Alfredo Mantovano
La legge sulle dat
è passata alla Camera mentre in un’aula accanto si discuteva di come far
tornare i conti pubblici: una coincidenza?
Noi però
vietiamo l’accanimento terapeutico… Al clou della discussione sulle dat
l’aula della Camera ha approvato un emendamento che pone tale esplicito
divieto. E i media – con rare eccezioni – non hanno mancato di titolare di conseguenza:
con l’obiettivo di non far qualificare ciò che passava per quello che era, cioè
eutanasia. Se tuttavia perfino il giornalista di testata à la page provasse a
far prevalere l’esperienza di vita quotidiana sul condizionamento ideologico,
arriverebbe ad ammettere che l’accanimento
terapeutico oggi non esiste.
Chiunque ha la ventura di entrare, pur solo come visitatore, nel reparto di
un ospedale per stare accanto al familiare o all’amico ricoverato, sa che non
vi è una prassi di moltiplicazione di cure sproporzionate, e neanche di
moltiplicazione di cure tout court. Sa – o gli viene raccontato – che se mai
inizia a manifestarsi la tendenza contraria: con una certa frequenza vengono
negate terapie costose, pur se hanno probabilità di successo. Se un paziente è
affetto da una patologia tumorale e ha una età avanzata, può accadere – è
accaduto – che gli venga comunicato con garbo che i trattamenti chemioterapici
si sono perfezionati, che nel caso concreto la prognosi a seguito della loro
assunzione sarebbe financo favorevole, e però insomma ne vale proprio la pena
visto il numero di anni che già sono alle spalle?
Quando il budget della sanità conosce tagli sensibili, e in parallelo
cresce la domanda di cure perché l’età media si eleva in virtù del calo demografico,
si introducono criteri di selezione delle risorse e dei loro destinatari,
soprattutto – per stare all’esempio delle terapie oncologiche – in presenza di
costi elevati del trattamento sanitario. L’età è un criterio di selezione.
Patologie gravi, come la Sla, pure. Patologie di carattere mentale, di
complessa gestione, ancor di più. La
tendenza che si afferma sotto traccia non è quella delle cure inutili o
sproporzionate, ma quella dell’abbandono del paziente. E quando la prognosi
è infausta ma si è in presenza di sofferenze acute, la medicina non dovrebbe
abbandonare il campo: deontologia e senso di umanità impongono di intensificare
la terapia del dolore.
Mai scordare i casi Belgio e Olanda
La legge n. 38/2010, una delle poche di segno positivo su questo versante varate negli ultimi anni, facilita l’accesso alle cure palliative, soprattutto verso i malati inguaribili, ma le ristrettezze della corrispondente voce di bilancio ne permettono oggi la fruizione da appena il 30 per cento di chi ne ha reale necessità. Altro che accanimento, se vi è bisogno di novità, è di norme che impongano la presa in carico, non l’abbandono, del malato, facendo seguire i fatti concreti alle proclamazioni di principio.
La legge sulle dat incrementa la lontananza e il distacco verso persone
affette da gravi disabilità, che vogliono affrontare la sfida della vita, ma
alle quali serve vicinanza per non sentirsi un peso, loro e le loro famiglie.
La risposta data finora dalla Camera, in attesa dell’esame del Senato, è invece
la costruzione di un sistema che orienta
a “staccare la spina”, che scarica sul medico la responsabilità di non
optare per la soluzione più facile e meno costosa per il servizio pubblico, e
che a breve gli toglierà la copertura assicurativa se terrà una condotta
orientata al bene del paziente invece che alla tenuta economica del sistema.
Quando in
Stati come il Belgio o l’Olanda si è avviato il percorso sul quale è oggi
instradata l’Italia non si parlava di eutanasia né di presunzione del consenso
all’interruzione dei trattamenti; poi sono arrivati i protocolli che
interessano i minori, i bambini Down sono letteralmente scomparsi dalla
circolazione, il generico disagio psichico è assurto a patologia da fine vita.
Ci arriveremo qui da noi se non ci fermiamo subito. La legge sulle dat è passata nell’aula della Camera mentre in qualche
aula a fianco si discuteva dell’aggiustamento dei conti pubblici: è una
coincidenza o è coerente con un ordinamento che trova le risorse per permettere
la realizzazione dei desideri (è recente il finanziamento pubblico della
fecondazione eterologa, inserita nei Lea-livelli essenziali di assistenza) e le
nega per le cure palliative e per le malattie vere?
1 MAGGIO 2017 tratto da TEMPI
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