«Destra e sinistra sono
categorie passate. Il popolo ha votato contro le élite che vogliono imporre un
modo universale di agire e pensare» Intervista al sottosegretario alla
presidenza del Consiglio
«Sì, questa è la prima
volta che parlo al Meeting di Rimini, ma non è la prima volta che ci vengo. Ci
sono già stato negli anni scorsi da semplice visitatore. Qui ho sempre trovato
la parte sana e positiva dalla società italiana che ama confrontarsi su temi
spesso dimenticati dalla cronaca. Come è noto, io non sono uno che ama la
superficialità, mi piace approfondire e il Meeting mi pare il luogo adatto per
riflettere e trattare questioni che riguardano l’attualità e il futuro secondo
una prospettiva non scontata». Giancarlo
Giorgetti è certamente uno degli ospiti politici più importanti di questa
XXXIX edizione e parteciperà lunedì 20 agosto al dibattito “Le prospettive
della democrazia” a cura dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà
presieduto da Maurizio Lupi.
Giorgetti è sempre
molto parco nel rilasciare interviste. Non ama apparire, non smania per stare
sul palcoscenico e ha sempre fatto di questa sua attitudine un marchio di
fabbrica. Pur essendo un leghista della prima ora (fu eletto per la prima volta
alla Camera dei deputati nel 1996, quando aveva solo 29 anni e una laurea in
Economia alla Bocconi di Milano), ha sempre centellinato le sue dichiarazioni e
le sue uscite pubbliche. È forse anche grazie a questa sua proverbiale
riservatezza che sui giornali è stato via via definito il “Gianni Letta di
Forza Italia” o il “Mister Wolf leghista” dato che gli è unanimemente
riconosciuta una capacità non comune di mediazione, intelligenza e sano
pragmatismo (non è un caso se nel 2013 l’allora presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano lo invitò a far parte del “Gruppo dei saggi” che doveva
occuparsi di elaborare un piano di riforme in campo economico e sociale).
Oggi Giorgetti ricopre
nel governo Conte il ruolo più importante e delicato: è sottosegretario di
Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri, il posto dove tutto passa e
tutto si decide. Non è inusuale, infatti, nei capannelli lungo il
Transatlantico di Montecitorio sentire qualche deputato dire: «Questo bisogna
chiederlo a Giorgetti». Calcisticamente e politicamente si definisce «un
portiere», ruolo che rende bene l’idea di chi è più preoccupato di dirigere la
difesa e la squadra da una posizione privilegiata, piuttosto che l’appariscente
posizione del centravanti, cui vanno sempre gli elogi e gli applausi del
pubblico e della critica.
Lei ha di recente
sottolineato il fatto che categorie come “destra” e “sinistra” siano ormai
desuete e inadeguate a comprendere lo scenario politico attuale. L’ho sentita
dire che sarebbe più corretto sostituirle con il binomio “élite – popolo”. Cosa
intende?
Non sono io ad aver identificato queste due categorie, è stato l’elettorato a
imporle all’attenzione di tutti quando si è andati al voto. Prendiamo come
esempio le ultime elezioni italiane: le categorie di “destra” e “sinistra” che
caratterizzavano il passato e che hanno consentito negli ultimi anni di leggere
il voto, oggi non valgono più. Mi spiego: in Italia abbiamo sempre vissuto una
certa stabilità dovuta, prima, alla contrapposizione tra la Democrazia
cristiana e Partito comunista e, poi, tra chi seguiva la leadership di Silvio
Berlusconi e chi la contrastava. Tutto questo è sparito nel momento in cui
l’elettorato di sinistra non si è più riconosciuto nei partiti di quell’area
culturale e, di converso, quello di destra non si è più riconosciuto nelle
formazioni di destra. In un modo assolutamente liquido, è accaduto che questo
elettorato ha cominciato a spostarsi verso la Lega o verso il Movimento 5
stelle. Questo è il fenomeno che si è verificato negli ultimi anni e che ha
dato la sua lampante prova alle ultime elezioni. Certo, distribuito in modo
diverso sotto il profilo geografico perché, come è evidente, il Nord ha votato
per noi e il Sud per i grillini, ma resta il dato di fatto che il voto non può
più essere letto secondo le categorie di “destra e “sinistra”.
Categorie ormai
antiche?
Io penso di sì e credo che sarà sempre di più così. Il popolo italiano, e in
particolare i giovani ma secondo me tutti quelli che hanno meno di
cinquant’anni, hanno abbandonato l’idea che si sia di “destra” o di “sinistra”.
In questo momento, se vogliamo, possiamo pure dire che la gente ha votato di
pancia, seguendo un’emozione, ma è un fatto che nessuno ormai creda più alle
formule e alle etichette, peraltro vuote, dei vecchi partiti.
Quando lei pensa alle
élite, cosa pensa, a chi pensa?
Penso a coloro che ritengono di avere in mano una verità cui il popolo si deve
adeguare. Una ricetta che sia in grado di risolvere – in tutto il mondo! – ogni
problema che riguarda l’economia e ogni ambito del vivere. Penso all’élite
dell’informazione che, in nome di una sua idea, s’arroga il potere di imporre a
tutti “diritti” che diritti non sono, tanto che spesso la gente non li vuole,
non sa che farsene eppure costoro vorrebbero farceli digerire a forza. Insomma,
penso a tutti coloro che, in virtù di una supposta superiore illuminazione,
pretendono che i politici eseguano in modo pedissequo le loro indicazioni. Solo
che, ad un certo punto, il popolo, ovviamente non solo in Italia, ma un po’
dappertutto, ha cominciato a ribellarsi a questo tipo d’impostazione. È
successo negli Stati Uniti, in Italia e anche altrove.
È vero che ha
consigliato ai suoi colleghi di partito di tenere sulla scrivania una foto di
Matteo Renzi così da ricordarsi sempre di quanto il potere sia effimero e
passeggero?
La fotografia non è quella del personaggio citato, ma il senso del mio discorso
era quello. Io, purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista, è da
molto tempo che sono in Parlamento: ho vissuto sia l’esperienza
dell’opposizione sia quella di governo e quindi conosco i cicli politici e so
benissimo che un giorno si è sulla cresta dell’onda e il giorno dopo a terra.
Bisogna sempre mantenere un sano realismo, da non confondere col pessimismo. In
questo momento il governo beneficia di un grande consenso popolare e di una
luna di miele che, probabilmente, si prolungherà per la mancanza di
un’opposizione organizzata. Ma non dobbiamo illuderci che durerà in eterno. Per
questo occorre costruire, lavorare, darsi da fare. Soprattutto non bisogna mai
perdere il contatto con la realtà.
Lei è cattolico e non
ne ha mai fatto mistero. Ha partecipato alla Marcia per la vita ed è stato tra
i maggiori promotori della legge 40, una buona legge di compromesso, da un
punto di vista cattolico, sulla regolamentazione delle procreazione
medicalmente assistita. Però, come lei sa, questa legge nel corso degli anni è
stata via via smantellata dalle sentenze dei tribunali. E, ultimamente, abbiamo
visto, sulle tematiche bioetiche, chiamiamole così, numerosi passi azzardati in
avanti.
È vero. Sono leggi che subiscono queste modifiche e anche le pressioni e le
decisioni che transitano da consessi sovranazionali. È chiaro che noi avremmo
voluto fare di più e abbiamo le idee chiare su questi temi. Pensi solo a
qualche mio collega di governo (il ministro Lorenzo Fontana, ndr) che ha più
volte e ampiamente manifestato i suoi convincimenti, ma è anche vero che,
rispetto alla china pericolosissima presa nell’ultima legislatura, il fatto che
questi temi non siano compresi nel contratto di governo coi cinquestelle è una
garanzia che le cose non saranno peggiorate. Noi abbiamo accettato di non
imporre le nostre idee, ma anche loro hanno accettato di non approvare alcuna
proposta che arrivi da altri partiti. Da questo punto di vista, è un governo di
moratoria rispetto all’esecutivo precedente.
Lei ha detto che i
suoi tre riferimenti politici sono Umberto Bossi, don Luigi Sturzo e Bettino
Craxi. Se per il primo è facile capire il perché e per il secondo è intuibile,
ci spiega perché ha nominato anche il leader socialista?
Don Sturzo perché ha dato al nostro popolo la coscienza di cosa sia una
democrazia moderna. Inoltre, sebbene se ne parli poco, era un convinto
federalista. A proposito di Craxi capisco che, detto da un leghista, possa
apparire un po’ provocatorio, ma io credo che sia ormai arrivato il tempo di
guardare la storia senza paraocchi e riconoscere che Craxi è stato l’ultimo, in
epoca contemporanea, ad avere la coscienza dell’interesse nazionale e a cercare
di portarlo avanti, di tradurlo in azione politica. Lo avrà fatto anche in modo
contrastato, ma io penso che in lui questa idea fosse genuina. E credo che, in
questo momento, serva riprendere quel tipo di capacità, quel tipo di coscienza
dell’interesse generale nazionale.
Agosto 19, 2018 TEMPI Emanuele Boffi
Foto Ansa