lunedì 20 settembre 2021

L’ITALIA DEI COMUNI

UNA OCCASIONE PER COSTRUIRE 

TRE CRITERI PER RICONOSCERE LE DIFFERENZE


Le prossime elezioni amministrative interessano alcune fra le maggiori città italiane e un gran numero di comuni medi e piccoli. Esse assumono senz’altro un significato politico nazionale, come sempre avviene, ma non va dimenticato il valore delle amministrazioni locali.

Per il cittadino, infatti, il comune è il primo ambito di possibile partecipazione e le amministrazioni civiche sono quelle che più incidono con le loro scelte sulla vita quotidiana: per questo è fondamentale scegliere bene i sindaci e le amministrazioni.

L’identità del nostro popolo deve moltissimo alla storia dei comuni, in cui sono nate e cresciute le libertà civili e molte delle istituzioni più significative.

Anche per questo è importante impegnarsi nelle prossime elezioni, sostenendo liste e candidati che meglio esprimono tali storie di libertà e abbiano attenzione al bene comune.

Su questo occorre essere chiari: nell’attuale confusione, nella varietà delle situazioni locali e nel gran numero di proposte (molte delle quali “civiche”) non è facile orientarsi; inoltre, nelle grandi città gli schieramenti sono molto compositi e spesso variegati.

Non tutto, però, è uguale a tutto!! Ci sono differenze e bisogna avere il coraggio di riconoscerle; per questo noi diamo credito e sosteniamo:

− chi ha a cuore il valore intangibile della persona e dei suoi legami costitutivi, a partire dalla famiglia;

− chi scommette sulla libertà di associazione e di intrapresa, non sull’assistenzialismo senza responsabilità;

− chi ha amore alla cultura e alle tradizioni locali, senza cedere al politicamente corretto e alla cancellazione della memoria.

Inoltre, guardiamo con favore al tentativo di amici, che hanno deciso di candidarsi in alcune liste civiche o nei partiti del centrodestra, a partire dalla loro appartenenza cattolico-popolare; anche la possibilità di conoscere direttamente e personalmente i candidati è una circostanza favorevole per promuovere una vera costruzione che nasce dalla società civile.

Per noi le elezioni sono un momento interessante di confronto e di scelta, per realizzare condizioni favorevoli alla costruzione di luoghi di libertà, tanto più necessari oggi per la rinascita del nostro popolo; si tratta di un’occasione da non perdere.

ASSOCIAZIONE ESSERCI

Settembre 2021

sabato 18 settembre 2021

GRAZIE, PIER ALBERTO

 

BERTAZZI. «L'INIZIO È QUALCOSA DI VIVO ORA»

Il messaggio di Julián Carrón per la morte di Pier Alberto Bertazzi, uno dei grandi amici di don Giussani. Da giovane universitario, fu tra coloro che usarono per primi il nome che divenne quello del nostro movimento

Julián Carrón 15.09.2021


Amici,
oggi il nostro carissimo Pier Alberto Bertazzi è andato a raggiungere don Giussani, che gli è stato padre, avendolo introdotto fin da ragazzo all’esperienza unica del rapporto con Cristo, al quale si è consegnato totalmente, vivendo come memor Domini un’affezione a Lui più potente di qualunque circostanza avversa: «Rimanere, nel ’68, è stato una pura questione di affetto, perché c’era qualcosa che ci aveva preceduto che anche in quel momento era più determinante di qualsiasi stimolo e più affascinante di qualsiasi progetto e più consolante di qualsiasi compagnia che veniva proposta in alternativa», disse di sé.


Tra le tante cose di cui non gli saremo mai sufficientemente grati, c’è il regalo del nostro nome, che ci ha fatto quando era poco più che ventenne: «Mi venne in mente che noi volevamo parlare di due cose: la liberazione, ovvero l’istanza che condividevamo con tutti; e la comunione, ovvero ciò che secondo la nostra esperienza poteva realizzarla. Comunione/liberazione: le due cose a cui tenere». Don Giussani ne fu subito entusiasta: «Ecco, noi siamo il nome che si sono dati gli universitari», disse nel 1969.

La sua vita dice a noi qualcosa di decisivo, che nel 2014 Pier Alberto espresse così: «L’inizio di cui partecipiamo è per noi l’origine di una cosa che o è vera oggi oppure non è mai iniziata. Il fatto che quell’inizio sia mio non è il prodotto della lunga carriera che posso avere fatto, anche con qualche incarico e responsabilità; io partecipo di quell’inizio non perché c’ero
˗ anche se c’ero anch’io, amici; io c’ero! ˗. Non è questo il motivo per cui quell’inizio è interessante per me; lo è piuttosto se è qualcosa che è vivo ora, anzi, in qualche modo se è qualcosa che nasce oggi per me».

Che semplicità occorre per ripetere con le parole di Pier Alberto: «Se c’è Lui, l’importante è che io sia teso a riconoscerLo, che io sia teso a seguirLo. All’inizio si può non cogliere che questo è un lavoro necessario; poi però diviene indispensabile che ci sia tu, con la memoria della Sua presenza, che non è soltanto il ricordo di ciò che ti è successo all’inizio, ma è anche il fatto di riconoscerLo adesso! Questo è il punto».

Alla fine di agosto Pier Alberto aveva voluto essere presente alla Diaconia della Fraternità a La Thuile, nonostante l’aggravarsi della malattia l’avesse molto debilitato. Prendendo la parola in quello che sarebbe stato il suo ultimo intervento, ci ha detto: «Io credo che sia fondamentale che noi teniamo conto del metodo che Dio ha seguito nella nostra storia; è come se ci avesse presi come il popolo ebraico. L’indiscutibilità di un metodo rispetto al quale sentirsi pieni, insomma, sentire che non manca niente, sentire che porta sulla strada giusta».


Grazie, Pier, di esserci stato amico fino a questo punto! Fino a richiamarci alla conversione all’avvenimento presente, ricordandoci la strada che lo Spirito ha scelto per noi per portarci al Destino, quel Destino che ora finalmente vedi faccia a faccia.

domenica 12 settembre 2021

CONDIVIDERE LA MEMORIA DELL’11 SETTEMBRE

 LE PAROLE SONO INADEGUATE A COMUNICARE PIENAMENTE ESPERIENZE PROFONDE

Padre James Martin ha scritto sulla rivista “Americamagazine” un articolo intitolato:”Dobbiamo condividere i nostri ricordi dell'11 settembre, non importa quanto siano difficili da comunicare”.

(Dopo la tragedia è stato Cappellano a Ground Zero).

 


Dopo aver descritto dove si trovava quel giorno e come era stato coinvolto, Padre Martin prosegue:

 (…)     Quando penso alla comunicazione di quella memoria, penso alla passione, morte e risurrezione di Gesù, e come i testimoni nella Giudea del I secolo dovessero bruciare dal desiderio di condividere quei giorni, anche se era quasi impossibile comunicare.

Provo qualcosa di simile per gli eventi dell'11 settembre 2001. Come possiamo comunicare com'è stato vivere quel giorno a persone che non erano ancora nate? La nuvola acre, di plastica e maleodorante che si è spostata nel vento poche ore dopo gli attacchi e ha indugiato sulla città per giorni? Gli edifici ancora in fiamme, terrificanti per le loro dimensioni, prima che venissero abbattuti? La soffice cenere grigia e lo spesso tappeto di carta che copriva tutto nel raggio di un miglio da Ground Zero? Anche quella definizione “Ground Zero”, ora così accettata, mi sembrava a buon mercato, come se stessimo scimmiottando un film d'azione. 

E la convinzione ampiamente diffusa allora, come quella che ora sentiamo durante la pandemia di Covid-19, che "tutto cambierà", e cioè che la grande unità nazionale che era emersa sarebbe durata. E la delusione che seguì quando si comprese che il cambiamento più grande sarebbe stato “più guerra”.

In quelle settimane, ho lavorato in un luogo di morte, un Calvario. Ma per me, il ministero a Ground Zero riguardava la resurrezione. Perché quello che ho visto sono stati segni di nuova vita: l'eroismo dei soccorritori alla ricerca dei sopravvissuti, la generosità dei volontari venuti da tutto il Paese e, soprattutto, la testimonianza silenziosa dei vigili del fuoco e della polizia che avevano dato la vita in servizio per altri mentre correvano negli edifici in fiamme. "Non c’è amore più grande di questo..."

La mia mente si sposta al mistero pasquale, però, per un altro motivo: la difficoltà quasi insuperabile che i discepoli di Gesù hanno avuto nel comunicare ciò che hanno vissuto tra il Venerdì Santo e la Domenica di Pasqua. Quanto ha sofferto Gesù. Tutti quei colpi dei soldati romani. E lo hanno fatto marciare per la strada proprio di fronte a noi. E come ha sanguinato, sudato e gridato su quella croce. Come non si è mai scagliato contro di loro. Ed eravamo così spaventati che dopo ci siamo nascosti in quella stanza buia.

Soprattutto, Pasqua. Come Gesù è apparso per primo a Maria! Cosa le ha detto! Quello che ci ha raccontato, senza fiato dopo essere corsa fuori dalla tomba! E come appariva diverso quando finalmente lo vedemmo, eppure com'era lo stesso! Tante cose impossibili da comunicare a chi non c'era.

Francesco e Martin SJ

Inizialmente, proprio come non credevo a mia madre e a Glenda (nota: le prime due donne che gli avevano telefonato), i discepoli maschi non credevano alle donne che riferivano ciò che avevano visto. Nel greco ci viene detto che gli uomini pensavano che fosse leros , una sciocchezza (Lc 24,11). Le donne glielo hanno detto comunque.

Le parole sono in conclusione inadeguate a comunicare pienamente esperienze profonde

Dopo che Gesù lasciò la terra, i discepoli comunicarono la storia oralmente in una cultura orale. Trent'anni dopo, quando divenne chiaro che Gesù non sarebbe tornato presto e molti dei testimoni oculari stavano morendo, Marco scrisse il suo Vangelo, generalmente ritenuto il primo, intorno al 65 d.C. Gli Evangelisti fecero del loro meglio per scrivere "un resoconto ordinato", come ha detto Luca. "Affinché possiate credere", disse Giovanni.

Eppure, nonostante il duro lavoro dei quattro evangelisti e la ripetizione delle stesse storie nei Vangeli (la storia della moltiplicazione dei pani e dei pesci è narrata due volte in Matteo e in Marco), alcune cose rimangono incomunicabili. Per tutti i molti resoconti della risurrezione, raccontati per convincere il lettore, le storie differiscono. In alcuni punti Gesù sembra decisamente fisico, in altri un po' spettrale. In alcuni i discepoli lo riconoscono subito; in altri lo scambiano per un giardiniere, per uno sconosciuto.

L'incomunicabilità del passato non dovrebbe sorprendere. Ogni giorno che lavoravo a Ground Zero pensavo: "Sto lavorando a una tomba". Nel Vangelo di Giovanni, quando Maria Maddalena ritorna per ungere il corpo di Gesù la mattina di Pasqua, la parola usata per sepolcro è mnema(*) , dalla parola memoria. 

Quando torniamo agli eventi dell'11 settembre, siamo chiamati a ricordare. E per condividere i nostri ricordi, per quanto incomunicabili siano.

(*) Mnema,in greco antico significa “monumento, ricordo, segno”: una parola breve ed evocativa che trasmette un profondo sentimento umano e un eterno messaggio culturale.

sabato 11 settembre 2021

9/11/2001 WE’LL NEVER FORGET

 


Tutti ricordiamo quel momento, dove eravamo, cosa stavamo pensando.

 E dall'istante in cui il primo e poi il secondo aereo si sono conficcati sulle Torri Gemelle, tutto è cambiato

Vent'anni fa eravamo "tutti americani". Oggi non lo sappiamo più.

Fu Trump a sottoscrivere gli accordi di Doha, ma, come ha ricordato l'ex segretario di Stato Mike Pompeo, quell'impegno era sotto la spada di Damocle della reazione militare americana.

Con Biden è cambiato tutto: il tempismo catastrofico con cui ha ritirato le sue truppe dall'Afghanistan è stata un'umiliazione nazionale e un tradimento morale, e ha spalancato i cancelli del presente a un governo di criminali e terroristi. 

Oggi l'Europa vive l'illusione del Talebano moderato, una idiozia che poteva nascere solo da una leadership incapace che da sempre sventola bandiera bianca dichiarando la resa. 

Il tragico ritiro deciso da Biden, testardo ma traballante, ambizioso ma inetto , ha cosparso di disonore l'Occidente e ha reso il mondo più pericoloso. Siamo all'epilogo più amaro, ai Talebani che riscrivono la storia, anche la nostra. Vent'anni dopo, sta iniziando un altro capitolo di questa storia.

L'11 settembre non è il passato, è il presente. La "lunga guerra" non è finita.

God save America

mercoledì 8 settembre 2021

PREPARIAMOCI ALLA RESISTENZA

 LA LEZIONE DI ROD DREHER

Poiché il “totalitarismo morbido” coincide con un’erosione delle libertà civili e una “cultura dell’annullamento” alimentata dal “Wokeness” porta molte persone religiose e conservatori sociali all’autocensura, l’autore di bestseller Rod Dreher, offre le sue intuizioni e soluzioni, raccolte dalle esperienze di coloro che hanno sofferto sotto il comunismo nel blocco sovietico.


Nel suo acclamato libro Live Not By Lies – A Manual For Christian Dissidents, pubblicato nel settembre 2020, osserva come questi cittadini abbiano riconosciuto i semi della tirannia in Occidente molto tempo fa e da allora hanno cercato di mettere in guardia gli occidentali. Il libro dal titolo “La resistenza dei Cristiani” è edito in Italia da Giubilei-Reggiani

Intervista a Rod Dreher di Edward Pentin e pubblicata sul National Catholic Register, proposta nella traduzione di Sabino Paciolla.

 

 Se iniziamo con la tempistica del suo libro Live Not by Lies, cosa ha osservato che l’ha spinta a scriverlo? Quali prove aveva visto di questa crescente tirannia che l’ha spinta a scriverlo?

Nel 2015, credo, ho ricevuto una telefonata da un importante medico cattolico negli Stati Uniti. Avevamo un amico in comune e mi ha detto: “Ascolta, devo dire a qualcuno questo. Mia madre è abbastanza vecchia, vive con me e mia moglie, è nata in Cecoslovacchia e ha passato quattro anni in un campo di prigionia. … Ora che è molto vecchia, ha detto a me e a mia moglie che le cose che vede accadere oggi in America le ricordano come era in Cecoslovacchia quando il comunismo andò al potere”.

Così, quando viaggio ad una conferenza, e [incontro] qualcuno che è cresciuto nel blocco sovietico e che è venuto in America per sfuggire al comunismo, vorrei solo chiedere loro, “Le cose che stai vedendo accadere in America ora con la cancellazione della cultura (es. la distruzione delle statue, ndr), cose del genere, ti ricordano quello che hai lasciato?” Ognuno di loro diceva di sì, enfaticamente sì. Se parlavi con loro abbastanza a lungo, esprimevano una profonda rabbia per il fatto che gli americani non li prendono sul serio. Così, mi sono reso conto di avere un libro qui e questo è ciò che lo ha spinto. Gli avvertimenti specifici di queste persone, questi emigranti, la coerenza di ciò che avevano da dire e la profondità della rabbia per il fatto che nessuno li ascoltava.

Con chi ha parlato per il libro e come li ha trovati?

Ho dedicato il libro alla memoria di padre Tomislav Kolakovic, di cui non avevo mai sentito parlare prima di andare a Bratislava, e sono rimasto così stupito dalla sua storia. [Quando fuggì in Slovacchia nel ’43, disse ai suoi studenti: “La buona notizia è che i tedeschi perderanno questa guerra; la cattiva notizia è che i sovietici governeranno questo paese quando sarà finita. La prima cosa che faranno è inseguire la Chiesa, dobbiamo essere pronti”.]

Lo sapeva, e poteva dire immediatamente che il cattolicesimo slovacco, molto clericale e passivo, non sarebbe stato all’altezza di ciò che stava arrivando. Così iniziò a preparare i suoi studenti. Riuniva questi gruppi di studenti per lo più per la preghiera, e per un’intensa discussione e analisi di ciò che stava accadendo, e loro avrebbero [poi] deciso.

Nel giro di due anni, una rete di questi gruppi si era diffusa in tutta la Slovacchia, e avevano alcuni sacerdoti che andavano con loro.

Divennero la spina dorsale della Chiesa clandestina. Così ho capito che ora siamo in un momento Kolakovic in Occidente. Dobbiamo approfittare della libertà che abbiamo ora, la libertà di tempo e la libertà religiosa, così com’è, per prepararci.

E creare reti?

Sì, preparare noi stessi e le nostre famiglie e le nostre parrocchie spiritualmente, ma fare queste reti ora attraverso i confini confessionali, attraverso i confini nazionali e internazionali. Ora è il momento, è urgente.

Lei parla di come la perdita della religione organizzata e l’instabilità della famiglia ha portato gli Stati Uniti e altri paesi occidentali ad essere vulnerabili al “totalitarismo morbido”. Siamo passati oltre con la risposta a COVID, e organizzazioni come Black Lives Matter, così come l’imposizione da parte dell’amministrazione Biden dei diritti dei transgender e altre ideologie secolari? Siamo ora più vicini a un totalitarismo duro?

Questa è una cosa su cui gli emigrati insistono: “Oh, ora è morbido, ma presto sarà duro”. Penso che le cose stiano accelerando continuamente. Il modo in cui la pandemia è stata gestita, la gente si è abituata a sentirsi dire cosa fare, essere sorvegliata, avere i propri dati presi dal governo. Uno degli aspetti più distinti di questo fenomeno è che lo stato è la parte meno importante di esso.

Nella teoria politica tradizionale, il totalitarismo implica uno stato onnipotente che si infiltra in ogni aspetto della vita, e non è quello che sta succedendo qui. Negli Stati Uniti almeno, la wokeness ha conquistato, è stata l’ideologia succeduta al liberalismo, e ha conquistato ogni grande istituzione della vita americana, le corporazioni più significativamente. 

[Nota del Crocevia: Il sostantivo wokeness significa "non abbassare la guardia", sempre in riferimento alle emergenze sociali come razzismo o discriminazioni sessuali. Il termine ha lentamente eroso il suo significato originario, e oggi è utilizzato anche in senso dispregiativo o sarcastico, in particolare in riferimento ai tentativi mediatici in linea con l'ideologia woke.  Woke, letteralmente "sveglio", è un aggettivo con il quale ci si riferisce allo "stare all'erta", "stare svegli" nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali, come il femminismo, i diritti civili,il multiculturalismo, ecc., ma usata in modo acritico, eccessivo o prevaricatorio, invalidando con tale atteggiamento il valore del messaggio che vorrebbe portare avanti.]

L’autrice russa Elena Gorokhova una volta disse del comunismo sovietico: “Ci mentono, noi sappiamo che mentono, loro sanno che noi mentiamo, loro sanno che noi sappiamo che mentono, ma continuano a mentire comunque e noi continuiamo a fingere di credergli”. Pensi che stiamo arrivando a quel punto in cui le bugie nella vita quotidiana, nella cultura in generale, stanno diventando così prevalenti che la gente non sa più cosa sia vero?

Vaclav Havel
Sì, è un sistema di bugie e dipende dal fatto che tutti riconoscano la bugia, sia per paura che per reale convinzione. Da qui nasce il titolo del libro. Poco prima di essere espulso dai sovietici nel ’74, l’ultima comunicazione di Solzhenitsyn ai suoi seguaci si chiamava “Non vivere di bugie”. Vaclav Havel disse qualcosa di simile tre anni dopo nel suo famoso saggio “Il potere dei senza potere”, in cui parlava dell’importanza di vivere nella verità. Ma Havel e Solzhenitsyn videro che l’essenza del sistema era una bugia o una serie di bugie, e l’unico modo per sconfiggerlo [era] se un numero sufficiente di persone diceva: “Non crederò alla bugia. Non vivrò come se queste bugie fossero vere”. Allora si avrebbe una possibilità. Questo è ciò che hanno incoraggiato i loro seguaci a fare. Noi dobbiamo fare la stessa cosa, ma ci costerà e ci costerà molto. Questo è il fatto che molti di noi non sono preparati a pagare quel prezzo.

Come si può convincere la gente a resistere?

Naturalmente, la cosa più importante è impegnarsi a vivere nella verità, a non preferire nulla alla verità. Il libro è scritto da un cristiano per i cristiani, e noi sappiamo qual è la verità, e dobbiamo allenarci ora, mentre viviamo in una relativa pace, a metterci solo a servire Cristo come cosa più importante, non importa cosa. In secondo luogo, e questa è la chiave, dobbiamo abbracciare la sofferenza, il valore della sofferenza. Questa è una lunga tradizione della Chiesa che risale alla Chiesa primitiva, ma ora l’abbiamo dimenticata. Questo è parte del motivo per cui siamo così vulnerabili. Questa è una dittatura, non è orwelliana nel senso che non dipende dall’inflizione di dolore e terrore per costringere le persone a conformarsi. È più un totalitarismo alla Aldous Huxley (autore del romanzo Il mondo nuovo, ndr).

Perché dice questo?

Viviamo in un totalitarismo morbido che non vuole che nessuno sia infelice. Così ci sono persone che sono costrette a stare zitte sotto pena di perdere il loro lavoro, perché le loro opinioni potrebbero far sentire gli altri gruppi insicuri. Quindi dobbiamo prepararci a lottare e ad essere privati e a perdere lo status, a perdere il lavoro, a perdere la libertà e forse anche la vita. Se non siamo preparati ad arrivare a tanto, non riusciremo a superare quello che sta arrivando. Questo è il messaggio costante dei dissidenti.

Essere preparati per il lungo periodo?

Sì. Una storia costante che tutti hanno raccontato [nel libro] è stata l’importanza di [formare] piccoli gruppi. L’ho sentito più e più volte. … Non mi sarebbe venuto in mente che era quello che dovevamo fare, ma loro erano enfatici: “Fatelo subito”.

Direbbe che la gente ha bisogno di capire anche le cause della “wokeness” e il totalitarismo che c’è dietro? Direbbe che è legato principalmente a una crisi della ragione, che a sua volta è in definitiva dovuta a una crisi della fede, la perdita del soprannaturale, del cristianesimo?

Sì, penso che lei abbia capito. La gente deve capire che quando abbiamo a che fare con la wokeness, non abbiamo a che fare principalmente con un fenomeno politico, ma con il fenomeno religioso che si manifesta attraverso la politica. Proprio come i totalitarismi del XX secolo, il nazismo e il comunismo, erano politiche, pseudo religioni che si muovevano per riempire un buco nell’anima di quelle persone, ecco cos’è la wokeness. Non è un caso che almeno negli Stati Uniti sia più potente tra le generazioni meno religiose della storia americana, i Millennials e la Gen-Z (le persone nate tra il ’95 e il 2010, ndr). Stanno cercando quello che cercano tutti coloro che sono suscettibili al totalitarismo: un senso di significato, un senso di scopo e un senso di solidarietà.

La "religione" Wokeness

Come pensi che questo totalitarismo possa svilupparsi, come potrebbe peggiorare, di cosa dobbiamo essere consapevoli?

Negli Stati Uniti quello che probabilmente accadrà è che le élite, e con questo intendo le élite governative che lavorano con le élite corporative, specialmente le élite tecnologiche, implementeranno un sistema di credito sociale. Questo sta arrivando. Sta arrivando perché l’intera faccenda dei passaporti vaccinali ci sta allenando ad accettare questo genere di cose. 

[Nota del Crocevia: Il Sistema di Credito Sociale (SCS), in cinese 社会信用体系 shèhuì xìnyòng tǐxì) è un'iniziativa creata dal governo cinese al fine di sviluppare un sistema nazionale per classificare e sorvegliare il comportamento dei propri cittadini. Funziona come un sistema di sorveglianza di massa e sarà basato su tecnologie per l'analisi di big data.

Ma è un totalitarismo nella misura del nazismo o del comunismo?

Bisogna fare una distinzione importante tra autoritarismo e totalitarismo, perché alcune persone mi dicono: “Beh, non sei offensivo e insultante per le persone che hanno sofferto il vero totalitarismo?”

Spiego che l’autoritarismo è generalmente un sistema politico in cui tutta l’autorità politica è concentrata in un leader o in un partito, ma al resto, al di fuori della politica, non interessa davvero quello che fai, al governo non interessa quello che fai.

Il totalitarismo è un sistema autoritario in cui tutto nella vita è politicizzato. Ad esempio, proprio quest’estate durante il Pride Month, ogni mese è il Pride Month, ma in uno speciale Pride Month più doppio, uno dei grandi produttori di cereali per la colazione negli Stati Uniti ha prodotto uno speciale cereale Gay Pride per bambini, un cereale per la colazione e sul lato della scatola avevano [messo] da far leggere ai tuoi figli mentre si godevano la loro colazione gay pride un esercizio per i bambini che li incoraggiava a pensare ai propri pronomi. Questo era la Kellogg’s, che è il principale produttore di cereali, e anche la colazione deve essere parte della rivoluzione.

Questo è esattamente quello che hanno fatto in Unione Sovietica. Nel mio libro racconto la storia di come nel 1924 la Società Scacchistica Sovietica cercò di difendere gli scacchi dalla rivoluzione in arrivo, e fece una dichiarazione dicendo: “Dobbiamo mantenere gli scacchi per il bene degli scacchi”. Il commissario disse: “No, no, no. Dopo la rivoluzione, tutto deve essere per la rivoluzione”.

Anche ora, dopo la nostra rivoluzione, la rivoluzione culturale, anche i cereali per la colazione devono far parte della rivoluzione, anche la programmazione per bambini deve far parte della rivoluzione.

Pensa che a meno che la Chiesa o i leader cristiani in generale si oppongano davvero a tutto questo in modo visibile e unito, perderemo? E possiamo vincere questa battaglia quando ci stanno effettivamente togliendo le armi, i generali ci abbandonano prima ancora che la battaglia sia iniziata?

Quando guardiamo le autorità religiose, non solo quelle cattoliche, ma la maggior parte delle autorità religiose, le autorità cristiane, vedremo l’equivalente moderno dei vescovi slovacchi che Padre Kolakovic ha affrontato. Persone che non pensano che sia un problema o forse anche alcune delle cose che stanno accadendo, alcuni di questi vescovi potrebbero pensare che sia una buona cosa. Sono progressisti.


Negli Stati Uniti, alcuni dei pensatori più pro-LGBT, pro-ideologia gender sono sacerdoti. Quindi il mio consiglio generale ai cristiani è di non aspettare che i vostri leader ci dicano cosa fare e di non contare su di loro. … Stiamo affrontando una grave crisi a lungo termine che finirà con molti cristiani in prigione e molte chiese chiuse. Ma così tanti pastori e vescovi non vogliono affrontarla, quindi dicono “non preoccupatevi”.

Se il tuo pastore, il tuo vescovo non vede il problema, non vuole aiutarti, non lasciare che questo ti fermi, riunisciti con altri fedeli che la pensano come te, e anche con persone di altre chiese che la pensano come te.

Trovateli ovunque siano e state al loro fianco e fate questi collegamenti proprio ora. Non sai mai quando avrai bisogno di loro per nasconderti, per aiutarti a trovare un lavoro quando avrai perso il tuo, o per stare con te in pubblico e difenderti quando tutti gli altri saranno contro di te.

 

sabato 4 settembre 2021

LA MIA STORIA DENTRO LA STORIA

OMELIA DI DON AGOSTINO TISSELLI

SANTA MESSA A CONCLUSIONE DEL CAMPO DEL DISEGNO

CESENATICO 26/8/21

 


Siamo abituati a fare i nostri programmi, a guardare i nostri interessi, non aspettiamo nessuno, sembra che il tempo scorra senza bussare, senza che nessuno ci apra una porta e ci svegli.

Non dormite, dice oggi il Signore, vegliate, state attenti, perché voi non sapete quando il Padrone tornerà. È tutto suo, ogni mio respiro è suo, ogni mia parola è sua, a lui devo rendere conto.

È difficilissimo nella cultura post moderna di oggi, dove anche un uomo onnipotente ha paura. Egli non sa difendere fino in fondo nemmeno la propria esistenza, la sua è una paura esistenziale, non psicologica, perché non sa cosa vale la vita, non sa quanto costa e quanto ha cura Dio della mia vita. Non lo sa e continua a vivere come se non vivesse, lascia passare il tempo, col tempo le cose cambieranno, pensa, ma  le cose non cambiano, se non si rinnovano minuto per minuto grazie a quella sveglia, a quell’incontro, a quell’urto a quei colpi sulla porta, come è stata l’occasione di questo campo del Disegno, come è l’occasione della Chiesa, dei sacramenti.

 Se uno non si sveglia è peggio di uno che dorme, è peggio, perché non sa nemmeno di dormire, pensa di vivere, pensa di essere sveglio, pensa che i conti tornano perché li fa lui con se stesso, non ha paragone, ma il giudizio amici miei c’è, il rendiconto c’è, non rimandiamolo a domani, non è in un futuro immaginato, è l’educazione che dobbiamo avere e rendere conto della proprietà che Dio ha su tutto e su di me.

Devo rendere conto, non ci si può prendere gioco di Dio, il Dominus, il Signore, il Proprietario.

Lui ci chiama per nome, chiama il mio nome , come ha chiamato Abramo.

Il nome non significa soltanto una identità anagrafica, ma una missione: Abramo progenitore di un popolo che nessuno sa contare. Si crea così una storia nella storia, l’uomo di oggi vive se crea una storia, una storia dentro quella storia che noi chiamiamo in maniera indefinita storia e basta.

No, no, io voglio quella storia, io voglio la storia, io voglio la storia nella storia, sono qui a parlare per questo, vivo per questo, sono sacerdote per questo, sono cristiano per questo, Lui mi ha chiamato per nome, per un compito, per creare una storia dentro la storia. Non mi va di pensare che la storia è generica come mi insegnano a scuola. Io devo raccontare la mia storia.

Don Agostino Tisselli

La mia storia, ciò per cui il Signore mi ha messo al mondo, per la quale il Proprietario mi ha chiamato per nome. Questo è difficilissimo nella distrazione di oggi. Devo rispondere.

Non c’è altra strada per essere felici. Creare una storia dentro la storia.

(trascrizione dalla registrazione)

 

giovedì 2 settembre 2021

A PROPOSITO DI EUTANASIA

ASSOCIAZIONE "IL DISEGNO" : PRESENTAZIONE

“L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere occhi nuovi” (Marcel Proust)


L’Associazione “Il Disegno” è in viaggio dal 1985, con pochi bagagli ma tanti amici…

Un viaggio alla scoperta di cosa sia la difficoltà e la condivisione, l’abilità e l’inadeguatezza, la sofferenza e la gioia: un viaggio alla scoperta di cosa sia la vita in fondo e di cosa ci sia in fondo alla vita.


Un’avventura che trascina i cuori  e le menti che spinge oltre il volontariato, sconfinando una volta e per sempre nello straordinario campo dell’amicizia.

Proprio così nasce questa associazione, da una amicizia fra persone che desiderano il proprio bene e quello degli altri e che non hanno paura di dire che tale bene coincide con la presenza di Gesù.


Questo è Il Disegno: il viaggio di un figlio che torna a casa per abbandonarsi finalmente nelle braccia di sua madre, tranquillo, certo di un amore che precede le proprie qualità.

Non diversamente abili, ma totalmente amati!


Così, anche senza viaggiare tento, i nostri occhi cambiano continuamente paesaggi, vengono educati a spalancarsi e a guardare sempre meglio, commossi dalle novità che il cammino ci pone dinnanzi.


L’Associazione il Disegno è fatta di persone uguali tra loro, non nelle qualità, non nelle capacità, ma nel desiderio di essere guardati così come ci guarda una Madre ed attesi così come ci aspetta un Padre.

Associazione “Il Disegno” 

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ANDREA ALBERTI  PRESIDENTE DEL "DISEGNO"

 In questi giorni ho ricevuto diverse richieste di affrontare la questione dell’eutanasia in quanto presidente di un’associazione di volontariato che si prende cura del tempo libero di amici affetti dalle più diverse disabilità. Alcuni di loro hanno solo lievi ritardi, altri sono costretti su una sedia a rotelle e da tutta la vita lottano con un’improbabile capacità comunicativa anche solo per chiedere un bicchiere d’acqua. I più gravi tra l’altro associano condizioni fisiche, motorie e comunicative drammatiche ad una assoluta lucidità di pensiero.

Frequento l’associazione il Disegno da circa 30 anni e da quasi 15 ne sono il presidente. Ma tutto questo che diritto mi dà di parlare di eutanasia? Nessuno. Nulla di ciò che si fa, nessun mestiere, nessuna opera di volontariato e neppure nessuna condizione personale o familiare dovrebbe dare il diritto di affrontare un argomento così delicato se non parlando di sé.

Ed è questo che farò, racconterò ciò che è successo a me e che ha cambiato la mia personale visione su questo argomento, ribaltando il mio precedente punto di vista. Una settimana fa sono stato all’ennesimo funerale di una persona disabile (Marcello) che per tantissimi anni ha frequentato il Disegno e che io ricordo fin da quando sono piccolo.

Ultimamente ho partecipato a molti funerali di amici del Disegno che se ne sono andati senza aver fatto nulla di memorabile su questa terra, senza aver “cambiato le cose” (come direbbero gli americani) o lasciato un’impronta nella storia.

E mi sono accorto che non imparo mai, faccio sempre lo stesso errore. Come quando Michele e Roberta mi chiamarono in ospedale perché stava morendo il loro amato Simone, come quando la madre di Gianni mi disse tra le lacrime che la sua piccola peste ci aveva lasciato. Non imparo mai.

Tutte queste volte e anche la settimana scorsa, mentre guidavo verso il funerale di Marcello ho pensato la stessa cosa: “bene, finalmente adesso i suoi genitori saranno in pace e sollevati”. E mentre lo ripetevo tra me e me, pensavo a tutta la fatica che un figlio come Marcello ha fatto fare ai suoi genitori, quella fisica e quella psicologica. Pensavo che in 55 anni non ha mai fatto un passo da solo, non ha mai detto una parola, non ha mai mangiato o bevuto o andato in bagno senza che i suoi genitori fossero lì. E poi pensavo che in 55 anni Marcello non ha compiuto nessun progresso, non ha costruito nulla per questo mondo, non ha migliorato la società in alcun modo, non ha studiato e tanto meno ha mai prodotto qualcosa che aumentasse il PIL anche solo di una frazione di punto. Non poteva fare niente se non utilizzare uno strano strumento come fosse una pistola in mano ad un bimbo dell’asilo. Ed anche se gli anni passavano continuava a stringere quella strana pistola e a produrre un rumore storpiato di uno sparo bambino, per più di 50 anni.

Guidavo verso il funerale e pensavo che sollievo per quei genitori non dover più fare tutto questo e trovare finalmente un po’ di ristoro, un po’ di pace. Sempre lo stesso errore. Ancora. Come per Simone. Come per Gianni.

E poi, incredibilmente, incontro quelle persone che dovrebbero essere sollevate perché il loro figlio capace di nulla aveva finalmente tolto il disturbo da una vita priva di soddisfazioni ma farcita di sofferenza e fatica. E invece no. Piangono, soffrono, lo vorrebbero lì, darebbero tutto per riaverlo indietro, per tornare ad imboccarlo, lavarlo, pulirlo, metterlo a letto ed alzarlo. Come sempre. Come hanno sempre fatto per tutta la vita, una vita che non hanno scelto ma che hanno abbracciato senza paura, senza dubbi, senza misura!

Non si sopporta una vita così con lo sforzo personale, non basta, non regge.

Se lo sforzo non diventa sacrificio, nel senso etimologico del termine (sacrum facere, rendere sacro), la fatica e lo sconforto avranno il sopravvento. Prima o poi, ma sarà così. Quei genitori non erano sollevati dalla morte di Marcello perché durante tutta la sua vita hanno reso sacro il loro fare, perché quel figlio valeva come tutto il mondo e in ogni gesto, per quanto faticoso e doloroso fosse, lo dimostravano.

Cosa c’entra questo con l’eutanasia? C’entra! C’entro io ed il mio stupore davanti a chi è capace di amare così. Io saprei amare così? In modo completamente gratuito, senza nessuna umana soddisfazione, senza alcun orgoglio paterno, senza che nessuno mi dica mai “che bel figlio”, “come è bravo” e “chissà che soddisfazione ti dà”?

Non giudico chi non riesce più a sopportare il dolore di una vita difficilissima e tanto meno mi permetterei di farlo nei confronti di coloro che non sopportano di vedere soffrire ulteriormente i propri cari. Non sono capace di entrare così dentro quei cuori. Non posso permettermelo. Non sarebbe giusto, neppure Dio vìola la libertà di ognuno di noi. E, sinceramente, non so nemmeno io cosa farei se mi trovassi a vivere una situazione così. Non lo so e non lo saprò davvero fino a che non mi capiterà. Le chiacchiere sono una cosa, la carne che urla di dolore è un’altra.

Ma per l’ennesima volta la mia visione è stata ribaltata da una lezione di amore infinito, invincibile, totalizzante e gratuito.

Allora la domanda che mi pongo è un’altra: ma se sapessimo amare come quei genitori, se sapessimo prenderci cura del dolore delle persone, sostenerne la fatica, lenire le ferite che la malattia infligge al corpo e all’anima, davvero l’eutanasia sarebbe un argomento di cui discutere? Se chi soffre si sentisse amato di un amore infinito, gratuito e totalizzante come si sono sentiti amati Marcello, Simone e Gianni, davvero desidererebbe privarsene? Davvero il dolore può vincere sull’amore?

Allontanandomi da quel funerale pensavo che non potrei mai giudicare qualcuno perché si arrende al proprio immenso dolore, non è giusto e non lo farò mai. 

Ma non addolciamo una pillola amarissima, non travisiamo la realtà solo perché fa troppo male, non sacrifichiamo la verità sull’altare dell’ideologia: legalizzare l’eutanasia non corrisponde a rendere possibile un estremo atto di amore ma al riconoscimento triste che non siamo capaci di amare come i genitori di Marcello, Simone e Gianni.

Andrea Alberti

Presidente de “il Disegno”