lunedì 12 luglio 2021

L’IDENTITÀ, IL NUOVO VITELLO D’ORO.


Cultura, politica e antropologia nel dibattito sul Ddl Zan


 Sul DdL Zan anche il CROCEVIA ha un’opinione, opinabile come tutte le opinioni.

Per riassumerla in breve: serve una sanzione penale dei crimini commessi contro omo-transessuali. Si deve intendere come ulteriore e integrativa rispetto a quelle già previste dalla Legge Mancino n. 205 del 25 giugno 1993, la quale punisce frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio e alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali? Serve una legge? Se è vero che le leggi non creano una nuova etica pubblica, però aiutano parecchio a creare un costume. La repressione introiettata genera un ethos.

D’altronde, ricerche e sondaggi documentano da anni che nella società civile esiste tuttora una forte minoranza, che non riconosce come reati i comportamenti anti-omo/transfobici. E, dunque, esiste nello schieramento politico una minoranza che rappresenta direttamente in Parlamento questa mentalità e che la dilata, le offre voce, per l’appunto, la alimenta per ricavarne consenso elettorale da spendere in ben altre sfere della vita civile del Paese. La società è questa, la democrazia reale è questa. Occorre però che questa legge non generi nuove minoranze e nuove oppressioni.

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Si è comunque creata nel paese una maggioranza trasversale che converge sull’obbiettivo minimo/massimo: quello di sanzionare i comportamenti  omo-transfobici.

Sanzionare anche le idee? Qui i giuristi discutono, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha fornito saggi consigli e raccomandazioni al riguardo. Se non si precisano i confini penali tra opinioni, propaganda, istigazione, il rischio è di consegnare a ogni singolo giudice la determinazione di quei confini, fino a pregiudicare la libertà di opinione. Fin qui tutto ragionevole?

No! Perché Enrico Letta ha deciso che il progetto di Legge si deve approvare così com’è. 

LE RAGIONI DI UNA POSIZIONE POLITICA OSTINATA

Restano da comprendere le ragioni di tanta ostinazione, considerato che al Senato una maggioranza non ci sia, e che anche all’interno del PD le obiezioni siano rilevanti e crescenti.

Le ragioni sono due. 

Una è di pura e semplice manovra politica. Non avendo voluto appoggiare fino in fondo e fin dall’inizio il Governo Draghi e avendo perseguito fino all’ultimo il disegno di un’alleanza con Giuseppe Conte, che si accingeva, all’ombra del semestre bianco, alla guerriglia e agli agguati contro il Governo, Letta si trova ora in una scomoda posizione. Come disincagliarsi?

 Innalzando la bandiera identitaria della sinistra contro la destra. Mentre Mattarella ha proposto e Draghi ha praticato un governo politico di unità nazionale, dentro il quale ciascuno smussa qualche spigolo, Letta cerca lo scontro, nell’illusione di “farsi vedere”. Ha un bell’accusare la destra di fare manovra politica, utilizzando il DdL Zan.

Sta assumendo simmetricamente la stessa postura. Si tratta di una mossa cinica, perché porta all’omicidio del Disegno di legge, a tutto svantaggio di una categoria di cittadini che pure si proclama con tutta intransigenza di voler proteggere. Fin qui, si potrebbe riconoscere sconsolatamente, nulla di nuovo: “così fan tutte”… le forze politiche. 

La crisi d’identità del Partito democratico

Ma c’è una ragione più profonda, che attiene al contenuto dell’identità che si vuole affermare. Già, quale identità? E qui la seconda ragione si spacca in due sotto-ragioni, reciprocamente intrecciate, l’una peggiore dell’altra.

La prima è il mood identitario di origine “democrats” all’americana.

La seconda è il contenuto dell’identità come metodo.

Il Partito democratico americano ha cessato di essere il partito dei lavoratori-classe media per trasformarsi in un amalgama di identità: etnie, gruppi di interesse, culture, tra cui, crescenti, quella del “gender” e del “cancel culture”, il tutto convogliato dentro la cloaca maxima dei social e dei like. Biden ha vinto, perché è riuscito a tornare, almeno provvisoriamente, al “vecchio” Partito democratico rooseveltiano-kennediano e perché Trump ha fallito di fronte alla sfida interna del Covid e a quella del disordine mondiale, che ha preteso di affrontare senza alleati. 

Il Partito democratico italiano si trova nella stessa condizione. Se la sinistra storica italiana, PCI e PSI, aveva quale asse sociale principale la produzione, vista principalmente dal lato del lavoro, il PD ha smarrito questa eredità. Si dirà: e il sindacato non è forse legato al PD? I dirigenti sindacali sì, i sindacalizzati no: tessera del sindacato, ma voto politico ballerino tra destra e sinistra. Cos’è allora il PD oggi? Un puzzle disordinato di sotto-identità. Ne ha troppe, non ne ha nessuna.

Se difendere le persone LBGTQUIA è un dovere etico-politico – è una questione di fedeltà al principio-persona –  assumere le visioni antropologiche del loro movimento no! Così, più l’identità è debole e più viene gridata. E più viene buttata in manovra politica. Così il PD si trova al traino di Fedez-Ferragni. Ecco perché il DdL Zan rischia di schiantarsi sugli scogli. In attesa che incominci il penoso rimpallo delle responsabilità del suo annegamento.

In conclusione: chi ha una posizione dogmatica intransigente sul testo (finta o sincera che sia) in realtà pensa già di trarre vantaggio da qualunque risultato: se il DDL verrà bocciato, griderà alla scandalo, emetterà scomuniche, stilerà la lista dei cattivi ed avrà titoli e argomenti per molto tempo (forse preferisce sotto sotto proprio questa soluzione); se vincerà, idem.

Ma c’è forse in giro un'Italia migliore, più umana, più "open", che proprio ora comincia ad apparire? I segnali non sono molti, ma un nuovo inizio è possibile.

 

Nota: il testo riprende in parte un articolo di Giovanni Cominelli apparso sul Web Magazine della Diocesi di Bergamo

 

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