Fernando de Haro ha scritto qualche giorno fa sul Sussidiario:
https://www.ilsussidiario.net/editoriale/2021/6/29/la-verita-non-ha-bisogno-di-fortezze/2189414/
(che consiglio di leggere)
Ha risposto Sabino Paciolla: https://www.sabinopaciolla.com/de-haro-i-bastioni-e-lingenuo-cristianesimo/
nel suo blog con l’intervento che segue.
nota bene:
Rodolfo Casadei sulla sua pagina fb ha condiviso con queste parole:« (…)
questa sua reazione all'articolo di Fernando De Haro intitolato "La verità
non ha bisogno di fortezze" ci voleva proprio. Sarebbe bello che su questi argomenti ci si potesse confrontare
seriamente e fraternamente, consapevoli che nessuno oggi ha l'esclusiva del
carisma, e non su Facebook ma in assemblee cristiane vere e partecipate. Prego
che quel momento arrivi. Per intanto, grazie Sabino».
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LA COLLINA DELLE CROCI LITUANIA |
A volte, dopo la lettura di
certi articoli si corre il rischio di rimanere depressi o arrabbiati. E’ quello
che mi è capitato leggendo un articolo a firma di Fernando De Haro, pubblicato su Il Sussidiario. Tenuto conto però dell’autore e, soprattutto, dell’ambiente
cui appartiene, è il caso che esprima qualche osservazione.
Il contenuto dell’articolo può essere sintetizzato così: “Quello
che scriveva von Balthasar quasi 70 anni fa è ancora oggi molto attuale: il
cristianesimo non ha bisogno di fortezze e bastioni”.
De Haro tenta di sostenere il suo (fragile) argomentare con un
nome altisonante, il teologo Hans Urs von Balthasar, prendendo spunto da un suo
libro intitolato: Abbattere i bastioni. E’ chiaro che quel libro riflette il periodo e
le circostanze in cui è stato scritto (1952), De Haro però non tiene conto
della parabola temporale dell’autore e, soprattutto, delle opere scritte nel
periodo successivo, in particolare di quelle pubblicate a partire dalla
chiusura del Concilio Vaticano II. (…)
Se dunque si cita Balthasar, occorre citarlo
tutto. Egli nell’ultima parte della sua vita si è battuto perché il desiderio
eccessivo di trovare accordi (o costruire ponti) con tutti e su tutto
(religione universale dell’umanità, ecumenismo a buon mercato, ecc.) non
conducesse i cattolici a perdere l’elemento distintivo della loro fede.
Non a caso, don Giussani incontrerà von Balthasar proprio qualche anno dopo la conclusione del Concilio
Vaticano II. Nel gennaio 1971 Giussani partecipa agli Esercizi spirituali dei
gruppi di CL delle università di Friburgo, Berna e Zurigo, che si svolgono a
Einsiedeln, sede di una storica abbazia benedettina. Le lezioni saranno tenute
da lui stesso e da Hans Urs von Balthasar.
De Haro prosegue:
“Balthasar invitava a non
aver paura del mondo. (…) Balthasar per fortuna non era solo. In quegli anni,
altri indicarono che un’esperienza di fede sana è caratterizzata dal non
trasformare il cristianesimo in una serie di posizioni da difendere, dal non
porsi di fronte al nuovo come antitesi, dalla sua capacità di assumerlo,
valorizzarlo e salvarlo.
È perciò sorprendente che
vi sia chi si impegna ora nel costruire nuovi bastioni, opzioni per ritirarsi
dal mondo per vivere senza menzogne. È sorprendente che vi sia chi denuncia un
destino di persecuzione dell’ideologia dominante verso il cristianesimo in
Europa e in America.
(…) in Occidente i
cristiani sono lontani dal subire una persecuzione. La facilità con cui si
parla degli attacchi al cristianesimo in Occidente da parte di un presunto
sistema totalitario, paragonandolo al sistema sovietico, riflette una mancanza
di rigore e visione. Parlare di totalitarismo morbido è un’irresponsabilità che
alimenta il vittimismo.”
Dopo aver letto questi passaggi mi è venuto spontaneo domandarmi
se De Haro non viva nel “paese delle meraviglie”. Mi sono chiesto pure se De
Haro abbia mai sentito parlare della perniciosa, in termini di libertà
religiosa, proposta di legge Equality Act in discussione negli Stati Uniti o
degli episodi giudiziari azionati da esponenti del mondo LGBT a carico di
artigiani (qui e qui) in odio alla loro fede, o
della battaglia legale delle Piccole sorelle dei poveri. Mi sono domandato se De Haro abbia mai sentito parlare di 6
anni di carcere per l’indefinito reato di omofobia previsto nel DDL Zan, reato che potrebbe ricomprendere
l’affermazione pubblica dell’unica famiglia stabilita da Dio, quella formata da
un uomo e una donna, come Lui li creò.
Mi sono chiesto se De Haro
abbia mai sentito parlare di una “Nota Verbale” inviata alcuni giorni
fa dal Vaticano all’ambasciata italiana presso la Santa Sede con la quale viene
evidenziata viva preoccupazione per l’eventuale approvazione del testo del DDL
Zan, una proposta i cui articoli “avrebbero l’effetto di incidere negativamente
sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli”, una proposta
che metterebbe a rischio “la piena libertà di svolgere la sua missione
pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione”
sancite con il Concordato.
Se si è mosso persino il Vaticano invocando il rispetto del
Concordato, prima volta nella storia, vorrà dire che una qualche forma di
persecuzione giudiziaria il Vaticano la intravvede all’orizzonte persino in
Italia.
Ma De Haro forse dimentica che fu proprio don Giussani, in uno
dei tantissimi colloqui, a mettere in guardia i cristiani richiamando le parole
di Gesù ai discepoli:
«Se il mondo vi odia,
sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe
ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo,
per questo il mondo vi odia.
Ricordatevi della parola
che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo
padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno
osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto
questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato».
e alla osservazione di uno degli astanti che diceva: “Una
persecuzione sottile, una emarginazione culturale….”
don Giussani con decisione rispondeva:
“Ma quale sottigliezza. Intendo proprio una persecuzione.”
e alla domanda: Una persecuzione vera?
Don GIUSSANI rispondeva:
“E così. L’ira del mondo
oggi non si alza dinanzi alla parola Chiesa, sta quieta anche dinanzi all’idea
che uno si definisca cattolico, o dinanzi alla figura del Papa dipinto come
un’autorità morale. Anzi c’è un ossequio formale, addirittura sincero. L’odio si scatena – a malapena contenuto,
ma presto tracimerà – dinanzi ai cattolici che si pongono per tali, cattolici
che si muovono nella semplicità della Tradizione.”
E allora chiedo a De Haro:
Anche don Giussani era un “irresponsabile” che alimentava il “vittimismo”?
Anche don Giussani era affetto da “mancanza di rigore e visione”? Non sarà piuttosto che ci siamo dimenticati
di quello che ci ha detto don Giussani, ovvero che lo abbiamo messo tra
parentesi?
E allora, piuttosto che pensare che De Haro sia una persona
sprovveduta, devo dedurre che sia affetto da quel clericale politicamente
corretto oggi così in voga, frutto della riduzione della fede ad un nocivo
sentimentalismo, affogato nell’intimismo.
Due aspetti della riduzione
della fede che la rendono evanescente fino a scomparire, priva di giudizio,
ininfluente nella società. Una fede che
non diventa cultura, una fede che non afferma la verità nella carità, una fede
che evita di dire che c’è un bene e un male, una fede che fa a meno di dire che
c’è una verità che ci libera dal peccato, una fede che non diventa giudizio per
paura di diventare offensiva e divisiva è una fede scipita, una fede che priva
l’uomo della sua statura veramente umana, una fede che taglia un effettivo
rapporto con la realtà.
Ricordiamo a tal
proposito l’avvertimento di San Giovanni Paolo II: «La sintesi tra cultura e
fede non è solo un’esigenza della cultura, ma anche della fede… Una fede che
non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata,
non fedelmente vissuta».
Quella di De Haro, dunque, sembra essere l’espressione di un
cristianesimo ingenuamente allegro, tutto teso ad abbattere fantomatici muri e
bastioni perché dimentico che Cristo è “la pietra di scandalo”, quella che i
costruttori hanno scartato.
Un cristianesimo in cui è assente la drammaticità del reale e la
testimonianza che ad ognuno è esigita, Dio non voglia, fino al martirio. Non basta indicare che ai
cristiani dei primi tempi era richiesto di incensare la statua dell’imperatore
come fosse un dio, occorre aggiungere che ANCHE
OGGI ci viene richiesto di genufletterci e incensare la statua dell’”imperatore”
di turno, che si presenta sotto mentite spoglie, consone ai tempi che corrono.
De Haro dimentica, o fa
finta di dimenticare, che ogni tempo ha il suo “imperatore”, perché in ogni
epoca il “principe di questo mondo” impersona l’”imperatore” che pretende di
essere lodato e incensato. A tal proposito, sarebbe bene che De Haro
riascoltasse la canzone di Claudio Chieffo intitolata “Martino e l’imperatore”.
Un ultima osservazione, emblematica della distanza dal reale di
De Haro. Egli, riferendosi ai cristiani dei primi tempi, a sottolineare il buio
dell’epoca, dice: ”Erano tempi in cui i bambini indesiderati si gettavano nel
Tevere”. De Haro sveglia!!! Oggi i bambini vengono orribilmente macellati a
decine di milioni ogni anno nel grembo materno. E questo genocidio viene
chiamato “diritto umano” (Rapporto Matić), espressione della liberazione della
donna, nobile manifestazione di civiltà.
Caro Fernando De Haro, non
ti pare che oggi i tempi siano bui come allora?
SABINO PACIOLLA