sabato 20 maggio 2017

FRANCESCO E MEDJUGORJE


scritto da Aldo Maria Valli
Volo papale, di ritorno da Fatima. Seduto in fondo, le ginocchia quasi in bocca, riesco a malapena a prendere appunti.
Il papa parla di Medjugorje. Ascoltiamolo.
«È stata fatta una commissione presieduta dal cardinale Ruini. L’ha fatta Benedetto XVI. Io, alla fine del 2013 o all’inizio del 2014, ho ricevuto dal cardinale Ruini il risultato. Una commissione di bravi teologi, vescovi, cardinali. Bravi, bravi, bravi. Il rapporto Ruini è molto, molto buono. […]. Principalmente si devono distinguere tre cose. Sulle prime apparizioni, quando [i veggenti] erano ragazzi, il rapporto più o meno dice che si deve
Foto Lastampa
continuare a investigare. Circa le presunte apparizioni attuali, il rapporto ha i suoi dubbi. Io personalmente sono più cattivo: io preferisco la Madonna madre, nostra madre, e non la Madonna capo ufficio telegrafico che tutti i giorni invia un messaggio a tale ora. Questa non è la mamma di Gesù. E queste presunte apparizioni non hanno tanto valore. E questo lo dico come opinione personale. Ma chi pensa che la Madonna dica: “Venite che domani alla tale ora dirò un messaggio a quel veggente”, no! [Nel rapporto Ruini si] distinguono le due apparizioni. E, terzo, il nocciolo vero e proprio del rapporto Ruini: il fatto spirituale, il fatto pastorale, gente che va lì e si converte, gente che incontra Dio, che cambia vita. Per questo non c’è una bacchetta magica, e questo fatto spirituale, pastorale, non si può negare. Adesso, per vedere le cose con tutti questi dati, con le risposte che mi hanno inviato i teologi, si è nominato questo vescovo [l’arcivescovo polacco monsignor Henryk Hoser, ndr], bravo, bravo, bravo, perché ha esperienza, per vedere la parte pastorale come va. E alla fine si dirà qualche parola».
Prendere appunti con le ginocchia in bocca non è entusiasmante, specie dopo una faticosa giornata di lavoro. Dunque la lucidità è quella che è. Però, appena il papa finisce di parlare, penso a tutte le persone che vogliono bene alla Madonna di Medjugorje, a tutte quelle che si recano là in pellegrinaggio per pregare, per chiedere grazie. Come si sentiranno, adesso, dopo che Francesco ha espresso la sua opinione? È la mia opinione personale, dice lui. Sì, ma è quella del papa, non di un fedele qualunque!
C’è una parola che papa Bergoglio usa spesso, ed è tenerezza. Ecco: non mi sembra che in questo caso abbia dimostrato tenerezza verso i fedeli che credono nella Madonna di Medjugorje. È chiaro che lui non ci crede, ma forse, per rispetto verso la spiritualità di tante persone, avrebbe potuto dirlo diversamente. Invece è stato duro, quasi sarcastico. Perché?

DIETRO LE QUINTE DELLA COREA

 TRATTO DA "LA NUOVA EUROPA"
Un lungo e interessante articolo sulla realtà della Corea del Nord
venerdì 5 maggio 2017
Un regista russo a Pyongyang, per girare un documentario di «vita vissuta». Neppure il totalitarismo sovietico era riuscito a condizionare l’uomo a tal punto. In un’intervista a «The New Times» il racconto di un’esperienza ai limiti della realtà.

«Alla luce del sole» è il titolo di un documentario sulla vita di una scolara di Pyongyang, girato dal regista russo Vitalij Manskij per il governo nordcoreano. Godendo della fiducia del regime, il regista ha colto l’occasione per filmare ciò che nessuno straniero può vedere.

Il suo film in «versione integrale» si è già aggiudicato numerosi premi e recensioni in Occidente, ma gli è anche valso una nota di protesta del Ministero della Cultura coreano al Ministero degli Esteri russo, e l’ingiunzione da parte nordcoreana di vietarne la proiezione. 
Ma cosa ha visto Manskij a Pyongyang? Come è riuscito a fare delle riprese in questa città, e cosa invece non è riuscito a riprendere? In un’intervista esclusiva rilasciata ad Evgenija Al'bac del «The New Times», di cui presentiamo ampi stralci, il regista racconta come è riuscito a eludere la sorveglianza e a scoprire il
 fake eretto a sistema.
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Qualcuno le ha proposto di girare un film sulla Corea del Nord o lo ha deciso lei?
Certo che l’ho deciso io… Mi ha sempre interessato la Corea del Nord, perché mi chiedevo come si fa a sopraffare una persona, a distruggerla nei suoi princìpi fondamentali? Perché una persona è disposta a sottomettersi? È chiaro che questo è un film non solo e non tanto sulla Corea del Nord.

Quando siete arrivati per la prima volta nel paese del Juche, l’ideologia ufficiale?
Nel 2013 ho fatto un primo viaggio di sopralluogo: mi hanno mostrato quanto era bello questo paese, e alla fine sono riuscito a scegliere la mia protagonista: mi hanno portato in una scuola-modello, hanno condotto nello studio del direttore cinque bambine, e mi hanno detto: «Ha cinque minuti per conoscerle e scegliere quella che preferisce».
La sceneggiatura del documentario era già stata scritta prima ancora che potessi scegliere la protagonista: il film doveva parlare di una bambina che fa il suo ingresso ufficiale nell’associazione analoga a quella dei nostri Pionieri comunisti, l’Unione dei bambini, e alla quale viene affidato il compito importantissimo di partecipare alla più grande festa del mondo, a cui si sta preparano da tempo con i suoi compagni. Alla fine la bambina si trasforma in una delle migliaia di persone che compongono il più grande quadro vivente del mondo a tema «la felicità assoluta».
Ho scelto Zin Mi perché la bambina mi ha detto che suo padre faceva il giornalista, così ho pensato che tramite il suo lavoro sarei riuscito a scoprire qualcosa. Della mamma la bambina mi ha detto che lavorava nella mensa di una fabbrica. Così ho pensato: perfetto, una mensa, gente che mangia, forse anche qui potrò trovare qualche spunto interessante... Inoltre, Zin Mi viveva vicino alla stazione, in un monolocale, con la mamma, il papà e i nonni.

ROBERT SARAH: UN MAESTRO DELLO SPIRITO

Con il cardinale Sarah, un maestro del silenzio e della preghiera interiore, la Liturgia è in buone mani." BENEDETTO XVI

Il cardinale Robert Sarah ha pubblicato in francese il suo ultimo libro“La force du silence". E presto sarà disponibile anche nell'edizione italiana, che Cantagalli metterà in vendita alla fine di giugno

Ecco qui di seguito il testo integrale della prefazione del "papa emerito" BENEDETTO XVI al libro del cardinale Sarah.
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Da quando, negli anni Cinquanta, lessi per la prima volta le Lettere di sant’Ignazio di Antiochia, mi è rimasto particolarmente impresso un passo della sua Lettera agli Efesini: «È meglio rimanere in silenzio ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se si fa ciò che si dice. Uno solo è il Maestro che ha detto e ha fatto, e ciò che ha fatto rimanendo in silenzio è degno del Padre. Chi possiede veramente la parola di Gesù può percepire anche il suo silenzio, così da essere perfetto, così da operare tramite la sua parola ed essere conosciuto per mezzo del suo rimanere in silenzio» (15, 1s.).
Che significa percepire il silenzio di Gesù e riconoscerlo per mezzo del suo rimanere in silenzio? Dai Vangeli sappiamo che Gesù di continuo ha vissuto le notti da solo «sul monte» a pregare, in dialogo con il Padre. Sappiamo che il suo parlare, la sua parola proviene dal rimanere in silenzio e che solo in esso poteva maturare. È illuminante perciò il fatto che la sua parola possa essere compresa nel modo giusto solo se si entra anche nel suo silenzio; solo se s’impara ad ascoltarla a partire dal suo rimanere in silenzio.
Certo, per interpretare le parole di Gesù è necessaria una competenza storica che ci insegni a capire il tempo e il linguaggio di allora. Ma solo questo, in ogni caso, non basta per cogliere veramente il messaggio del Signore in tutta la sua profondità. Chi oggi legge i commenti ai Vangeli, diventati sempre più voluminosi, alla fine rimane deluso. Apprende molte cose utili sul passato, e molte ipotesi, che però alla fine non favoriscono per nulla la comprensione del testo. Alla fine si ha la sensazione che a quel sovrappiù di parole manchi qualcosa di essenziale: l’entrare nel silenzio di Gesù dal quale nasce la sua parola. Se non riusciremo a entrare in questo silenzio, anche la parola l’ascolteremo sempre solo superficialmente e così non la comprenderemo veramente.
Tutti questi pensieri mi hanno di nuovo attraversato l’anima leggendo il nuovo libro del cardinale Robert Sarah. Egli ci insegna il silenzio: il rimanere in silenzio insieme a Gesù, il vero silenzio interiore, e proprio così ci aiuta anche a comprendere in modo nuovo la parola del Signore. Naturalmente egli parla poco o nulla di sé, e tuttavia ogni tanto ci permette di gettare uno sguardo sulla sua vita interiore. A Nicolas Diat che gli chiede: «Nella sua vita a volte ha pensato che le parole diventano troppo fastidiose, troppo pesanti, troppo rumorose?», egli risponde: «… Quando prego e nella mia vita interiore spesso ho sentito l’esigenza di un silenzio più profondo e più completo… I giorni passati nel silenzio, nella solitudine e nel digiuno assoluto sono stati di grande aiuto. Sono stati una grazia incredibile, una lenta purificazione, un incontro personale con Dio… I giorni nel silenzio, nella solitudine e nel digiuno, con la Parola di Dio quale unico nutrimento, permettono all’uomo di orientare la sua vita all’essenziale» (risposta n. 134, p. 156).
 In queste righe appare la fonte di vita del Cardinale che conferisce alla sua parola profondità interiore. È questa la base che poi gli permette di riconoscere i pericoli che minacciano continuamente la vita spirituale proprio anche dei sacerdoti e dei vescovi, minacciando così la Chiesa stessa, nella quale al posto della Parola nient’affatto di rado subentra una verbosità in cui si dissolve la grandezza della Parola. Vorrei citare una sola frase che può essere origine di un esame di coscienza per ogni vescovo: «Può accadere che un sacerdote buono e pio, una volta elevato alla dignità episcopale, cada presto nella mediocrità e nella preoccupazione per le cose temporali. Gravato in tal modo dal peso degli uffici a lui affidati, mosso dall’ansia di piacere, preoccupato per il suo potere, la sua autorità e le necessità materiali del suo ufficio, a poco a poco si sfinisce» (risposta n.15, p.19).
Il cardinale Sarah è un maestro dello spirito che parla a partire dal profondo rimanere in silenzio insieme al Signore, a partire dalla profonda unità con lui, e così ha veramente qualcosa da dire a ognuno di noi.
Dobbiamo essere grati a Papa Francesco di avere posto un tale maestro dello spirito alla testa della Congregazione che è responsabile della celebrazione della Liturgia nella Chiesa. Anche per la Liturgia, come per l’interpretazione della Sacra Scrittura, è necessaria una competenza specifica. E tuttavia vale anche per la Liturgia che la conoscenza specialistica alla fine può ignorare l’essenziale, se non si fonda sul profondo e interiore essere una cosa sola con la Chiesa orante, che impara sempre di nuovo dal Signore stesso cosa sia il culto. Con il cardinale Sarah, un maestro del silenzio e della preghiera interiore, la Liturgia è in buone mani.
Benedetto XVI, papa emerito
Città del Vaticano, nella Settimana di Pasqua 2017


sabato 13 maggio 2017

IL NUOVO PRESIDENTE MONDIALE: FILANTROPO, PACIFISTA, VEGETARIANO, ANIMALISTA, ESEGETA, ECUMENISTA E NERO


Il quarto Ulivo mondiale, quello dell’obamo-renzismo
Le elites progressiste del grillismo chic, adorate dai giornali politicamente corretti

Maggio 11, 2017 Pietro Piccinini

Da tre giorni i notiziari sono pieni di Obama e Renzi che lanciano insieme da Milano il loro asse internazionale per la formazione dei “young leaders” della sinistra del futuro. Meglio: della «post-sinistra contro il populismo», come l’ha definita ieri Repubblica.
 
foto Ansa
Per cercare di capire di cosa si tratti, bisogna innanzitutto sforzarsi di superare i brividi che provoca l’inenarrabile intervista concessa dallo stesso Renzi al Corriere della Sera: Obama «punto di riferimento dei democratici a livello mondiale»; «commovente» la sua «attenzione non tanto al governo quanto al Paese»; e poi la gag telefonica con Macron, con il segretario del Pd che si spaccia per «l’assistente personale del presidente Obama, glielo passo». Dopo di che, bisogna osservare come siano proprio le principali testate italiane, tendenzialmente renziane, sicuramente obamiane, le prime a collegare questo mega progetto internazionale al non troppo fortunato Ulivo mondiale di Clinton, Blair e Prodi.

mercoledì 10 maggio 2017

BUONSENSO COME REATO

CHE DIRE, si sta un po’ esagerando.

Se uno osserva, e lo fa pacatamente, che l’integrazione tra culture diverse non è automatica, che oltre un certo limite l’accoglienza è impossibile e che comunque gli immigrati battono gli italiani 6 a 1 nelle statistiche criminali viene tacciato di xenofobia.
O, peggio, di razzismo.

Se uno osserva, e lo fa pacatamente, che quest’Europa è priva di legittimità democratica e che senza un’anima politica è destinata a morire o a conclamarsi in oligarchia si becca del «populista».
Se uno osserva, e lo fa pacatamente, che è giusto riconoscere pari diritti alle coppie omosessuali ma che un bambino ha più chance di crescere psicologicamente equilibrato se ha un padre e una madre piuttosto che due padri o due madri viene escluso dal consesso civile con l’accusa di omofobia.

E rischia anche di essere sospeso dall’albo professionale come accade allo psicoterapeuta milanese Giancarlo Ricci. Il buonsenso come reato, reato di opinione.

Doveroso, allora, interrogarsi sulle condizioni di salute dello Stato di diritto, sull’eclissi del pensiero liberale, sul trionfo del politicamente corretto.
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OVVERO, quell’esasperazione dei buoni sentimenti attraverso cui i progressisti hanno sublimato la crisi di identità dovuta alla perdita del legame politico con le masse popolari più disagiate.
«Populista è l’aggettivo usato dalla sinistra per designare il popolo quando questo comincia a sfuggirle», sentenziò nel lontano ‘96 un francese particolarmente arguto.
Un’ubriacatura collettiva che allontana ulteriormente le élite dal popolo, i media dal senso comune e, nel caso del dottor Ricci, denunciato da un manipolo di colleghi ‘benpensanti’, certi professionisti dalle evidenze della scienza che dovrebbero padroneggiare.
Ecco, si sta un po’ esagerando. E semmai l’Ordine degli psicologi dovesse sanzionare il povero Ricci si sarà davvero passato il limite.

Andrea Cangini
Tratto da “il resto del Carlino”


domenica 7 maggio 2017

IL SENSO DELLA NASCITA

“Non si può dare ad un essere umano, non si può dare ad un figlio il senso dell’essere voluto, il sentimento dell’essere voluto, non si può far capire questo, se non si comunica la gioia di un destino” (Don Luigi Giussani).


La nascita ha, quindi, un senso profondissimo e misterioso, scaturisce da quell’amore che – a detta di Dante – muove tutto, perfino il sole e le altre stelle. Per capire la vita bisogna ritornare là, al momento della nascita. La parola «vita» definisce per molti troppo spesso qualcosa di scontato, di dovuto, come se fosse una questione nostra, privata, da gestire in totale autonomia. Quando parliamo di nascita, però, tutto cambia. Basta guardare un neonato oppure è sufficiente assistere al parto. Quando sta nascendo tuo figlio e vedi tua moglie stremata e capisci che tu, papà, sei completamente impotente di fronte a quanto sta accadendo e puoi soltanto pregare e affidarti perché tutto vada bene, allora, in quel momento, nell’istante della nascita, troppo evidente è la totale dipendenza da qualcun altro. 

Ieri a Peoria (IL) è nato Theodore Giuseppe Marcatelli

venerdì 5 maggio 2017

L’INFERNO SU QUESTA TERRA È PRONTO

DURER APOCALISSE

Ormai ci siamo.


«Se una legislazione civile rinunciasse al principio che la vita umana è un bene che non è a disposizione di nessuno, legittimando il suicidio assistito o l’abbandono terapeutico, toglierebbe uno dei pilastri, anzi la colonna portante di tutto l’edificio spirituale costruito sulla base del riconoscimento della dignità della persona. Sarebbe questione di tempo, ma la rovina sarebbe totale» 

Card. Caffarra


giovedì 4 maggio 2017

IL MIGLIOR MODO DI FARE SILENZIO

Apologia del Rosario
di Leonardo Lugaresi
Parliamo troppo. Tutti parlano in continuazione (io, per esempio, in questo momento sto parlando). Talvolta ci lamentiamo che le persone non si parlano, che non c'è dialogo ... ma è solo perché stanno parlando altrove, sulla rete di solito, non perché stiano veramente zitte.
Nella chiesa non va meglio che nel mondo: non vi si è mai parlato tanto come adesso, e se c'è una parola che può definire, nell'insieme, le nostre attuali liturgie direi che è: “verbose”. Gli spazi di silenzio, durante le messe, si misurano in secondi e spesso si esce frastornati, più che edificati, da quella mezzora di parole continue. Spesso parole umane che soffocano quella di Dio.
Donatello, la Vergine e il Bambino, Louvre Parigi
Purtroppo non basta tenere la bocca chiusa per fare silenzio. Se ci provi, ti si riempie subito la testa di parole: fuori taci, ma dentro c'è chiasso.
Il metodo più semplice, alla portata di tutti, anche di noi poveretti, per mettere un po' d'ordine in casa è dire il rosario. Maria è la grande silenziosa, e nel suo silenzio pieno di pensiero fiorisce la Parola divina, si fa carne in quel grembo di silenzio accogliente.

Ripetere cinquanta volte le parole rivolte a Maria, dire cinquanta volte Gesù dal suo punto di vista (“frutto benedetto del ventre tuo”), nominare cinquanta volte l'ora della nostra morte (se c'è un pensiero che ha il potere di farci stare zitti è quello!) è una disciplina benedetta. È come il cavo della ferrata che permette di salire sulla montagna anche a chi non è un'alpinista provetto.

martedì 2 maggio 2017

ALTRO CHE ACCANIMENTO, IL PERICOLO SE MAI È LA RESA DELLA MEDICINA

 Alfredo Mantovano

La legge sulle dat è passata alla Camera mentre in un’aula accanto si discuteva di come far tornare i conti pubblici: una coincidenza?

 
foto ANSA
Noi però vietiamo l’accanimento terapeutico… Al clou della discussione sulle dat l’aula della Camera ha approvato un emendamento che pone tale esplicito divieto. E i media – con rare eccezioni – non hanno mancato di titolare di conseguenza: con l’obiettivo di non far qualificare ciò che passava per quello che era, cioè eutanasia. Se tuttavia perfino il giornalista di testata à la page provasse a far prevalere l’esperienza di vita quotidiana sul condizionamento ideologico, arriverebbe ad ammettere che l’accanimento terapeutico oggi non esiste.

Chiunque ha la ventura di entrare, pur solo come visitatore, nel reparto di un ospedale per stare accanto al familiare o all’amico ricoverato, sa che non vi è una prassi di moltiplicazione di cure sproporzionate, e neanche di moltiplicazione di cure tout court. Sa – o gli viene raccontato – che se mai inizia a manifestarsi la tendenza contraria: con una certa frequenza vengono negate terapie costose, pur se hanno probabilità di successo. Se un paziente è affetto da una patologia tumorale e ha una età avanzata, può accadere – è accaduto – che gli venga comunicato con garbo che i trattamenti chemioterapici si sono perfezionati, che nel caso concreto la prognosi a seguito della loro assunzione sarebbe financo favorevole, e però insomma ne vale proprio la pena visto il numero di anni che già sono alle spalle?

Quando il budget della sanità conosce tagli sensibili, e in parallelo cresce la domanda di cure perché l’età media si eleva in virtù del calo demografico, si introducono criteri di selezione delle risorse e dei loro destinatari, soprattutto – per stare all’esempio delle terapie oncologiche – in presenza di costi elevati del trattamento sanitario. L’età è un criterio di selezione. Patologie gravi, come la Sla, pure. Patologie di carattere mentale, di complessa gestione, ancor di più. La tendenza che si afferma sotto traccia non è quella delle cure inutili o sproporzionate, ma quella dell’abbandono del paziente. E quando la prognosi è infausta ma si è in presenza di sofferenze acute, la medicina non dovrebbe abbandonare il campo: deontologia e senso di umanità impongono di intensificare la terapia del dolore.

Mai scordare i casi Belgio e Olanda

La legge n. 38/2010, una delle poche di segno positivo su questo versante varate negli ultimi anni, facilita l’accesso alle cure palliative, soprattutto verso i malati inguaribili, ma le ristrettezze della corrispondente voce di bilancio ne permettono oggi la fruizione da appena il 30 per cento di chi ne ha reale necessità. Altro che accanimento, se vi è bisogno di novità, è di norme che impongano la presa in carico, non l’abbandono, del malato, facendo seguire i fatti concreti alle proclamazioni di principio.

La legge sulle dat incrementa la lontananza e il distacco verso persone affette da gravi disabilità, che vogliono affrontare la sfida della vita, ma alle quali serve vicinanza per non sentirsi un peso, loro e le loro famiglie. La risposta data finora dalla Camera, in attesa dell’esame del Senato, è invece la costruzione di un sistema che orienta a “staccare la spina”, che scarica sul medico la responsabilità di non optare per la soluzione più facile e meno costosa per il servizio pubblico, e che a breve gli toglierà la copertura assicurativa se terrà una condotta orientata al bene del paziente invece che alla tenuta economica del sistema.

Quando in Stati come il Belgio o l’Olanda si è avviato il percorso sul quale è oggi instradata l’Italia non si parlava di eutanasia né di presunzione del consenso all’interruzione dei trattamenti; poi sono arrivati i protocolli che interessano i minori, i bambini Down sono letteralmente scomparsi dalla circolazione, il generico disagio psichico è assurto a patologia da fine vita.


Ci arriveremo qui da noi se non ci fermiamo subito. La legge sulle dat è passata nell’aula della Camera mentre in qualche aula a fianco si discuteva dell’aggiustamento dei conti pubblici: è una coincidenza o è coerente con un ordinamento che trova le risorse per permettere la realizzazione dei desideri (è recente il finanziamento pubblico della fecondazione eterologa, inserita nei Lea-livelli essenziali di assistenza) e le nega per le cure palliative e per le malattie vere?

1 MAGGIO 2017 tratto da TEMPI