di Claudio Risé, da
“La Verità”, 22 luglio 2018
Tira aria nuova. Lo provano le parole: quelle ripetute fino
allo sfinimento decadono e tra lo stupore generale ne tornano di antiche. Più
secche, irritanti, ma forse anche più vere. Per esempio torna in auge la parola
nemico, detta così, senza tante storie. Come ha fatto Donald Trump da Helsinki,
prima dell'incontro con Vladimir Putin, quando in un'intervista alla
televisione americana Cbs ha detto: "Penso che l'Unione europea sia un
nemico. Non lo credereste, ma gli europei sono dei nemici".
L'affermazione non è presentata come una questione
personale, anche se il grande pupazzo gonfiato con un Trump-infante con
pannolino e cellulare in mano, issato nel cielo per 16 mila sterline davanti al
Parlamento di Londra con la benedizione del sindaco Sadiq Khan avrà di sicuro
avuto la sua parte nella questione, e altrettanto i cortei anti Donald nelle
strade di Helsinki da dove il Presidente ha rilasciato l'intervista. Ma Trump rassicura: i nemici esistono, non è
uno scandalo, né una novità. Anzi: "non significa che sono cattivi”, ha
continuato il presidente Usa. "Significa che sono in competizione con
noi".
TURNER nave nella tempesta |
Ecco un'altra volta il bambino con il suo scandaloso grido
che sta cambiando il mondo: il Re è nudo. Non siamo tutti amici. Non facciamone
però una tragedia. Era la storia che ci raccontavano prima che era una farsa.
Subito interviene allora lo spiumacciato establishment europeo con le accorate
smentite e ferme condanne, come da copione: il Presidente del Consiglio Ue,
Donald Tusk assicura che no! "Usa e Ue sono ottimi amici! Chiunque dica
che sono nemici diffonde fake news", brandendo il luogo comune più usato e
usurato del momento per cercare di sistemare tutto. In realtà la fake new, durata fin troppo tempo, è quella che:
"siamo tutti amici". La novità assoluta è il ritorno in grande
spolvero della categoria linguistica, affettiva e cognitiva dell'amiconemico,
che presiede da sempre alla vita umana, alle relazioni tra le persone, e naturalmente
anche tra gli Stati.
Ebbene sì: è vero che non ci vogliamo sempre bene; ma in ciò
non c'è niente di male e non è il caso di farne chissà che storia. In genere,
come dice il Puer Robustus Donald Trump è semplicemente perché "siamo in
competizione": meglio ammetterlo, piuttosto che truccare le carte. Per esempio con Trattati commerciali truffa
dove ad alcuni va benissimo, ad altri molto meno, e i produttori che non
hanno voce in capitolo rischiano pesantemente, come quelli di certi formaggi di
fossa, o il lardo di Colonnata, (frazione di Carrara), che però risulta
prodotto anche in ben 12 regioni italiane, ma forse anche in Bulgaria, Romania
e Croazia; appunto perché siamo tutti amici. L'espulsione della categoria
amico-nemico dalla vita pubblica, da quella politica e dal pensiero del bravo
cittadino è questione abbastanza recente, e nasce dal tentativo novecentesco di
negare che ogni ordine nasce da un precedente conflitto, che va regolato. Non
si tratta solo di buone maniere. Dire che
ci vogliamo tutti bene, infatti, non è un fatto di educazione ma un programma
culturale e antropologico fondato sulla falsificazione della realtà.. Si
tratta di una questione centrale: il politicamente È il contrario del si, si, no, no cristiano, della dichiarazione di
Gesù: "non sono venuto a portare la pace ma la spada", simbolo della
discriminazione tra bene e male, oltre che principio maschile.
Si tratta di una questione centrale: il politicamente
corretto non è solo la "semantica
dell'eufemismo" presentata (molto meglio) nel libro di Nora Galli de
Paratesi, ma il nuovo codice linguistico e dei rapporti umani sul quale fondare
nuove leggi e regolamenti di convivenza, lontani dalla natura umana di cui
ormai è perfino di cattivo gusto parlare. È
lo strumento indispensabile a quell'indebolimento del soggetto umano e della sua
personalità prodotto dal passaggio tardomoderno dalla decisione alla
discussione, dall'azione al "discorso", dall'amore per l'amico e
l'ostilità per il nemico all' indifferenza per entrambi e al ripiegamento su di
sé e sui propri esclusivi interessi. È la politica e la morale del
compromesso.
Sono anche i parlamenti democratici come li ha descritti già
un secolo fa il filosofo della scuola di Francoforte Walter Benjamin, notando
che l'indecisione e il compromesso uccidevano ogni autentica speranza e contemporaneamente
alimentavano una sotterranea e pericolosa rabbia e violenza. Queste riflessioni
furono scritte negli anni in cui si preparavano i grandi totalitarismi che
trasformarono poi l'indecisione permanente dei parlamenti democratici nelle
dittature dello "Stato d’eccezione". Servendosi di "purezze" ideali, generosità, diritto,
solidarietà, eguaglianza, i dirigenti politici delle ultime versioni di
mondialismo e globalizzazione, come già mostrava Carl Schmitt, hanno svuotato
le categorie amico e nemico per imbrigliare i cittadini con i buoni sentimenti
e così neutralizzarli, togliendo loro la capacità di decidere.
I risultati ottenuti non invogliano a continuare. Da tutta
questa gentilezza e amicizia sono infatti usciti i totalitarismi, due guerre
mondiali, disordine e smarrimento diffuso, e un generale indebolimento del
mondo occidentale. Come evitare che la storia si ripeta? Uscire dalla
falsificazione del "siamo ottimi amici", dichiarando le diversità e
anche i conflitti e ripristinando l'eterna categoria dell'amico-nemico forse
non basterà, ma è un passo necessario per rimettere l'uomo naturale in contatto
con l'uomo autenticamente sociale. Che non è il suddito ubbidiente e
politicamente corretto ma colui che crede in ciò che fa, si appassiona, si mette
in gioco nella realtà, anche arrabbiandosi. E dopo è contento o magari
furibondo, comunque non nascosto dietro
all'ambiguità, che fa perdere forza a lui, all'altro e alla società intera.
Una posizione più franca nella relazione con gli altri non ha effetti solo
sulla politica, ma su ogni aspetto dell'esperienza, a cominciare dalla vita
affettiva e dalla sessualità.
È il mistero, il
fascino e anche l'inquietudine della differenza che suscita la passione per
l'altro e quindi la generazione del nuovo (i bambini), che altrimenti
terrorizza. L'energia della scoperta e della conquista che muove l'uomo verso
la donna è strettamente imparentata con la dialettica amiconemico. La spinta
che ci spinge verso l'altro è infatti la stessa nell'amore e nella guerra (come
recita - tra gli altri un detto francese: " à l'amour comme à la
guerre"). In entrambi i casi la forza protagonista è Eros, un dio armato
di arco e frecce, come ha ricordato anche Franco Fornari nei suoi studi sulla
guerra, condotti spesso con pacifisti di livello internazionale. Se lo si
dimentica si cade in quel "romanticismo meschino" (come lo chiamava
Pierre Drieu de La Rochelle) cui si ispira non solo la cattiva letteratura ma
anche la cattiva politica della modernità, che cerca di nascondere i propri
conflitti di interesse dietro i buoni sentimenti. Una falsificazione che rende
"debole" l'uomo e la donna di oggi (accontentando il "pensiero
debole" teorizzato da Gianni Vattimo ), e finisce con lo spegnere l'Eros teso a generare bambini e mondi nuovi,
per ripiegare sulla sessualità tecnicizzata, egoista e impaurita da ogni
cambiamento, rinnovamento e dono di sé, come quella delle coppie "free
child", "libere da figli", magistralmente raccontate da
Borgonovo qualche giorno fa su “La Verità”.
L'irruente Trump, che al mattino restaura le categorie amico
e nemico, piazzando l'ipocrita e educata Europa tra i nemici, e al pomeriggio
chiude una guerra fredda (in atto dagli anni 50 del 900), cui neppure la fine
dell'Unione sovietica era riuscita a porre termine, irrita e scandalizza le
élites di potere. Ma (come notavano sia il profondo e delicato Walter Benjamin
che il duro Carl Schmitt), di frivola superficialità e pesanti e ben celati
interessi si può morire.
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