lì ho capito che l’unità era data dalla circostanza, sì, ma eravamo uniti perché guardavamo tutti dalla stessa parte. Mi ha colpito molto una frase che il cardinale Pierbattista Pizzaballa, il nostro Patriarca, ha scritto a tutta la Diocesi: «Dove c’è un disordine, solo Dio può mettere ordine». Quella giornata poteva essere la più disordinata della nostra storia, invece si è svolta in un ordine incredibile. Solo Dio poteva mettere ordine e tutti ce ne stavamo accorgendo, tutti stavamo guardando dalla stessa parte. Mentre facevamo la Giornata d’inizio, che abbiamo anticipato al mattino, è caduto un razzo a trecento metri da noi (e con noi c’erano i bambini!). È stato bello come siamo andati tutti nel bunker, con un ordine mai visto prima, come una famiglia: l’arabo chiedeva dell’ebreo, l’ebreo chiedeva dell’arabo. Ci siamo proprio scoperti come dei fratelli che stavano facendo una vacanza insieme. Al pomeriggio, per stemperare un po’ la tensione, abbiamo fatto dei giochi, fino a quando è arrivata la notizia che i check-point tra Gerusalemme e Betlemme potevano essere chiusi a tempo indeterminato. Per chi non lo sa, tra Israele e Palestina c’è un muro e i palestinesi, per passare i check-point, hanno bisogno di un permesso speciale. Se rimanevano chiusi a tempo indeterminato, loro sarebbero rimasti bloccati in Israele senza poter tornare dalle loro famiglie. Allora abbiamo detto la Messa velocemente, per poi ripartire. Una nostra amica di Betlemme, mentre stava andando via, con le lacrime agli occhi mi ha detto: «Io devo tornare a casa, c’è la mia famiglia, ma non voglio perdere l’intensità che stiamo vivendo qui». Io l’ho abbracciata e le ho risposto: «Guarda, non finisce qui. Si inizia da qui!». E un nostro amico, venuto dall’Italia, ha detto: «We are one», siamo una cosa sola. Questo è stato il nostro motto di tutto l’anno, poi vi racconto perché.

Torniamo a casa, e allora non sapevamo ancora dove si stava andando, e continuiamo ad andare avanti senza sapere. A dieci giorni dall’inizio della guerra, il cardinale Pizzaballa indice una giornata di digiuno e preghiera. E questo mi ha colpito tanto: la presenza di Pizzaballa in questi mesi è stata per me e per la nostra comunità fondamentale, cruciale, perché è stato l’unico a richiamare la pace tra due popoli che gridavano vendetta. In una lettera a tutta la Diocesi ha scritto: «Cristo ha vinto il mondo amandolo», e questo deve darci il coraggio di dire chi siamo. Io, grazie a quello che vi ho raccontato prima – dal primo incontro a quando sono tornato e all’abbraccio di Ettore, fino a quella vacanza – ho capito che Cristo mi ha vinto amandomi, offrendomi il Suo amore, e mi ha chiesto solo di ricambiarlo. Questo mi deve dare il coraggio di andare a dire chi sono.


In quella giornata di digiuno e preghiera, con mia moglie siamo andati a Messa, era un martedì sera e mi ha colpito molto che la chiesa fosse affollata, da noi normalmente la gente va solo la domenica: lì ci siamo scoperti parte di un popolo, un popolo che sta gridando la pace. E per questo – inizialmente su richiesta di mia moglie, poi giudicandolo insieme – abbiamo deciso di anticipare il Battesimo di nostra figlia Marta, che allora aveva quattro mesi. Primo: perché, giudicando con gli amici, avevamo paura, non sapevamo come sarebbero andate le cose. Secondo: perché volevamo che nostra figlia facesse parte di quel popolo. E terzo: per affidarla all’Unico che ci dava la speranza in un momento in cui mancava la speranza per il Paese. Il Battesimo è stato bellissimo: lo abbiamo celebrato qui ad Haifa, in una piccola cappella dei cattolici di lingua ebraica (il parroco è italiano e in questi anni siamo diventati amici) e il rito si è svolto in tre lingue diverse: italiano, arabo ed ebraico. Dico sempre ai miei amici: «Trovatemi un posto, in questa situazione, dove si incontrano queste tre lingue insieme!». È stata proprio una grande festa affidare nostra figlia all’Unico che ci dava speranza in quel momento. Dico anche – da padre – che la forma di amore più bella che si può dare a un figlio è affidarlo, perché se l’amore non è quello, c’è qualcosa che non va. Lì ho capito sempre più che è un amore a caratterizzare la mia vita e che mi accompagna nel lavoro che faccio. (...)


Faccio l'oncologo ad Haifa e racconto un episodio, accaduto con un mio paziente ebreo, che è morto il 28 aprile. Quest’uomo, a cui mi sono molto affezionato, aveva un tumore al polmone metastatico. Ho provato di tutto con lui (chemioterapia, radioterapia, immunoterapia, operazione alla colonna vertebrale), ma andava tuto male, la malattia progrediva e io mi sentivo un po’ fallito rispetto a lui. L’ultima settimana della sua vita, mi chiama la moglie: «Guarda, non ce la stiamo più facendo, sta sempre a letto, è ingestibile. Come facciamo?». E io: «Portalo da me in ospedale, lo ricovero. Sappiamo dove sta andando, che muoia con dignità». Per cui lo porto subito in reparto, vado a trovarlo e lui mi dice: «Grazie per tutto quello che hai fatto per me». Io tra me e me mi arrabbio: «Sta andando tutto male!». Il giorno dopo, alle sette del mattino, per prima cosa vado a trovarlo e scopro che ha mandato la moglie a comprare dei regali per i miei figli. Gli dico: «Ma tu lo sai dove stai andando; perché l’hai fatto?». E lui: «So benissimo dove sto andando, ma grazie a te ho guardato la malattia in un altro modo». Lì è stato subito un altro richiamo per me: io non sono lì per guarire (desidero guarirli tutti!), ma io sono lì per comunicare un’altra cosa. E quell’uomo è morto felice.

Quella mattina, esco dalla camera con i due regali per i miei figli, con quel richiamo che mi aveva “spaccato” in due, e vedo un infermiere con cui siamo amici da cinque anni. Lui, tutte le volte che si discute, soprattutto per la guerra, mi dice: «Hai la moglie italiana, l’Italia è il Paese più bello al mondo, scappa! Cosa stai facendo qui? Perché rimani? Puoi andartene…». Quel giorno, mi vede, gli racconto del paziente, e mi dice: «Da cinque anni cerchi di spiegarmi perché vuoi stare qui. Oggi l’ho capito. Tu devi stare qui». Veramente, se noi rimaniamo è per un compito, un compito grandissimo.

Scoprendo di più il Suo amore, ho scoperto sempre di più anche il valore della nostra comunità: quest’anno ci siamo sorpresi a essere come una famiglia, fratelli. Abbiamo cominciato a fare delle cose insieme. L’Angelus tutti i giorni all’una, che per me è un momento molto importante, in cui ci fermiamo per fare memoria di quello che ci unisce. E poi la Scuola di comunità tutte le settimane (anche se online), e il dare un giudizio comunionale, un giudizio vissuto in una comunione. È nata anche l’idea di fare una giornata di convivenza una volta al mese. Come ci siamo scoperti fratelli? I fratelli non si risparmiano, non è che si “abbracciano” e basta; i fratelli si guardano in faccia. Come dicevo prima, la nostra non è una comunità facile, è mista e le frizioni tra persone diverse ci sono sempre. Racconto solo una call che ho vissuto con tre donne palestinesi per tantissimi problemi che si erano creati: la call, alle dieci di sera, era iniziata con toni arrabbiati («Vogliamo che le cose siano così!») e a un certo punto mi sono arrabbiato anch’io: «Perché sono qui alle dieci e mezza a parlarvi? Perché vi voglio bene! Voi siete fondamentali nel cammino che facciamo, perché siete il primo richiamo per me. Come anche gli altri sono fondamentali». E loro mi chiedono: «Ma come facciamo a vivere così?». «Per l’appartenenza a un luogo». E loro: «Ma come si fa ad appartenere sempre più?». «C’è una forma: l’iscrizione alla Fraternità». E loro, tutte e tre insieme: «Vogliamo iscriverci alla Fraternità!». Mi ha colpito tanto, perché in un momento particolare tu decidi di ricambiare quell’amore: al posto di fare come fa il mondo, tu decidi di ricambiare quell’amore lì.
(…)

Infatti vorrei chiudere esattamente come ho iniziato: «Mandato da qualcuno, a qualcuno, con qualcuno» è quello che caratterizza la mia vita. Questa è la novità della mia vita, che mi fa essere più uomo, più padre dei miei figli, più marito di mia moglie, più oncologo dei miei pazienti e più amico dei miei amici. Grazie.

https://it.clonline.org/storie/mondo/2024/10/07/gia-testimonianza-hussam

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lunedì 7 ottobre 2024

TUTTI I VOLTI DEL NUOVO ANTISEMITISMO. E PERCHÉ BISOGNA PRENDERLO SUL SERIO

 

Amsterdam, monumento ad Anna Frank
Dopo il 7 ottobre 2023 è cresciuta un’ondata di antisemitismo come non si manifestava in Europa e in Occidente dagli anni Trenta del Novecento. Così in prestigiose università americane, così con attentati a sinagoghe in Francia, così ad Amsterdam dove è stata deturpata di vernice rossa con lo slogan “Free Gaza” una statua di Anna Frank, nelle mani e nella base. L’Italia non è stata da meno: si sono registrati nell’ultimo anno oltre quattrocento atti di antisemitismo con giornalisti ebrei come Maurizio
Molinari
 e David Parenzo a cui è stato impedito di parlare, con rettori che si sono esposti nel boicottaggio di progetti di ricerca israeliana. Con gli attacchi alla brigata ebraica nel corteo del 25 aprile a Milano, con il tentativo chiamato da Iuri Maria Prado di “Pride judenfrei”, con gruppetti estremisti di sinistra che hanno pubblicato elenchi di ebrei da aggredire, con manifestazioni indette per celebrare i massacri del 7 ottobre, con tifosi italiani che nello stadio di Budapest hanno voltato le spalle in segno di disprezzo all’inno di Israele, con quel povero scappato di casa di capogruppo dei 5 stelle nella commissione Esteri della Camera che spiega come la democrazia della Germania hitleriana sia stata tale e quale a quella israeliana.

A lungo in Europa e in Italia, e con particolari orrori nel Novecento, l’antisemitismo è stato un indice di profondi guasti nella nostra civilizzazione: al nuovo antisemitismo va dunque dedicata tutta l’attenzione possibile e tutto l’impegno necessario per contrastarlo. Storicamente ondate di irrazionalismo hanno coinvolto spesso nuove generazioni alla ricerca di un senso del mondo, talvolta proprio nei posti più sbagliati come nel caso inquietante dell’antisemitismo che circola oggi anche nelle nostre università: un fenomeno alimentato innanzi tutto dalla miseria “morale e intellettuale” di diversi “non adolescenti” che hanno trovato il modo per riproporsi nel classico ruolo di “cattivi maestri”.

Esce in questi giorni, per Liberilibri, La nuova caccia all’ebreo, pamphlet in cui Pierluigi Battista racconta il cataclisma avvenuto nella mente occidentale dopo il pogrom del 7 ottobre contro Israele: “Mi rendo conto di dire una cosa enorme. Ma penso si sia disintegrato l’ordine morale intorno a cui il mondo contemporaneo, ma in particolare l’Europa, si era ricostruito dopo la fine della Seconda Guerra mondiale”».

Battista suggerisce, oltre al suo libro, anche uno di Gilles Kepel, pubblicato da Feltrinelli, che si intitola Olocausti e spiega il senso del pogrom del 7 ottobre, e soprattutto lo sconvolgimento che il 7 ottobre ha provocato in Occidente, fino a “sdoganare” l’antisemitismo e la cancellazione simbolica del genocidio del popolo ebraico.

Riflettere criticamente, in modo informato e con buone letture sulla profondità del fenomeno del neo-antisemitismo con cui facciamo i conti oggi è la base per mobilitarsi poi nel contrastarlo.

LODOVICO FESTA su Tempi

PAPA FRANCESCO INVOCA LA MADONNA :”INTERCEDI PER IL NOSTRO MONDO IN PERICOLO”


Basilica di Santa Maria Maggiore
Domenica, 6 ottobre 2024

 

Papa Francesco a Santa Maria Maggiore, Roma

O Maria, Madre nostra, siamo nuovamente qui davanti a te. Tu conosci i dolori e le fatiche che in quest’ora appesantiscono il nostro cuore. Noi alziamo lo sguardo a te, ci immergiamo nei tuoi occhi e ci affidiamo al tuo cuore.

Anche a te, o Madre, la vita ha riservato difficili prove e umani timori, ma sei stata coraggiosa e audace: hai affidato tutto a Dio, hai risposto a Lui con amore, hai offerto te stessa senza risparmiarti. Come intrepida Donna della carità, in fretta ti sei recata ad aiutare Elisabetta, con prontezza hai colto il bisogno degli sposi durante le nozze di Cana; con fortezza d’animo, sul Calvario hai rischiarato di speranza pasquale la notte del dolore. Infine, con tenerezza di Madre hai dato coraggio ai discepoli impauriti nel Cenacolo e, con loro, hai accolto il dono dello Spirito.

E ora ti supplichiamo: accogli il nostro grido! Abbiamo bisogno del tuo sguardo, del tuo sguardo amorevole che ci invita ad avere fiducia nel tuo Figlio Gesù. Tu che sei pronta ad accogliere le nostre pene vieni a soccorrerci in questi tempi oppressi dalle ingiustizie e devastati dalle guerre, tergi le lacrime sui volti sofferenti di quanti piangono la morte dei propri cari, dei propri figli, ridestaci dal torpore che ha oscurato il nostro cammino e disarma i nostri cuori dalle armi della violenza, perché si avveri subito la profezia di Isaia: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra» (Is 2,4).


SALUS POPULI ROMANI

Icona bizantina del 1° millennio cristiano
attribuita tradizionalmente a Luca Evangelista
Cappella Borghese, Santa Maria Maggiore.
Oggetto di particolare devozione dei Papi
Nel 1571 Papa Paolo V pregò per ottenere
la vittoria a Lepanto.
Il 27 marzo 2020 Papa Francesco ha fatto condurre l'icona in piazza San Pietro per implorare  la fine della pandemia; quel giorno si è registrato il picco di morti giornalieri in Italia nella prima ondata di COVID-19, che dal giorno successivo ha iniziato a declinare.
O Madre, Salus Populi Romani, prega per noi!


sabato 5 ottobre 2024

KAMALA HARRIS : GREEN NEW DEAL ADDIO


Fra tutti i ripensamenti e dietrofront di Kamala Harris, questo è uno dei meno dibattuti, almeno al di fuori degli Stati Uniti.

E’ più noto il fatto che la candidata democratica ha rinnegato tutte le sue posizioni di quattro anni fa sull’immigrazione e sull’ordine pubblico.

Ma la politica ambientale è stata egualmente l’oggetto di “aggiustamenti” clamorosi.

Nel 2020 Harris prometteva di mettere fuorilegge l’estrazione di energie fossili attraverso la tecnica del fracking; voleva rendere obbligatorie le auto elettriche; abbracciando il Green New Deal fissava l’obiettivo di eliminare completamente entro dieci anni il consumo di gas petrolio carbone.

Ora non c’è più nulla di tutto ciò nel suo programma elettorale, anzi la campagna Harris dice esplicitamente di aver cancellato questi tre temi.

Il resto del mondo non se n’è accorto. Ancora pochi giorni fa qui a New York, durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite, solo la possibilità di una vittoria di Donald Trump il 5 novembre è stata discussa come una battuta d’arresto per l’agenda ambientalista.

Quello che non sembra essere stato presente nella consapevolezza di questi negoziatori, è che non solo nell’eventualità di un Trump bis, ma anche con Kamala Harris alla Casa Bianca l’agenda ambientalista dell’America ha già imboccato la strada di un ridimensionamento. E' in atto da tempo sotto l’Amministrazione Biden-Harris.

È stato rivelatore il dibattito televisivo di questa settimana fra i due candidati alla vicepresidenza, J.D. Vance e Tim Walz. Il democratico si è vantato del fatto che durante la presidenza Biden la produzione di petrolio e gas sul territorio Usa ha raggiunto il massimo storico. Non è un’affermazione nuova perché proprio Biden il 31 agosto lo aveva annunciato sui social media: “Sotto la mia guida gli Stati Uniti hanno aumentato in modo responsabile la produzione di petrolio in modo da soddisfare i nostri bisogni immediati – senza ritardare o rallentare la nostra transizione verso l’energia pulita”. Da notare che quando la Casa Bianca parla di “energia pulita” vi include il nucleare, del quale è in corso un rilancio. Di recente il Dipartimento dell’Energia ha garantito un prestito da 1,5 miliardi di dollari per la riapertura di una centrale nucleare nel Michigan.

Un’analisi del programma elettorale di Kamala Harris non lascia dubbi sulla sterzata compiuta nell’arco di questi quattro anni. A partire dal 2018 quando era senatrice, e poi nel 2020 come candidata alla nomination democratica, Kamala Harris era una orgogliosa firmataria del Green New Deal (insieme con la giovane leader dell’ala sinistra del suo partito, Alexandria Ocasio Cortez). Obiettivo proclamato: eliminare il consumo di energie fossili entro dieci anni. Da vicepresidente, Harris usò il suo potere di voto al Senato per far passare la legge da un trilione (mille miliardi di dollari) che conteneva finanziamenti e sussidi per le energie rinnovabili. Oggi la sua campagna presidenziale dice esplicitamente: Kamala Harris ha ritirato il suo appoggio al Green New Deal.

 

Harris a COP 28 Dubai parla in appoggio
al Green New Deal
Nel 2020 Harris annunciò che se eletta avrebbe vietato la tecnica del fracking per l’estrazione di energie fossili, seguendo la linea della sinistra ambientalista. (E’ una tecnica che spruzza getti di acqua mista a solventi chimici per “separare” petrolio e gas da rocce e sabbie bituminose). Alla convention democratica di Chicago ha annunciato il dietrofront anche su questo: il fracking potrà continuare a essere utilizzato.

Sempre quando era senatrice, Harris fu co-firmataria del disegno di legge che avrebbe voluto vietare tutte le automobili con motore a combustione entro il 2040. Il suo Stato, la California, le ha già messe al bando per il 2035. Oggi la posizione ufficiale della campagna elettorale è netta: “Kamala Harris non appoggia più quella proposta di legge, né alcuna forma di obbligo di acquistare auto elettriche”.

Che cosa ha spinto Kamala Harris a ripudiare il Green New Deal? In breve, tre fattori: consenso, realtà, sicurezza.

Fattore consenso: ovvero la sostenibilità sociale. Basta dare un'occhiata al listino prezzi della Tesla per capire che certe fughe in avanti della sinistra benestante californiana impongono costi troppo elevati per il resto della popolazione. Già Hillary Clinton pagò un prezzo politico fatale per questa insensibilità. Nel 2016 andò a dire alle regioni minerarie che il loro futuro consisteva nel trasformarsi in tante Silicon Valley. Perché naturalmente è facile per un minatore 55enne riconvertirsi al design delle app digitali... Guarda caso i collegi elettorali delle regioni minerarie finirono a Trump.

Fattore realtà: piano piano si è fatta strada la consapevolezza che abbandonare le energie fossili è un obiettivo di lungo periodo. Nel breve e anche nel medio termine non c'è altro modo, ad esempio, per produrre i fertilizzanti per l'agricoltura. E se crediamo che il pianeta possa sfamare otto miliardi di persone con l'agricoltura biologica, allora questo ambientalismo è superstizione, non scienza.

Fattore sicurezza: se l'Europa si era consegnata nelle braccia di Putin con la sua dipendenza dal gas russo, l'America rischia di fare lo stesso con la sua dipendenza da Xi Jinping per batterie elettriche e pannelli solari. Altra ragione per rallentare la decarbonizzazione e subordinarla a una reindustrializzazione. A questo proposito, ecco un altro caso di conflitti tra obiettivi: l'Amministrazione Biden si è accorta che i suoi piani per riportare sul suolo americano produzioni strategiche - a cominciare dai microchip - sono rallentati proprio dall'accumulo di regole e controlli ambientali. Sicché ha deciso di esentare le nuove fabbriche di semiconduttori dalle procedure sull'impatto ambientale.

Nella nuova versione un po' più realista dell'ambientalismo che si fa strada ai vertici del partito democratico, c'è più spazio per le strategie di "adattamento", quelle che investono per renderci meno vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico in corso. E anche per la cosiddetta geo-ingegneria che cerca di ridurre l'effetto-serra con interventi sull'atmosfera, un tema che è sempre stato tabù per gli ambientalisti-apocalittici, quelli che predicano la rinuncia allo sviluppo economico.

 

Tratto dalla newsletter di Federico Rampini

giovedì 3 ottobre 2024

TRUMP NON È IL MASSIMO, MA HARRIS È IL PEGGIO

Emanuele Boffi

Lui è un tipo egocentrico, lunatico e imprevedibile; lei è un tipico prodotto del laboratorio liberal, che sostituisce sistematicamente i fatti con le proprie opinioni

 

Il candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump e la sua avversaria democrat Kamala Harris durante il dibattito tv in vista delle presidenziali Usa, 10 settembre 2024 (foto Ansa)

Prendendo a prestito l’espressione usata da papa Francesco, possiamo azzardarci a dire che Donald Trump è il “male minore”. Mentre era sull’aereo di ritorno da Singapore, al Pontefice è stato chiesto: quale consiglio darebbe ai cattolici statunitensi che a novembre dovranno scegliere tra il repubblicano Donald Trump e la democratica Kamala Harris? Papa Bergoglio, come è noto, non ama il tycoon di cui, otto anni fa, arrivò a dire che non era «un buon cristiano». Eppure, rispondendo alla domanda postagli sull’aereo da una giornalista, Francesco ha voluto rimanere equidistante dai due candidati affermando che sono entrambi «contro la vita». Il primo perché respinge i migranti, la seconda perché è favorevole all’interruzione di gravidanza e «fare un aborto è uccidere un essere umano. Ti piace la parola, non ti piace, ma è uccidere». Scegliere tra i due è difficile, il Papa non saprebbe dire chi rappresenta il «male minore»; ognuno vada a votare e «scelga in coscienza».

In realtà, leggendo per intero la dichiarazione del Pontefice, ci si accorge di qualche sfumatura importante. Francesco, infatti, definisce un «peccato grave» e poi una «cattiveria» quella di respingere i migranti, mentre usa per due volte la parola «assassinio» per descrivere l’aborto. Quale dei due sia il male minore, ognuno lo capisce da sé e non è un caso che la risposta di Francesco abbia destato maggiori proteste nel campo democratico che in quello repubblicano (e in Italia era sufficiente leggere la lettera che Dacia Maraini ha scritto sul Corriere della Sera al Papa per capire che quelle parole sono state mal digerite più a sinistra che a destra).

La realtà, poi, è ancor più complicata, perché è senz’altro vero che Harris è una fiera pro choice e che Trump è più vicino alle posizioni pro life (basti pensare che è stato l’unico presidente a partecipare alla March for Life di Washington o ai giudici che ha nominato alla Corte suprema), ma è altrettanto vero che, soprattutto nell’ultimo periodo, quando ha capito che l’argomento poteva danneggiarlo tra l’elettorato femminile, ha reso molto più ambigua la sua posizione sui temi legati alla difesa della vita. Al contempo, al di là di certi toni propagandistici, va notato che Trump è contro l’immigrazione clandestina, che è cosa diversa dall’immigrazione regolare. Una posizione, tra l’altro, condivisa dalla sua rivale, di cui sono diventate celebri le parole rivolte nel giugno 2021 ai sudamericani che volevano attraversare il confine per entrare negli Stati Uniti: «Non venite, sarete respinti».

La verità, come ormai scriviamo da diversi anni, è che Trump è l’alternativa istintiva e rabbiosa a un progressismo insopportabile e pericoloso, di cui Kamala Harris, ancora più di Joe Biden, è emblema e portavoce. Trump è un tipo egocentrico, lunatico e imprevedibile, Harris è un prodotto del laboratorio liberal, espressione della sinistra woke e tecnocratica che sostituisce sistematicamente i fatti con le proprie opinioni per far prevale la propria visione ideologica sulla realtà. 

Con Trump si può sperare che gli Stati Uniti affrontino le grandi sfide globali (Cina, Israele, Ucraina, il green) con un certo pragmatismo. Con Harris sappiamo cosa ci aspetta. Non è mai bene scegliere il “male minore”, ma è sempre meglio che optare per il “male maggiore”.

 

martedì 1 ottobre 2024

SPINELLI IN CAMPO: SIAMO DAVVERO LIBERI?


 

Il 18 novembre si terranno le elezioni anticipate della regione Emilia Romagna a causa delle dimissioni del presidente Bonaccini.

Il Crocevia invita gli amici a vivere l’attesa di questo momento partecipando anche agli incontri che si succederanno.

Come 5 anni fa si candida con Fratelli d’Italia per il Consiglio Regionale l’amico STEFANO SPINELLI;  come inizio della campagna elettorale SPINELLI invita ad un incontro con Francesco Borgonovo, giornalista e vicedirettore de “La Verità”, che è stato altre volte a Cesena negli incontri proposti dai “Festival della libertà”.

Oggi  in Emilia Romagna sono in tanti a percepire insofferenza per un sistema di governo locale che si fa via via più intollerante e oppressivo. Un gruppo politico ha costruito nel corso degli anni un sistema di potere che sembra inattaccabile. Occorre dunque battersi per riscoprire il senso vero della parola “libertà”. Per  questo è fondamentale l’intervento di Borgonovo.