LEONARDO LUGARESI
Dice proprio così il vangelo: «La donna quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo». Non dice “suo figlio”, come sembrerebbe naturale, dice "un uomo".
Un'ora fa è venuto al mondo Marco, il mio secondo nipotino. Sono a casa, non l'ho ancora visto, è ancora uno sconosciuto per me, eppure mi pare di capire solo ora il senso di quel dettaglio evangelico. La gioia profonda, quieta e sconfinata come un grande mare senza onde, che sento e a cui mi sento consegnato in questi momenti è proprio perché «è venuto al mondo un uomo»: che sia il figlio di mio figlio è il grimaldello che solleva la pesantezza abituale del cuore e ne vince la durezza, ma la radice della gioia è un'altra. È nato un uomo!
Se gli uomini fossero come Dio proverebbero una gioia del genere letteralmente ogni volta che nasce un uomo: avrebbero bisogno di essere Dio per sopportarla.
Penso alla gioia di Dio ogni volta che nasce un uomo – comunque, in qualsiasi modo e in qualsiasi condizione
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