lunedì 25 luglio 2022

LE FERITE DELLA CHIESA E LE VIE DI GUARIGIONE

di Erik Varden  

OCSO (1974), già abate trappista di Mount Saint Bernard, in Inghilterra, dal 2020 è vescovo di Trondheim, in Norvegia.


Una delle prime definizioni extrabibliche che abbiamo della cena del Signore è un riferimento nella “Lettera agli Efesini” in Ignazio di Antiochia.

Ignazio chiama l’Eucaristia “phármakon athanasías”, la medicina dell’immortalità. La morte è il male per il quale l’Eucaristia è principalmente un rimedio. E la morte, si sa, è “il salario del peccato” (Romani 6, 23). Commetteremmo un errore se cercassimo in qualche modo di separare l’Eucaristia dall’effettivo svolgimento della nostra redenzione. […] Dobbiamo comprendere il sacramento nei termini di tutto il mistero di Cristo, come agente di distruzione della morte. […]

Cola Dell'Amatrice (1520): la Comunione degli Apostoli
Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica

Purtroppo, questo ideale è stato troppo spesso calpestato nel fango da uomini che avrebbero dovuto incarnarlo e da esso farsi trasformare. […] Lo scandalo degli abusi è una questione a cui tutti preferiremmo non pensare. L’implacabile, apparentemente senza fine, disfacimento dell’orrore può sembrare più di quanto possiamo sopportare. Ma dobbiamo affrontarlo. Solo la verità ci rende liberi. […]

Lunedì 28 maggio 2018, quattro giorni dopo il referendum irlandese sull’aborto, John Waters ha scritto un pezzo per l’edizione online di “First Things” intitolato “Ireland: An Obituary”. […] Waters stabilisce così la posta in gioco: “Per la prima volta nella storia, una nazione ha votato per togliere il diritto alla vita ai nascituri. Le vittime di questa terribile scelta saranno le più indifese, quelle totalmente senza voce né parole. Questo è il ponderato verdetto del popolo irlandese, non – come altrove – un editto delle élite, imposto con decreto parlamentare o ‘fiat’ giudiziario. Gli irlandesi sono ora quelle persone felici che sbattono i propri figli contro le rocce (cfr. Salmo 137, 9)”. […]

Come si è acceso un furore così spaventoso? Ahimè, la risposta è a portata di mano. Il crollo della credibilità della Chiesa, non solo in Irlanda ma nel mondo, è stato enorme. Le continue rivelazioni di abusi – abuso di potere, abuso di status, abusi sessuali e violenti – hanno spinto ampi settori della nazione irlandese, e di molte altre nazioni, a guardare alla Chiesa con repulsione, e quindi a rifiutare l’identità cattolica e, per riempire il vuoto, abbracciare un’agenda radicalmente secolarista. Il riserbo della Chiesa alla vigilia del referendum irlandese può essere compresa solo in questo contesto: all’estero c’era la sensazione che qualsiasi cosa la Chiesa potesse dire avrebbe solo peggiorato le cose.(1)

Questa è la situazione in cui noi cattolici ci troviamo, […] La densità e la vastità dell’ombra oscura sono immense. È probabile che l’ultimo mezzo secolo, che all’inizio fu salutato come l’alba di una nuova Pentecoste, sarà ricordato come un periodo di apostasia. Non sto cercando di essere inutilmente apocalittico. Sono convinto che sia fondamentale leggere questa crisi in una prospettiva teologica e formulare una risposta teologica.

A livello pratico, molto è già stato fatto, grazie a Dio. È doloroso ma utile mappare l’entità dell’abuso. La cura delle vittime è essenziale. Gli autori degli abusi devono rispondere delle loro azioni. Le riforme giuridiche e canoniche per garantire l’efficacia del giusto processo sono buone. È bene disporre di procedure di salvaguardia chiare. È bene che abbiamo trovato le parole per denunciare una corruzione che per troppo tempo è dilagata silenziosamente.

Tuttavia, se dobbiamo affrontare questa crisi come credenti, è necessario fare di più. Perché non dobbiamo affrontare solo un’eredità di criminalità. Siamo di fronte a un’eredità di peccato.

Il peccato, lo sappiamo, può essere perdonato. La Chiesa ha sempre insegnato, in sintonia con la Sacra Scrittura, che Dio è pronto a perdonare. Quotidianamente l’Eucaristia viene offerta “per il perdono dei peccati”. Il fatto che un peccato sia stato perdonato, tuttavia, non rimuove il danno causato da esso, sia al peccatore che a coloro che sono colpiti dalla conseguenza del peccato. Potrebbe esserci ancora bisogno di riparazione e purificazione, sia in questa vita che nella prossima. La teologia parla austeramente della “punizione temporale per i peccati già perdonati”. Personalmente, trovo utile pensare in termini di “salario del peccato”. Sappiamo per esperienza come un peccato commesso lasci una ferita nella nostra anima, una ferita sulla quale dobbiamo continuare a versare il balsamo della misericordia di Dio. Più grave è il peccato, più la ferita è contagiosa e la guarigione lenta. Essere cattolico oggi è, direi, vivere all’interno di una ferita enorme, infetta, ulcerosa che chiede la guarigione. Chi fa propria questa ferita, per tenerla davanti a Dio affinché, alla fine, la salute possa essere ripristinata?

Per spiegare cosa intendo con questa domanda, vorrei tracciare un parallelo con l’inizio del XIX secolo. Sulla scia della Rivoluzione francese e degli orrori commessi in suo nome, la Francia cattolica cadde in ginocchio in una preghiera di riparazione. Il grande monumento a questo crescente rimorso è la basilica di Montmartre, dedicata al Sacro Cuore. Nella sua cupola si legge, a lettere d’oro, questa dedica: “Sacratissimo Cordi Iesu Gallia poenitens et devota et grata”: “Al Sacro Cuore di Gesù dalla Francia penitente, devota e riconoscente”. La basilica è stata costruita come pegno penitenziale, uno spazio dedicato alla preghiera ininterrotta davanti al Santissimo Sacramento, per invocare la grazia eucaristica di Cristo su una nazione distrutta.

Ciò che la basilica rappresenta esteriormente è stato vissuto come una realtà interiore, segreta, da un innumerevole numero di anime. Non capiremo mai la rinascita della vita religiosa dopo la Rivoluzione francese se perdiamo di vista questo aspetto; né apprezzeremo il fervore del misticismo del XIX secolo. Le misteriose parole di san Paolo sul dare “compimento a ciò che manca dei patimenti di Cristo” sono state da molti percepite come una chiamata personale. Il sacrificio salvifico è stato compiuto sul Calvario una volta per tutte. È “perfetto”. Ma non è terminato. Si dispiega all’interno della Chiesa, corpo di Cristo, attraverso una presenza reale. Pascal scrisse nei “Pensieri”: “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo. Non bisogna dormire durante questo tempo”. Molti buoni cristiani hanno assunto la loro parte nel compito di riparare, per mezzo di Cristo, in Lui e con Lui, il danno fatto da altri.

Per noi, ciò può sembrare terribilmente superato, anche un po’ imbarazzante. […] Eppure poggia su solide fondamenta. Prima che il peccato sia “tolto”, deve essere assunto e sopportato. Questo è il significato della Croce, che Cristo ci chiama a condividere per mezzo di un mistero racchiuso nella struttura dell’Eucaristia. L’Agnello vittorioso è inseparabile dall’Agnello sacrificale, l’Agnello che porta il peccato del mondo. […]

Penso che ci sia da fare un immenso lavoro di purificazione e condivisione del dolore nella Chiesa oggi. Penso che questa sopportazione, assunta consapevolmente e liberamente, sia una condizione preliminare per la guarigione. […]

Quando guardiamo al mondo di oggi, è chiaro che questo lavoro è ancora estremamente necessario. Se il potenziale di guarigione del mistero salvifico si dimostrerà efficace nel nostro tempo dipenderà in gran parte da noi, chiamati da Cristo a vivere come membra del suo corpo, da come esercitiamo la custodia della grazia a noi affidata.

Il Nuovo Testamento culmina in una maestosa descrizione di come, dal trono dell’Agnello, sgorgano fiumi di acqua viva verso l’estremità della terra. I fiumi sono circondati dai germogli dell’albero della vita il cui frutto è inesauribile e le cui foglie sono “per guarire le nazioni” (Apocalisse 22, 1ss). Lasceremo che il nostro vivere e il nostro morire siano un corso d’acqua lungo il quale possa diffondersi la guarigione di Cristo, per raggiungere i luoghi desertici, colpiti dalla morte del nostro mondo e del cuore umano? Il Veggente di Patmos ha concluso il suo libro con un chiaro “Amen”. Facciamo che, allo stesso modo, questa sia la nostra nota finale.

Tratto da Vita e Pensiero

(1) Fu proprio ai cattolici dell’Irlanda che Benedetto XVI indirizzò nel 2010 la lettera che rappresenta la sua riflessione più profonda sullo scandalo degli abusi e sulle vie per guarirlo. Anche lì con l’esortazione a un percorso penitenziale che abbia nell’Eucaristia il suo nutrimento.

E ancor più intenso fu il rimando di Joseph Ratzinger al “phármakon”  dell’Eucaristia nel testo da lui offerto come contributo al summit sugli abusi sessuali nella Chiesa convocato da papa Francesco in Vaticano nel febbraio del 2019.

 

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