venerdì 3 maggio 2024

LA TESTIMONIANZA DELLA CHIESA E’ PER SUA NATURA PUBBLICA

 

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI VESCOVI CATTOLICI DEGLI STATI UNITI D’AMERICA
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

Sala del Concistoro
Giovedì, 19 gennaio 2012

Cari Fratelli Vescovi,

Saluto tutti voi con affetto fraterno e prego affinché questo pellegrinaggio di rinnovamento spirituale e di comunione profonda vi confermerà nella fede e nella dedizione al vostro compito come Pastori della Chiesa negli Stati Uniti d’America. Come sapete, è mia intenzione riflettere con voi, nel corso di quest’anno, su alcune delle sfide spirituali e culturali della nuova evangelizzazione.

Benedetto XVI e George W. Bush 2008

Uno degli aspetti più memorabili della mia visita pastorale negli Stati Uniti è stata l’opportunità che mi ha offerto di riflettere sull’esperienza storica americana della libertà religiosa, e più specificatamente sul rapporto tra religione e cultura. Al centro di ogni cultura, percepito o no, vi è un consenso riguardo alla natura della realtà e del bene morale, e quindi sulle condizioni per la prosperità umana. In America tale consenso, così come racchiuso nei documenti fondanti della nazione, si basava su una visione del mondo modellata non soltanto dalla fede, ma anche dall’impegno verso determinati principi etici derivanti dalla natura e dal Dio della natura. Oggi tale consenso si è ridotto in modo significativo dinanzi a nuove e potenti correnti culturali, che non solo sono direttamente opposte a vari insegnamenti morali centrali della tradizione giudaico-cristiana, ma anche sempre più ostili al cristianesimo in quanto tale.

Da parte sua, la Chiesa negli Stati Uniti è chiamata, in ogni tempo opportuno e non opportuno, a proclamare il Vangelo che non solo propone verità morali immutabili, ma le propone proprio come chiave per la felicità umana e la prosperità sociale (cfr. Gaudium et spes, n. 10). Nella misura in cui alcune tendenze culturali attuali contengono elementi che vogliono limitare la proclamazione di tali verità, o racchiudendola entro i confini di una razionalità meramente scientifica o sopprimendola nel nome del potere politico e del governo della maggioranza, esse rappresentano una minaccia non solo per la fede cristiana, ma anche per l’umanità stessa e per la verità più profonda sul nostro essere e sulla nostra vocazione ultima, il nostro rapporto con Dio. Quando una cultura tenta di sopprimere la dimensione del mistero ultimo e di chiudere le porte alla verità trascendente, inevitabilmente s’impoverisce e diviene preda, come ha intuito tanto chiaramente il compianto Papa Giovanni Paolo II, di una lettura riduzionistica e totalitaristica della persona umana e della natura della società.

Con la sua lunga tradizione di rispetto del giusto rapporto tra fede e ragione, la Chiesa ha un ruolo cruciale da svolgere nel contrastare le correnti culturali che, sulla base di un individualismo estremo, cercano di promuovere concetti di libertà separati dalla verità morale. La nostra tradizione non parla a partire da una fede cieca, bensì da una prospettiva razionale che lega il nostro impegno per costruire una società autenticamente giusta, umana e prospera alla nostra certezza fondamentale che l’universo possiede una logica interna accessibile alla ragione umana. La difesa della Chiesa di un ragionamento morale basato sulla legge naturale si fonda sulla sua convinzione che questa legge non è una minaccia alla nostra libertà, bensì una «lingua» che ci permette di comprendere noi stessi e la verità del nostro essere, e di modellare in tal modo un mondo più giusto e più umano. Essa propone pertanto il suo insegnamento morale come un messaggio non di costrizione, ma di liberazione, e come base per costruire un futuro sicuro.

La testimonianza della Chiesa, dunque, è per sua natura pubblica: essa cerca di convincere proponendo argomenti razionali nella pubblica piazza. La legittima separazione tra Chiesa e Stato non può essere interpretata come se la Chiesa dovesse tacere su certe questioni, né come se lo Stato potesse scegliere di non coinvolgere, o essere coinvolto, dalla voce di credenti impegnati nel determinare i valori che dovranno forgiare il futuro della nazione.

Alla luce di queste considerazioni, è fondamentale che l’intera comunità cattolica negli Stati Uniti riesca a comprendere le gravi minacce alla testimonianza morale pubblica della Chiesa che presenta un secolarismo radicale, che trova sempre più espressione nelle sfere politiche e culturali. La gravità di tali minacce deve essere compresa con chiarezza a ogni livello della vita ecclesiale. Particolarmente preoccupanti sono certi tentativi fatti per limitare la libertà più apprezzata in America, la libertà di religione. Molti di voi hanno sottolineato che sono stati compiuti sforzi concertati per negare il diritto di obiezione di coscienza degli individui e delle istituzioni cattolici per quanto riguarda la cooperazione a pratiche intrinsecamente cattive. Altri mi hanno parlato di una preoccupante tendenza a ridurre la libertà di religione a una mera libertà di culto, senza garanzie per il rispetto della libertà di coscienza.

Qui, ancora una volta, vediamo la necessità di un laicato cattolico impegnato, articolato e ben preparato, dotato di un senso critico forte dinanzi alla cultura dominante e del coraggio di contrastare un secolarismo riduttivo che vorrebbe delegittimare la partecipazione della Chiesa al dibattito pubblico sulle questioni che determineranno la futura società americana. La preparazione di leader laici impegnati e la presentazione di un’articolazione convincente della visione cristiana dell’uomo e della società continuano a essere il compito principale della Chiesa nel vostro Paese; quali componenti essenziali della nuova evangelizzazione, queste preoccupazioni devono modellare la visione e gli obiettivi dei programmi catechetici a ogni livello.

A tale riguardo, vorrei menzionare con stima i vostri sforzi per mantenere i contatti con i cattolici coinvolti nella vita politica e per aiutarli a comprendere la loro responsabilità personale di dare una testimonianza pubblica della loro fede, specialmente per quanto riguarda le grandi questioni morali del nostro tempo: il rispetto della vita dono di Dio, la tutela della dignità umana e la promozione di diritti umani autentici. Come ha osservato il Concilio, e come ho voluto ribadire durante la mia visita pastorale, il rispetto per la giusta autonomia della sfera secolare deve tenere conto anche della verità che non esiste un regno di questioni terrene che possa essere sottratto al Creatore e al suo dominio (cfr. Gaudium et spes, n. 36). Non c’è alcun dubbio che una testimonianza più coerente da parte dei cattolici d’America delle loro convinzioni più profonde darebbe un importante contributo al rinnovamento della società nel suo insieme.

Cari Fratelli Vescovi, con queste brevi osservazioni ho voluto toccare alcune delle questioni più urgenti che dovete affrontare nel vostro servizio al Vangelo e la loro importanza per l’evangelizzazione della cultura americana. Nessuna persona che guarda con realismo a tali questioni può ignorare le difficoltà autentiche che la Chiesa incontra al presente. Tuttavia, per la verità, possiamo trarre coraggio dalla crescente consapevolezza della necessità di mantenere un ordine civile chiaramente radicato nella tradizione giudaico-cristiana, nonché dalla promessa che offre una nuova generazione di cattolici, la cui esperienza e le cui convinzioni svolgeranno un ruolo decisivo nel rinnovare la presenza e la testimonianza della Chiesa nella società americana. La speranza che questi «segni dei tempi» ci offre è di per sé un motivo per rinnovare i nostri sforzi al fine di mobilitare le risorse intellettuali e morali di tutta la comunità cattolica al servizio dell’evangelizzazione della cultura americana e dell’edificazione della civiltà dell’amore. Con grande affetto raccomando tutti voi, e il gregge affidato alle vostre cure, alle preghiere di Maria, Madre della Speranza, e vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica, come pegno di grazia e di pace in Gesù Cristo nostro Signore.

  

giovedì 2 maggio 2024

LA VITA NUOVA CHE SORGE DAL PERDONO

 Una meditazione di mons. Paolo Pezzi, arcivescovo della Madre di Dio a Mosca.

Dall’inizio delle operazioni militari in Ucraina, mi ha molto impressionato come possa crescere a dismisura la cattiveria, quella che i russi chiamano zloba. Questa parola indica non  tanto il male in sé, quanto il gusto che si può provare a fare del male. In certi casi, credo di essere stato anch’io oggetto di questa cattiveria.

Mons Paolo Pezzi

Ciò mi ha fatto domandare: che cosa ho io di nuovo da dare in questa situazione? Quale può essere il mio contributo originale? Certamente, alla cattiveria si può reagire bene o male: si può rendere male per male, si possono ignorare le provocazioni, oppure si può addirittura pregare per i proprio nemici. Io in questi mesi ho scoperto il perdono, specialmente il perdono senza condizioni.

Ricordo moltissime discussioni avute con preti e fedeli della mia diocesi: tutti erano d’accordo sul fatto che il perdono fosse importante, però continuavano a ribadire che per perdonare serve che l’altro, pentito, mi chieda scusa. Invece no, il perdono non ha precondizioni, nemmeno che l’altro mi chieda perdono. Gesù, sulla croce, non ha perdonato perché i suoi persecutori hanno riconosciuto di aver sbagliato. Mentre lo stavano deridendo e umiliando, lui li ha perdonati: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Un perdono così lo possiamo vivere solo noi cristiani, è un contributo che possiamo portare solo noi. Non dico che sia facile o che a me riesca sempre, però è vero che una persona non credente non lo può fare, un cristiano senza fede non lo può fare. Lo può fare solo un cristiano che abbia fatto l’esperienza del perdono e, avendola fatta, la può riproporre. È questo il mio contributo originale nella drammatica situazione del conflitto.

Da quando ho dato questo giudizio, ho cominciato a parlare solo di questo, a tutti. Non penso di essere ascoltato da molti, ma questo non mi sconforta. In fondo, di quelle decine di persone che erano sotto la croce, chi ha risposto? Soltanto il buon ladrone, che forse non ha nemmeno capito cosa stava accadendo. Perché allora io dovrei avere una successo maggiore? L’importante è che io sia realmente convinto di ciò che annuncio e testimonio, cioè che io faccia esperienza di quello di cui parlo.

Farne esperienza significa per me sperimentare il godimento che deriva dal perdono vissuto, dato e ricevuto. Senza quest’esperienza positiva il perdono resta fuori di me, come un puro precetto morale. Nel perdonare io devo percepire che sto traendo una grande utilità per la mia vita, che vivo meglio e che quindi perdonare mi conviene. Così non è più uno sforzo faticoso, perché mi conviene e sarei sciocco se non lo facessi.

Mi è tornata alla memoria la storia di una donna cui le brigate rosse avevano ammazzato il marito lasciandola sola con tre figli. L’avevo incontrata a Roma quando ero seminarista e lei mi raccontò che, dopo l’attentato, don Giussani venne immediatamente a Roma e le disse soltanto: “Cerchi di perdonare, vivrà meglio lei e sarà meglio per i suoi figli”. Mi ha confidato che quando don Giussani le disse questo, lei non sapeva se ridere o inveire contro di lui, ma si limitò ad accettare queste parole, semplicemente perché era lui ad averle dette. Poi, però, ha aggiunto: “È proprio vero”. Era vero che lei aveva vissuto meglio. Non sosteneva di avere chissà quale capacità di perdonare, lo ha fatto e basta. Per questo ha vissuto meglio e i suoi figli sono cresciuti senza rabbia nell’affrontare la vita.

Questa vita nuova che sorge dall’esperienza del perdono senza condizioni è il contributo originale che noi cristiani possiamo portare ad un mondo in lotta ed anche, in effetti, l’unico vero modo di costruire la pace, tanto tra le nazioni quanto nelle nostre case.

Maggio 2023


 

martedì 30 aprile 2024

IL“SOGNO” EUROPEO NON DIVENTI EUROPEISMO IDEOLOGICO.

  Elezioni europee ed ideologia europeista Intervista al vescovo Giampaolo Crepaldi

Mons. Giampaolo Crepaldi
Anche il premier Giorgia Meloni sarà in lista per le prossime europee, come tutti gli altri big politici italiani. L’aria che tira sembra dire l’importanza di questa tornata elettorale non solo per le ripercussioni nazionali del voto, ma proprio per l’Europa. In questa intervista monsignor Giampaolo Crepaldi, vescovo emerito di Trieste, che in passato aveva a lungo guidato la commissione Caritas in veritate della CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa), mette però in guardia dal “sogno” europeo che diventa europeismo ideologico.

 
L’8 giugno prossimo si terranno le elezioni del parlamento dell’Unione Europea. Ci sono molti motivi per pensare che questa volta saranno importanti, é d’accordo?
Certamente rimane il dubbio sull’affluenza alle urne, che in passato non è stata mai molto alta. Valutando però i problemi sul tappeto, credo che questa tornata elettorale abbia un’importanza senz’altro superiore ad altre del passato. L’Unione Europea, di recente, non ha dato una gran prova di sé. Molti avevano segnalato i gravi difetti del Green Deal europeo, ma non sono stati ascoltati. Le politiche di transizione climatica ed energetica sono state centralistiche, costose, inefficaci ed illusorie, suscitando reazioni di rigetto. Il recente voto del parlamento sull’aborto come diritto umano ha evidenziato il controllo del parlamento stesso da parte di una ideologia distruttiva e senza speranza. Le intromissioni delle istituzioni dell’Unione nelle elezioni politiche in Polonia e le forzature rispetto alle decisioni del governo dell’Ungheria, nazione che viene spesso trattata come “aliena” rispetto all’Unione, sono alcuni aspetti di una situazione di evidente crisi. A ciò si aggiunga un considerevole fallimento in politica estera.

Prevede cambiamenti di notevole portata nella composizione del parlamento europeo o piccoli ritocchi?
Di recente ci sono stati in alcuni Paesi europei esiti elettorali fortemente contrari a questa Unione Europea. Mi riferisco alle elezioni in alcuni lander tedeschi e soprattutto in Olanda. Su questa tendenza, qualche osservatore valuta addirittura uno spostamento di un centinaio di seggi nel prossimo parlamento europeo. Difficile però fare previsioni. Mi limito ad osservare solo che ci sarà probabilmente una polarizzazione della composizione del parlamento, segno che il futuro dell’Unione Europea non sarà un percorso facile, ma piuttosto combattuto. Questa polarizzazione riguarderà soprattutto questo aspetto: frenare o addirittura ridurre il trasferimento di sovranità degli Stati o, al contrario, accelerare l’unificazione?

Nei giorni scorsi Mario Draghi ha anticipato alcuni contenuti del Rapporto da lui stilato su incarico della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Layen. Come li valuta?
Penso che Mario Draghi non parli solo a titolo personale, ma anche a nome di vari circoli di potere, finanziario, economico e politico, con cui è collegato. Il suo intervento va quindi valutato con attenzione. Mi sembra che si collochi nella prospettiva di un veloce e deciso rafforzamento dell’Unione con la prospettiva della nascita di uno Stato centrale, la creazione di un debito comune, un riarmo europeo e la prosecuzione nella transizione ambientalista e digitale. Egli ha parlato della necessità di una “svolta”, ma mi sembra che la sua proposta sia in continuità con le tendenze attuali, che egli vorrebbe radicalizzare e velocizzare andando verso un nuovo “sovranismo” europeo.

Cosa direbbe la Dottrina sociale della Chiesa a questo proposito?
Chi volesse rifarsi ai principi della Dottrina sociale della Chiesa dovrebbe valutare molto criticamente obiettivi simili. Il progetto annullerebbe le comunità naturali, dalla famiglia alle comunità locali fino alle nazioni, e creerebbe un super-Stato ancora più lontano da cittadini e comunità organiche di quanto siano oggi le istituzioni dell’Unione. Il proseguimento delle transizioni attuali in mano ad un simile Leviatano potrebbe creare un sistema centralizzato di controllo della popolazione con pericoli per la stessa libertà, tanto, e perfino eccessivamente, proposta dalle democrazie europee come il loro principale valore. Senza contare che il finanziamento delle transizioni green e digitale richiederebbe immense risorse e interventi invadenti il diritto alla proprietà privata. I temi che ora rimangono – almeno formalmente – a carico degli Stati diventerebbero di competenza centrale e, per fare un esempio, in campo educativo si potrebbe assistere ad una “pedagogia delle masse”, come alcuni esperti la chiamano, governata dal potere centrale. Una specie di appiattimento e di omologazione delle menti dei cittadini all’europeismo come ideologia.

Mi sembra di capire che lei è più favorevole all’altra linea, quella del raffreddamento dei processi unitari.
Credo che in questo momento sarebbe più opportuno un rallentamento dei processi unitari, una valutazione del percorso finora attuato, una riscoperta culturale di quanto è essenziale all’Europa e che finora l’unificazione dell’Unione Europea ha perduto o trascurato. C’è bisogno di fermare la corsa e di pensare di più.

Si riferisce anche alle radici cristiane?
Mi riferisco a tante cose, alle radici cristiane, alla famiglia, alla conservazione delle culture nazionali, alla dislocazione sussidiaria del potere politico, al governo delle migrazioni che l’Unione non è riuscita nemmeno ad impostare, al valore delle tradizioni, alle libertà gestite dal basso, all’autoorganizzazione delle comunità locali, alla conservazione di tante identità andate perdute senza che nessuno sappia dire perché, fino ad una più calibrata riflessione di tipo geo-strategico.
Quanto alle radici cristiane mi permetta di fare un paio di osservazioni. La cultura dell’Unione Europea è sostanzialmente atea e anticristiana, nascosta dietro il principio della libertà religiosa. Riconosciuto questo, però, bisogna anche dire che una rivalutazione del cristianesimo non potrà avvenire per mortivi “storici”, ossia solo perché esso fa parte del nostro passato. Non è un motivo sufficiente, perché chiunque potrà dire che quel passato è ormai passato. Dovrà fondarsi sulla “verità” della religione cristiana, ossia su una nuova consapevolezza che la vita politica europea ne ha bisogno per essere a sua volta vera.

Qui però si pone la responsabilità della Chiesa cattolica…
Certamente, perché è soprattutto suo il compito di mostrare la verità della religione cristiana, verità che fonda la ragione ultima delle sue pretese di valere in pubblico e non solo in privato. Devo dire che su questo punto oggi si notano non poche difficoltà. La Chiesa, anche di recente, ha sostenuto che la laicità è il luogo ideale dell’incontro, del dialogo e della pace. Ma se così è, la religione cristiana diventa una delle tante istanze etiche e la Chiesa una delle tante agenzie di formazione civica. Il principio della libertà di religione non deve confliggere con la pretesa della Chiesa cattolica di avere qualcosa di proprio e di unico da dire e da fare. Il motivo del ruolo storico, pubblico, sociale e politico della Chiesa cattolica non può essere solo il diritto alla libertà religiosa. Benedetto XVI aveva approfondito questo tema, e le sue osservazioni avevano suscitato grande interesse da parte anche del pensiero laico, ma ho l’impressione che non sia stato più continuato.

Secondo lei qual è la principale carenza nella visione della Chiesa cattolica circa l’Unione Europea?
Direi che è l’accoglienza del progetto europeo come un apriori indiscutibile, comunque valido in se stesso, al quale collaborare ma senza proposte forti, senza denunciare i principali errori. Non dimentichiamo che anche l’europeismo può essere una ideologia, quando si pone al di sopra di tutto.

In un recente documento in vista delle elezioni di giugno, per esempio, i vescovi della Comece, la Commissione degli episcopati europei delle nazioni dell’Unione, si sono limitati a invitare alla partecipazione e a dire che il progetto europeista è valido e va aiutato a svilupparsi. Mi sembra troppo poco. Noto anche un’altra debolezza a proposito dei cosiddetti padri fondatori della Comunità europea poi diventata Unione Europea. La fede cattolica dei tre padri fondatori viene fin troppo esaltata, al punto da rendere cattolico tutto il processo che ne è seguito, compreso la situazione di oggi. Non è corretto impostare le cose secondo una linea forzata di continuità con un certo cattolicesimo delle origini. Inoltre ciò può mettere in ombra che alle origini dell’Unione c’è anche il Manifesto di Ventotene, di tenore ideologico molto diverso e che oggi sembra  vincente.

(a cura di Stefano Fontana)

30 APRILE 2024

https://mailchi.mp/e4e982bc7b8b/elezioni-europee-ed-ideologia-europeista-intervista-al-vescovo-giampaolo-crepaldi?e=448a8ce662

 

"CON LE VOSTRE LEGGI DEMOCRATICHE VI INVADEREMO, CON LE NOSTRE LEGGI RELIGIOSE VI DOMINEREMO"

 GIULIO MEOTTI

Erdogan, “il moderato”, lo ha detto chiaramente: “La democrazia è un tram, lo prendi fin che ti serve e poi scendi”. Qualcosa del genere staranno pensando milioni di islamici nell’Europa da cui arrivano video incredibili. C’è da avere paura, molta paura. Forse un giorno per le nostre strade fustigheranno le donne che non portano il velo?

“Il Califfato è la soluzione

Amburgo Marcia per il Califfato 28/4
”, urlano gli islamisti scesi in piazza ad Amburgo, racconta la Welt. In questa città che è anche uno stato, una città-stato che ha fra le massime concentrazioni industriali del paese, libera e anseatica secondo le antiche carte, gli islamici hanno inneggiato al Califfato, scandito “Allahu Akbar”, sventolato bandiere raffiguranti la Shahada e alzato l’indice, simbolo degli islamisti. Tutto perfettamente legale. La polizia ha affermato che “invocare l’avvento del Califfo non è un crimine”. Anche a Essen, nella Ruhr, marciano per il califfato.

È la parola del momento: califfato. Ha un suono amichevole. Come un ricordo da Mille e una notte, un luogo dove si balla e il piatto di datteri non è mai vuoto. Il califfo sarà un uomo gentile e saggio proveniente da una casa regnante perduta da tempo. Una bella favola.

Ma califfato significa sottomissione. Ci sono i musulmani e coloro che si convertono all’Islam. Chiunque vada contro l’Islam sarà ridotto in schiavitù o ucciso. Non con l’iniezione letale o sulla sedia elettrica, ma con lunghi coltelli che separano la testa dal corpo. È un culto di morte brutale. Adulterio significa lapidazione, furto significa taglio di una mano e i “fluidi”, che spopolano nelle nostre università, vengono gettate dai tetti (Isis), sepolti sotto un muro (Talebani) o appesi alle gru (Iran).

“Gli islamisti del Califfato ci ballano in faccia” scrive la Bild. “Il patetico appeasement dell'Occidente nei confronti degli estremisti islamici”, come lo definisce Ayaan Hirsi Ali. “L’immigrazione di massa su una scala senza precedenti sta trasformando la demografia delle società europee e accelerando l’islamizzazione del continente”.

I nostri tg hanno completamente ignorato la marcia islamica, preferendo l’immarcescibile adunata di Dongo.

Chi legge Corriere o Repubblica o Stampa non sa niente delle scene inquietanti di Amburgo..

E pensare che Amburgo è la città dell’11 settembre“Mohammed Atta non era un terrorista quando venne ad Amburgo” scriverà sul Guardian il suo preside, Dittmar Machule. “È diventato un fanatico mentre era qui tra noi. Ho paura che possa accadere di nuovo”. Amburgo, la più liberal delle città tedesche, era un ambiente ideale. I funzionari tedeschi diranno che erano riluttanti a prendere di mira le moschee e rischiare accuse di razzismo e islamofobia.

La storia si ripete. La Cristianità era lo scudo protettivo contro l’islamizzazione.E non a caso Amburgo è anche la città dove due terzi delle chiese dovranno essere chiuse nei prossimi anni e nella seconda più grande città tedesca ci sono già 50 moschee. La Welt (“più moschee che chiese”) rivela che le 52 moschee hanno già superato le 40 chiese cattoliche ad Amburgo.

“Un viale trafficato nel Quartiere Horn di Amburgo. 60 anni fa qui è stata edificata la Chiesa di Cafarnao: un moderno edificio in mattoni, cemento e vetro con una torre esagonale. Ora la chiesa non è più una chiesa, ma una moschea”. Lo racconta Deutschelandfunk Kultur. “Nell'atrio della chiesa di Cafarnao, le persone si riuniscono per una visita guidata del monumento. La luce entra nella sala attraverso piccole vetrate disposte a nido d'ape. La comunità musulmana ha rimosso la croce cristiana dal campanile. La scritta araba ‘Allah’ ora può essere letta in cima”.

Quando si inneggia al califfato, non si tratta di cori come negli stadi o nelle manifestazioni sindacali, ma di una minaccia in forte espansione in tutta Europa. Un oratore ad Amburgo ha annunciato che “le carte saranno rimescolate” quando il “gigante dormiente si risveglierà”.Di quale gigante parlano? E’ stato uno scrittore ebreo scampato alla Shoah, Ralph Giordano, a mettere in guardia per prima la Germania contro l’islamizzazione. “Ci siamo mai chiesti perché le moschee che crescono come funghi vengono dedicate ai conquistatori ottomani?”.

Ralph Giordano: Madre ebrea tedesca e padre siciliano, Giordano non potè finire gli studi a causa del regime di Hitler, ma fu salvato insieme al resto della famiglia da una donna di Amburgo, che li nascose in cantina. Dopo la guerra, Giordano si iscrisse al partito comunista e vi militò fino a quando decise di lasciare i compagni, pubblicando Il partito ha sempre ragione. In un articolo per la FAZ, Giordano scrisse: “Voglio poter dire che non voglio vedere burqa o chador per le strade tedesche, non più di quanto non voglio sentire le chiamate dei muezzin dai minareti. Né adatterò la mia visione della libertà di espressione a un demone che la interpreti come segue: ‘Ognuno ha il diritto di esprimere liberamente la propria opinione in un modo che non sia contrario alla legge della Sharia’. No e tre volte no!”.

“Ultima chance prima della sharia”, titola il nuovo numero del mensile Causeur. E poi cosa ci aspetta? Scrive Ed Husain, uno dei maggiori intellettuali musulmani del Regno Unito, consigliere di Tony Blair: “Ci aspettano mini califfati. Ci sono migliaia di moschee in tutta Europa e trenta milioni di musulmani”.

Ayaan Hirsi Ali ha appena pubblicato un video in cui musulmani inglesi spiegano come intendono prendere il potere. Logorando la democrazia e svuotandola dal suo interno.

Alla Bild un dirigente della sicurezza statale ha appena lanciato l'allarme: “Sempre più genitori di bambini tedeschi si rivolgono ai centri di ascolto perché i bambini cristiani vogliono convertirsi all’Islam in modo da non essere più esclusi dalla scuola. Nelle scuole delle grandi città la percentuale di studenti musulmani supera ampiamente l'80 per cento: Berlino, Francoforte, Offenbach, Duisburg, Essen”.

Zone vietate agli ebrei in Germania, “giudici di pace” che usano la sharia, scuole che mettono al bando le minigonne per evitare noie, muezzin che chiamano alla preghiera, case editrici che censurano i libri che criticano l’Islam, banchieri centrali cacciati per aver criticato l’Islam, professori critici dell’Islam costretti a fare lezione con i giubbotto antiproiettile, un presidente in visita in una scuola che si vede ritirare la mano da una studentessa con il velo, insegne stradali in araboleader di partito che aprono alla legge islamica, ronde della sharia nelle strade, violenze sessuali di massa, attacchi nelle scuole a chi non rispetta l’Islam, boom di matrimoni forzatistudenti che chiedono l'introduzione di rigide regole islamiche.

Ma dire che la Sharia avanza in Europa è un “complotto di estrema destra”, giusto? (…)

30 aprile 2024

Leggi tutto qui  https://substack.com/inbox/post/144089897

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lunedì 29 aprile 2024

IN EUROPA C’È DA CONSERVARE LA SACRALITÀ DELLA PERSONA

 In Italia e in Europa la sinistra spinge su aborto e eutanasia forzando le istituzioni, come nel caso dell'Emilia-Romagna e della mozione socialdemocratica a Bruxelles sull'aborto in Costituzione.Il voto alle europee diventa fondamentale per arrestare la deriva.

 di Piergiacomo Sibiano, vice-presidente di Lab-Ora

È ormai ufficiale. È finita la stagione della «sinistra di centro». Due importanti dati di fatto ne sono testimoni.

Il primo: la Regione Emilia Romagna che - anche forzando i meccanismi istituzionali – decide che il suicidio assistito sia un diritto e come tale vada riconosciuto, con tempi certi: in caso gli esperti nominati dalla regione ritengano «giusta» la richiesta, il paziente dovrà essere «assistito» a suicidarsi entro 42 giorni dalla richiesta.

Il secondo, più recente e altrettanto preoccupante, l’approvazione in Parlamento Europeo della mozione del partito dei Socialdemocratici che chiede di inserire nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea il diritto all’aborto. Anzi, per la verità l’aborto sarebbe solo un “di cui”, la spinta è molto più in generale verso il riconoscimento della «bodily autonomy».

Siamo passati da «l’utero è mio e lo gestisco io» a «il corpo è mio e lo gestisco io». In altre parole, sono io a decidere chi sono, rifiutando alla radice l’obiettività della condizione umana: essere creature, esseri che non si sono creati da sé e come tali spendono la vita per cercare il senso di questa esistenza, il perché siamo al mondo.

Il progressismo è ormai entrato nelle istituzioni: è l’individuo a dare un senso alle cose e non a ricercarlo. Si smaschera definitivamente quindi una sinistra che ha sempre flirtato col mondo cattolico rassicurandolo con laiciste omelie dedite al rispetto del diverso, pur - a parole - condividendo i principi cristiani.

In termini più diretti: il centro-sinistra ha fallito. Erano convinti di tenere insieme principi come la difesa della vita da un lato, e riconoscimento dei «nuovi diritti» dall’altro. Non ce l’hanno fatta. Ha vinto l’aborto in Europa. Complice proprio la sinistra moderata: una bella fetta del Partito Popolare Europeo ha votato a favore di una mozione che - e qui siamo al ridicolo - chiede che venga riconosciuto il diritto all’aborto «a tutte le donne, le ragazze e a chiunque può rimanere incinta».

Anche qui, come in Emilia Romagna, sono state ignorate le regole istituzionali: l’UE non ha competenza alcuna in questo ambito ma la spinta ideologica è tale da usare il Parlamento a proprio uso e consumo. La mozione approvata non ha alcuna ricaduta formale ma la direzione è tracciata.

La battaglia delle prossime europee si fa dunque ancora più urgente: come se non bastasse tutta l’ideologia green, che vede l’uomo come l’intruso del pianeta. Ma se ogni istanza individuale è legittima sempre e comunque come sarà mai possibile mantenere la pace?

«Se anche una madre puó uccidere il proprio bambino nel suo grembo, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me?» diceva Madre Teresa di Calcutta nel 1979 ritirando il premio Nobel per la pace.

Abbiamo, mai come ora, qualcosa di davvero fondamentale da conservare, per cui batterci: la persona è sacra! Fuori da questo, tutto il peggio sarà sempre possibile.

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PIERGIACOMO SIBIANO DETTO PIGA È CANDIDATO ALLE ELEZIONI EUROPEE NELLA LISTA DI FDI CIRCOSCRIZIONE NORD ORIENTALE

PER VOTARLO BASTA SCRIVERE  PIGA

link Piergiacomosibiano.it

giovedì 25 aprile 2024

25 APRILE, LA SINISTRA HA BISOGNO DEL FASCISMO PER ESISTERE

 SANDRO FONTANA

Il mito del fascismo come male assoluto ed eterno è servito dopo la Seconda guerra mondiale a legittimare la presunzione democratica del PCI; oggi serve a legittimare l'idea di rivoluzione, tesa a dissolvere tutto ciò che è naturale. Questo spiega anche i casi Scurati e Boccia.

Perché la sinistra italiana non può fare a meno del fascismo? Perché senza di esso si sente nuda? Molti si porranno questa domanda dato che ogni 25 aprile, ma non solo, lo spettro del fascismo viene nuovamente evocato. Succede anche in questi giorni con la fantasmagorica polemica sul monologo di Antonio Scurati e la richiesta a Giorgia Meloni di dichiararsi antifascista. Il tutto fa pensare che senza il fascismo da combattere il ruolo storico della sinistra cessi e la sua presenza politica venga delegittimata. Questo suo impegno è tanto forte che non si accorge di finire per proporsi come una forza politica che non ha un senso in sé, ma solo come sentinella di qualcos’altro, come antidoto di un veleno e non come medicina, come esorcismo di un fantasma.

Un primo motivo di questa fascio-dipendenza ci rimanda alle origini della nostra Repubblica e spiega perché, come diceva Augusto Del Noce, la sinistra ha avuto bisogno di intendere e imporre il fascismo come «male assoluto». La sua era una visione «demonologica del fascismo», inteso come la negatività pura. Il fascismo non era solo la «reazione» ma la negazione dell’esito finale dell’evoluzione della storia, che il marxismo supponeva di conoscere bene.
Con questo «male puro» non ci può essere storia, esso va solo eliminato. Con acutezza Del Noce osservava che il fascismo per la sinistra è il «surrogato del diavolo» e aggiungeva: «Quando si pensa di essersi liberati del mito del diavolo, si satanizza una determinata realtà storica».


Tra il ‘43 e il ‘45 la sinistra italiana, e in particolare il partito comunista, 
aveva bisogno di legittimare la sua «scelta democratica» per la nuova Repubblica, data l’importanza di questo passaggio secondo la strategia di Gramsci e Togliatti. Il partito comunista non era democratico, la sua ideologia non lo permetteva. Però, come la Russia di Stalin aveva combattuto contro il nazismo, così i partigiani comunisti e l’intero CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) aveva combattuto contro il fascismo: questo poteva dare alla sinistra italiana una patente democratica, anche se il motivo della sua lotta contro Mussolini non era stata la democrazia e nemmeno la libertà come noi oggi la intendiamo e come non la intendeva Giancarlo Pajetta.

L’opposizione al fascismo come “male puro” era quindi necessaria, sia per depotenziare e nascondere il male rappresentato dal comunismo, che a quel punto diventava un male non puro, sia per trovare accoglienza nella democrazia repubblicana, dentro la quale continuare la rivoluzione con altre armi. Nel 50mo anniversario della fondazione del PCI, agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, i comunisti lanciarono ”l’unità antifascista”. Capitava così che il no all’unità antifascista venisse automaticamente inteso come un al fascismo. La stessa cosa capita oggi, con la richiesta a Giorgia Meloni di aderire alla nuova unità antifascista voluta dalla sinistra dopo il caso Scurati.

Questa visione richiedeva che il fascismo non morisse mai, perché in questo caso sarebbe venuta a mancare quella legittimazione, e che fosse inteso come assoluto, per essere appunto immortale e capace di trasformarsi in mille fogge. Inutile far notare che oggi il fascismo non c’è più, che è finito nel ’45, che non si capisce contro chi esattamente si vuol muovere organizzando le varie “unità antifasciste”, perché la sinistra pensa che il fascismo sia misteriosamente sopravvissuto al 25 aprile 1945 e continuamente riaffiori, non essendo mai morto. Per questo, pur non essendoci più il fascismo, comunque Giorgia Meloni e tanti altri nemici della sinistra, possono essere fascisti.

La sinistra ha creato il mito della resistenza ad un fascismo così inteso come matrice della nuova Repubblica. In questo modo ha fatto partecipe del concetto di fascismo come “male puro” l’intero quadro costituzionale e l’idea fu ufficializzata dalla retorica delle istituzioni repubblicane. Questo ha comportato un ingessamento delle celebrazioni del 25 aprile, tutte inserite nel medesimo quadro interpretativo, con l’esclusione - anzi con la demonizzazione - di chi fosse interessato ad una celebrazione più aderente alla storia. La prova principale di questo fenomeno è che ad ogni celebrazione del 25 aprile si fa a gara per individuare nell’attualità le nuove forme del fascismo eterno, e così l’accusa rimbalza da un personaggio all’altro a seconda delle convenienze del momento, addirittura senza che sia necessario che gli accusati ne siano consapevoli.

La storiografia ha chiarito molte cose a proposito del fascismo storico, ma il mito le ha oscurate. Per esempio, la vulgata di sinistra presenta il fascismo come un fenomeno “conservatore” che vorrebbe far tornare indietro la storia, mentre invece esso è stato un ampio processo di modernizzazione. Una visione delle cose in termini di guerra civile europea (Ernst Nolte) e Italiana (Claudio Pavone) poteva essere utile a impostare convenientemente anche la celebrazione del 25 aprile in modo più inclusivo. Nemmeno i libri di Renzo De Felice o di Giampaolo Pansa sono serviti più di tanto a correggere quella costruzione culturale.

Un ultimo aspetto rimane da spiegare. Dopo che il partito comunista ha abbandonato l’idea della rivoluzione come mai la sinistra non ha abbandonato anche questa idea del fascismo come “male puro” che alla rivoluzione era funzionale? Il motivo è che l’idea della rivoluzione non è stata abbandonata, ma è stata suicidata e trasfigurata. È diventata la dissoluzione di quanto è naturale, per cui anche la giornalista Incoronata Boccia, che afferma essere l’aborto un delitto, può benissimo essere considerata fascista.