CARD. SARAH: la crisi nella Chiesa che oggi stiamo vivendo è in gran parte dovuta alla disintegrazione della liturgia.
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Occorre un equilibro
tra la fedeltà alla tradizione e un legittimo sviluppo, senza mai dimenticare
la sacralità e la bellezza della liturgia. Non si ripeterà mai a sufficienza
che la liturgia, in quanto culmine e fonte della Chiesa, ha il suo fondamento
non nella creatività umana, ma in Cristo stesso.
Sono questi i concetti che il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto
divino e la disciplina dei sacramenti, sviluppa nel messaggio inviato al
colloquio «Quelle der Zukunft» («La fonte del futuro») svoltosi dal 29
marzo all’1 aprile a Herzogenrath, in Germania, nel decimo anniversario di «Summorum pontificum», la lettera
apostolica di Benedetto XVI (7 luglio 2007) che contiene le indicazioni
giuridiche e liturgiche per la celebrazione della cosiddetta messa tridentina.
Il contributo del cardinale, autore di recenti libri
di successo come «Dieu ou rien» e «La force du silence», contiene numerosi
spunti di riflessione.
Che cosa volle insegnare, si chiede Sarah, il
documento di Benedetto XVI pubblicato in forma di «motu proprio»?
Fu lo stesso Benedetto XVI, con una lettera ai
vescovi, a spiegare il senso della sua iniziativa precisando che la decisione
di far coesistere due messali (quello per la forma «ordinaria», sulla base
della revisione operata secondo le linee guida del Concilio Vaticano II, e
quello per la forma «straordinaria», corrispondente alla liturgia in uso prima
dell’aggiornamento) non nasce solo dall’esigenza di soddisfare i desideri di
alcuni gruppi di fedeli affezionati alle forme liturgiche precedenti al
Concilio Vaticano II. C’è anche l’obiettivo di consentire un arricchimento
reciproco. E in effetti, scrive Sarah, là dove l’attuazione di «Summorum
pontificum» è stata possibile si registra un maggior fervore sia nei fedeli sia
nei sacerdoti, con positive ripercussioni sulla forma ordinaria, in particolare
sotto il profilo della riscoperta di atteggiamenti (specialmente lo stare in
ginocchio e il raccoglimento nel silenzio) che consentono a sacerdoti e fedeli
di interiorizzare il mistero della fede che si celebra.
La liturgia, sostiene il cardinale Sarah, ha bisogno
di essere sempre riformata per renderla sempre più fedele alla sua essenza
mistica. Purtroppo però, a suo giudizio, dopo il Concilio Vaticano II più
che una riforma c’è stata una svendita,
dettata dal desiderio di sopprimere a tutti i costi un patrimonio percepito
come negativo e superato.
Eppure, dice il cardinale, è sufficiente prendere la
«Sacrosanctum Concilium» (la costituzione conciliare sulla sacra liturgia, 4
dicembre 1963) e leggerla con onestà, per vedere che il vero scopo del Concilio
non è stato quello di determinare una cesura con la tradizione, ma, al
contrario, di riscoprire la tradizione nel suo significato più profondo.
Ecco perché oggi non si dovrebbe parlare di «riforma
della riforma», ma di arricchimento reciproco dei riti, sulla base di
un’esigenza prima di tutto spirituale.
Nessuna ermeneutica
della discontinuità o della rottura è quindi possibile.
Già molto prima di
diventare papa, il cardinale Joseph Ratzinger fece notare che la crisi che ha
scosso la Chiesa per mezzo secolo, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano
II, è connessa con la crisi della liturgia, quindi con la mancanza di rispetto
per il sacro, con la desacralizzazione del culto e il livellamento degli
elementi che lo compongono. Come si legge nelle memorie di Ratzinger
(«Milestones. Memories 1927 – 1977»),
la crisi nella Chiesa che oggi stiamo vivendo è in gran parte dovuta alla
disintegrazione della liturgia.
Il Concilio Vaticano II, giustamente, ha voluto
promuovere una partecipazione attiva da parte del popolo di Dio, tuttavia,
annota Sarah, non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla devastazione
provocata da chi, volendo imporre le proprie idee, ha dimenticato che l’azione liturgica è «anche e
soprattutto un mistero nel quale si compie qualcosa che non possiamo
comprendere appieno, ma che dobbiamo accettare e ricevere nella fede,
nell’amore, nell’obbedienza e nel silenzio adorante». Questo è il vero
significato della partecipazione attiva dei fedeli. Non si tratta di
inventare attività esteriori, di distribuire in modo nuovo ruoli o funzioni. Si
tratta di vivere il mistero in Cristo e con Cristo, attraverso l’umile
offerta di se stessi, nella preghiera silenziosa e con un atteggiamento
contemplativo.
«La grave crisi di fede, che si registra non solo a
livello dei fedeli, ma anche e soprattutto tra molti sacerdoti e vescovi, ci ha
resi incapaci di capire la liturgia eucaristica come sacrificio, identico
all’atto compiuto una volta per tutte da Gesù Cristo».
Spesso, nota Sarah,
c’è la tendenza a ridurre la santa messa a un semplice pasto conviviale e la
celebrazione a una festa profana, dove la comunità celebra più che altro se
stessa. Ma la santa messa è sacrificio
vivente di Cristo, che è morto sulla croce per liberarci dal peccato e dalla
morte, allo scopo di rivelare l’amore e la gloria di Dio Padre.
«Molti cattolici non sanno che lo scopo finale di ogni
celebrazione liturgica è la gloria e l’adorazione di Dio, per la salvezza e la
santificazione degli esseri umani», dal momento che con la liturgia «viene resa
a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati»
( «Sacrosanctum Concilium», n. 7 ).
Molti tra i fedeli e i sacerdoti, compresi i vescovi,
dimostrano di non conoscere questo insegnamento del Concilio. Così come
non sanno che i veri adoratori di Dio non sono quelli che riformano la liturgia
secondo le proprie idee e la propria creatività, per renderla qualcosa di
piacevole per il mondo, ma quelli che vogliono riformare il mondo con il
Vangelo e con una liturgia che deve essere il riflesso di quella celebrata per
tutta l’eternità nella Gerusalemme celeste.
Come ha spesso
sottolineato Benedetto XVI, alla radice della liturgia c’è l’adorazione, e
quindi Dio. La grave e profonda crisi che ha colpito la liturgia e la
stessa Chiesa a partire dal Concilio è dovuta al fatto che al centro non
abbiamo più Dio e l’adorazione di Dio, ma gli uomini e la loro capacità di fare
qualcosa.
Secondo il cardinale Sarah, nella Chiesa troppe
persone che ricoprono ruoli di responsabilità sottovalutano il fatto che
l’attuale situazione di crisi è dovuta al relativismo dottrinale, morale e disciplinare, agli abusi
liturgici, alla desacralizzazione e banalizzazione della sacra liturgia,
avvenuta secondo una visione meramente sociale e orizzontale della Chiesa e della
sua missione.
Molti, spiega Sarah, dichiarano che il Concilio
Vaticano II ha portato una primavera nella Chiesa, ma ritengono che la
primavera abbia coinciso con la rinuncia a un patrimonio secolare, o
addirittura con una messa in discussione del passato e della
tradizione. L’Europa politica è spesso rimproverata dalla Chiesa per aver
abbandonato o negato le radici cristiane, ma «la prima ad aver abbandonato le sue radici cristiane e il passato è
proprio la Chiesa post-conciliare».
Spiega Sarah: «In seguito alla pubblicazione del mio
libro “Dio o niente”, molte persone mi hanno fatto domande circa le
“guerre liturgiche” che per decenni hanno diviso i cattolici. Rispondo che
si tratta di un’aberrazione, perché la liturgia è per eccellenza il campo in cui
i cattolici dovrebbero sperimentare l’unità nella verità, nella fede e
nell’amore. Gesù ha parole molto esigenti circa la necessità di andare a
riconciliarsi con il fratello prima di presentare il proprio sacrificio
all’altare».
Il Concilio Vaticano II «non ha mai chiesto di
fare tabula rasa del passato e di abbandonare il Messale di San Pio
V, che ha prodotto tanti santi».
Che si celebri nella forma ordinaria o
straordinaria, l’importante è assicurare ai fedeli ciò a cui hanno
diritto: la bellezza della liturgia, la sua sacralità, il silenzio, il
raccoglimento, la dimensione mistica, l’adorazione.
«La liturgia ci dovrebbe mettere faccia a faccia con
Dio in un rapporto personale di intensa intimità. Ci dovrebbe immergere
nella vita interna della Santissima Trinità».
«L’eucaristia non è una sorta di “cena tra amici”, un
pasto conviviale della comunità, ma un sacro mistero, il grande mistero della
nostra fede, la celebrazione della redenzione compiuta da nostro Signore Gesù
Cristo, la commemorazione della morte di Gesù in croce per liberarci dai nostri
peccati. È pertanto opportuno celebrare la Santa Messa con la bellezza e
il fervore del Santo Curato d’Ars, di Padre Pio, di san Josemaría Escrivá».
«Non bisogna sprecare il tempo nel contrapporre il
Messale di San Pio V a quello del beato Paolo VI. Piuttosto, si tratta di entrare nel grande silenzio della liturgia,
permettendo a noi stessi di essere arricchiti da tutte le forme liturgiche,
siano esse latine o orientali. Senza questa dimensione mistica del silenzio
e senza uno spirito contemplativo, la liturgia, invece di essere il luogo della
nostra unità e comunione nel Signore, diventa occasione di divisioni, scontri
ideologici e pubblica umiliazione dei deboli da parte di coloro che sostengono
di avere qualche autorità».
«Negli ultimi decenni
– denuncia il cardinale – molti fedeli sono stati maltrattati o profondamente
turbati da celebrazioni contrassegnate da superficialità e devastante
soggettivismo». Abbiamo così fedeli che si sentono liturgicamente «apolidi»,
senza casa. Ebbene, bisogna riportarli nella loro casa comune.
Secondo Sarah occorre un nuovo movimento liturgico per
favorire la riscoperta del centro vivo della liturgia.
Oggi abbiamo due poli. Da una parte «una liturgia
degenerata in uno spettacolo, in cui si cerca di rendere la religione
interessante con l’aiuto di innovazioni alla moda e luoghi comuni
orecchiabili»; dall’altra una conservazione di forme rituali che, portata alle
estreme conseguenze, «si manifesta in un isolamento ostinato». Occorre
evitare i due estremi puntando sullo spirito
della liturgia. E per fare questo il cardinale propone una formula: silenzio, adorazione, formazione.
«Per quanto mi riguarda, tutti i grandi momenti della
mia giornata coincidono con le ore incomparabili che trascorro in ginocchio,
nel buio, davanti al Santissimo Sacramento del Corpo e del Sangue di nostro
Signore Gesù Cristo». In quei momenti, dice il cardinale, si è immersi
nella purezza dell’amore di Dio.
La formazione liturgica è decisiva. Si tratta di vivere
la liturgia in tutta la sua ricchezza. Le disposizioni di «Summorum
pontificum» vanno applicate con attenzione, non per tornare indietro, per
guardare al passato, ma per far sì che la liturgia ritrovi il suo centro.
La conclusione è affidata dal cardinale alle parole
pronunciate da Benedetto XVI al termine dell’omelia nella solennità dei santi
Pietro e Paolo nel 2008: «Quando il
mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà
sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano
e salvo».
Aldo Maria Valli
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