di Erik Varden
OCSO (1974), già abate trappista di Mount Saint Bernard, in Inghilterra, dal 2020 è vescovo di Trondheim, in Norvegia.
Una delle prime definizioni extrabibliche che abbiamo
della cena del Signore è un riferimento nella “Lettera agli Efesini” in Ignazio
di Antiochia.
Ignazio chiama
l’Eucaristia “phármakon athanasías”, la medicina dell’immortalità. La morte è il male per il quale l’Eucaristia è principalmente un rimedio. E
la morte, si sa, è “il salario del peccato” (Romani 6, 23). Commetteremmo un
errore se cercassimo in qualche modo di separare l’Eucaristia dall’effettivo
svolgimento della nostra redenzione. […] Dobbiamo comprendere il sacramento nei
termini di tutto il mistero di Cristo, come agente di distruzione della morte.
[…]Cola Dell'Amatrice (1520): la Comunione degli Apostoli
Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica
Purtroppo, questo ideale è stato troppo spesso calpestato nel fango da uomini che avrebbero dovuto incarnarlo e da esso farsi trasformare. […] Lo scandalo degli abusi è una questione a cui tutti preferiremmo non pensare. L’implacabile, apparentemente senza fine, disfacimento dell’orrore può sembrare più di quanto possiamo sopportare. Ma dobbiamo affrontarlo. Solo la verità ci rende liberi. […]
Lunedì 28 maggio 2018, quattro giorni dopo il
referendum irlandese sull’aborto, John
Waters ha scritto un pezzo per l’edizione online di “First Things” intitolato “Ireland:
An Obituary”. […] Waters stabilisce così la posta in gioco: “Per la prima
volta nella storia, una nazione ha votato per togliere il diritto alla vita ai
nascituri. Le vittime di questa terribile scelta saranno le più indifese,
quelle totalmente senza voce né parole. Questo è il ponderato verdetto del
popolo irlandese, non – come altrove – un editto delle élite, imposto con
decreto parlamentare o ‘fiat’ giudiziario. Gli irlandesi sono ora quelle
persone felici che sbattono i propri figli contro le rocce (cfr. Salmo 137,
9)”. […]
Come si è acceso un furore così spaventoso? Ahimè, la
risposta è a portata di mano. Il crollo
della credibilità della Chiesa, non solo in Irlanda ma nel mondo, è stato
enorme. Le continue rivelazioni di abusi – abuso di potere, abuso di
status, abusi sessuali e violenti – hanno spinto ampi settori della nazione
irlandese, e di molte altre nazioni, a guardare alla Chiesa con repulsione, e
quindi a rifiutare l’identità cattolica e, per riempire il vuoto, abbracciare
un’agenda radicalmente secolarista. Il riserbo della Chiesa alla vigilia del
referendum irlandese può essere compresa solo in questo contesto: all’estero
c’era la sensazione che qualsiasi cosa la Chiesa potesse dire avrebbe solo
peggiorato le cose.(1)
Questa è la
situazione in cui noi cattolici ci troviamo, […] La densità e la vastità
dell’ombra oscura sono immense. È probabile
che l’ultimo mezzo secolo, che all’inizio fu salutato come l’alba di una nuova
Pentecoste, sarà ricordato come un periodo di apostasia. Non sto cercando di
essere inutilmente apocalittico. Sono convinto che sia fondamentale leggere questa crisi in una prospettiva teologica e
formulare una risposta teologica.
A livello
pratico, molto è già stato fatto, grazie a Dio. È doloroso ma utile mappare l’entità dell’abuso. La cura delle vittime è
essenziale. Gli autori degli abusi devono rispondere delle loro azioni. Le
riforme giuridiche e canoniche per garantire l’efficacia del giusto processo
sono buone. È bene disporre di procedure di salvaguardia chiare. È bene che
abbiamo trovato le parole per denunciare una corruzione che per troppo tempo è
dilagata silenziosamente.
Tuttavia, se
dobbiamo affrontare questa crisi come credenti, è necessario fare di più. Perché non dobbiamo affrontare solo un’eredità di criminalità. Siamo di fronte a un’eredità di peccato.
Il peccato, lo sappiamo, può essere perdonato. La
Chiesa ha sempre insegnato, in sintonia con la Sacra Scrittura, che Dio è
pronto a perdonare. Quotidianamente l’Eucaristia viene offerta “per il perdono
dei peccati”. Il fatto che un peccato sia stato perdonato, tuttavia, non
rimuove il danno causato da esso, sia al peccatore che a coloro che sono
colpiti dalla conseguenza del peccato. Potrebbe esserci ancora bisogno di
riparazione e purificazione, sia in questa vita che nella prossima. La teologia
parla austeramente della “punizione temporale per i peccati già perdonati”.
Personalmente, trovo utile pensare in termini di “salario del peccato”.
Sappiamo per esperienza come un peccato commesso lasci una ferita nella nostra
anima, una ferita sulla quale dobbiamo continuare a versare il balsamo della
misericordia di Dio. Più grave è il
peccato, più la ferita è contagiosa e la guarigione lenta. Essere cattolico oggi è, direi, vivere all’interno di
una ferita enorme, infetta, ulcerosa che chiede la guarigione. Chi fa propria
questa ferita, per tenerla davanti a Dio affinché, alla fine, la salute possa
essere ripristinata?
Per spiegare cosa intendo con questa domanda, vorrei
tracciare un parallelo con l’inizio del XIX secolo. Sulla scia della
Rivoluzione francese e degli orrori commessi in suo nome, la Francia cattolica
cadde in ginocchio in una preghiera di riparazione. Il grande monumento a questo crescente rimorso è la basilica di
Montmartre, dedicata al Sacro Cuore. Nella sua cupola si legge, a lettere
d’oro, questa dedica: “Sacratissimo Cordi Iesu Gallia poenitens et devota et
grata”: “Al Sacro Cuore di Gesù dalla Francia penitente, devota e
riconoscente”. La basilica è stata costruita come pegno penitenziale, uno
spazio dedicato alla preghiera ininterrotta davanti al Santissimo Sacramento,
per invocare la grazia eucaristica di Cristo su una nazione distrutta.
Ciò che la basilica rappresenta esteriormente è stato
vissuto come una realtà interiore, segreta, da un innumerevole numero di anime.
Non capiremo mai la rinascita della vita
religiosa dopo la Rivoluzione francese se perdiamo di vista questo aspetto;
né apprezzeremo il fervore del misticismo del XIX secolo. Le misteriose parole di san Paolo sul dare “compimento a ciò che manca
dei patimenti di Cristo” sono state da molti percepite come una chiamata
personale. Il sacrificio salvifico è stato compiuto sul Calvario una volta
per tutte. È “perfetto”. Ma non è terminato. Si dispiega all’interno della
Chiesa, corpo di Cristo, attraverso una presenza reale. Pascal scrisse nei
“Pensieri”: “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo. Non bisogna dormire
durante questo tempo”. Molti buoni cristiani hanno assunto la loro parte nel
compito di riparare, per mezzo di Cristo, in Lui e con Lui, il danno fatto da
altri.
Per noi, ciò
può sembrare terribilmente superato, anche un po’ imbarazzante. […] Eppure poggia su solide fondamenta. Prima che il peccato sia “tolto”, deve essere assunto e
sopportato. Questo è il significato della Croce, che Cristo ci chiama a
condividere per mezzo di un mistero racchiuso nella struttura dell’Eucaristia.
L’Agnello vittorioso è inseparabile dall’Agnello sacrificale, l’Agnello che
porta il peccato del mondo. […]
Penso che ci
sia da fare un immenso lavoro di purificazione e condivisione del dolore nella
Chiesa oggi. Penso che questa sopportazione, assunta consapevolmente e
liberamente, sia una condizione preliminare per la guarigione. […]
Quando guardiamo al mondo di oggi, è chiaro che questo
lavoro è ancora estremamente necessario. Se il potenziale di guarigione del
mistero salvifico si dimostrerà efficace nel nostro tempo dipenderà in gran
parte da noi, chiamati da Cristo a vivere come membra del suo corpo, da come
esercitiamo la custodia della grazia a noi affidata.
Il Nuovo Testamento culmina in una maestosa
descrizione di come, dal trono dell’Agnello, sgorgano fiumi di acqua viva verso
l’estremità della terra. I fiumi sono circondati dai germogli dell’albero della
vita il cui frutto è inesauribile e le cui foglie sono “per guarire le nazioni”
(Apocalisse 22, 1ss). Lasceremo che il
nostro vivere e il nostro morire siano un corso d’acqua lungo il quale possa
diffondersi la guarigione di Cristo, per raggiungere i luoghi desertici,
colpiti dalla morte del nostro mondo e del cuore umano? Il Veggente di
Patmos ha concluso il suo libro con un chiaro “Amen”. Facciamo che, allo stesso
modo, questa sia la nostra nota finale.
Tratto da Vita e Pensiero
(1) Fu
proprio ai cattolici dell’Irlanda che Benedetto
XVI indirizzò nel 2010 la lettera che rappresenta la sua riflessione più
profonda sullo scandalo degli abusi e sulle vie per guarirlo. Anche lì con
l’esortazione a un percorso penitenziale che abbia nell’Eucaristia il suo
nutrimento.
E
ancor più intenso fu il rimando di Joseph
Ratzinger al “phármakon” dell’Eucaristia nel testo da lui offerto come contributo al summit
sugli abusi sessuali nella Chiesa convocato da papa Francesco in Vaticano nel
febbraio del 2019.
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