di Stefano
Spinelli
Un popolo in
cammino. Una fede semplice e sincera. È questo che ho visto nella notte
illuminata dalle fiaccole di migliaia di pellegrini, lungo la via lauretana,
tra i campi di grano, lucenti sotto la luna, che separano Macerata da Loreto.
Abbiamo camminato, cantato e pregato, avendo come meta la Vergine dal volto
scuro venerata nella Basilica della Santa Casa.
Qui sono
custoditi sin dal 1294 i resti della Casa di Nazaret, dove l’Angelo fece
l’annuncio a Maria. La tradizione popolare vuole che le pietre siano giunte in
terra marchigiana portate in volo dagli angeli.
Non è stata
una passeggiata simbolica, della serie “tanto conta il pensiero”. È stata una
gran faticaccia di 28 chilometri, una notte intera che non passava mai,
sperando che arrivasse presto l’alba, così più vicino sarebbe stato anche
l’arrivo, desiderando che la strada cominciasse a salire verso Loreto, così
sarebbe passato il sonno, implorando il meritato riposo alla stanchezza del
corpo che a un certo punto rifiutava di proseguire. Pur nella chiarezza della
meta, nulla ci viene risparmiato, ogni traguardo comporta un impegno e chiede
di giocarci fino in fondo.
Non si fa
tanta strada solo per passare il tempo. Lo si vedeva negli sguardi degli
abitanti che, al mattino appena fatto, ci hanno accolto per le vie di Loreto,
nello stupore dei loro volti affacciati ai balconi o appoggiati all’uscio delle
case. Avevano una domanda e pareva volessero camminare anche loro con noi, solo
per capire. Abbiamo cantato e pregato. È stato un tuffo nell’essenzialità della
vita, che è affidarsi a Chi la vita ce l’ha donata.
Il
pellegrino ha una fede concreta. Unisce in sé, nella semplicità della
religiosità popolare, l’umano e il divino, la fatica e la salvezza, il centuplo
quaggiù e l’eternità. Così ha cantato Martino Chieffo, prima di partire: “Tu
non credere mai all’imperatore… credi solo in nostro Padre che è venuto e che
verrà”, con le parole scritte dal padre Claudio e dedicate proprio a lui.
Mi ha
colpito la concretezza dei nomi di coloro che hanno chiesto una preghiera,
snocciolati durante tutto il percorso, oppure il gesto di portare con sé i
biglietti con le richieste formulate dai propri cari o dagli amici, per
gettarli, all’arrivo, nel braciere acceso davanti alla Santa Casa. Mi hanno
colpito i volti incontrati ai lati della strada, illuminati appena dai
lampioni, con la corona del rosario in mano, che pregavano assieme a noi e ci
facevano compagnia, con il loro semplice essere lì, fino a notte inoltrata.
Mi ha
colpito una vecchia novantenne che camminava scortata da due baldi giovani, ai
quali dava la mano, senza neppure appoggiarsi troppo e li ringraziava. Aveva ai
piedi delle ciabatte mezze rotte. È arrivata anche lei dalla Madonna Nera. Mi
ha colpito chi non ce la faceva più e si fermava ai lati della strada distrutto
dalla fatica. Anche loro sono stati testimoni della pietà popolare, offrendo
quella sofferenza a Cristo.
Eravamo in
tanti. Novantamila, dicono i bene informati. Il numero preciso non lo so. So
che lì camminava la fede di un popolo, e si vedeva. Una lunga, interminabile
processione di persone che avevano un “bordone”, il bastone da marcia, uno
zaino e un rosario, come i primi pellegrini, ciascuno carico solo della propria
umanità. Abbiamo recitato i misteri della Gioia, quelli della Luce, e più
avanti abbiamo ricordato il Dolore e infine la Gloria, sugli ultimi strappi che
portano a Loreto e aprono lo sguardo sulla Basilica e sul mare.
Ci siamo
inginocchiati durante il percorso davanti al Santissimo esposto lungo la
strada. Abbiamo seguito la croce illuminata nella notte. Abbiamo visto il
mattino sorgere piano. A Loreto, la Madonna Nera ci è venuta incontro, è uscita
dalla Casa ed è venuta a salutarci in piazza, scortata da un picchetto di
aviatori, di cui è patrona.
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