mercoledì 6 luglio 2022

MEDITAZIONE SULLA "MADONNA SISTINA": UN RACCONTO DI VASSILIJ GROSSMAN

 

Nel 1955 Vassilij Grossman, come tanti altri moscoviti, poté ammirare nel Museo Puskin la Madonna Sistina, il celebre dipinto di Raffaello che era stato razziato durante la guerra. Grossman era stato, in quegli anni, fra i più attenti corrispondenti dal fronte russo tedesco; aveva visto le più terribili atrocità, dai campi di concentramento nazisti ai gulag sovietici della Kolyma. La visione di quel quadro lo turbò profondamente e gli ispirò un breve racconto, di intensissima profondità, che è per tutti una
meditazione preziosa: "La Madonna a Treblinka". Il titolo fu poi modificato in quello attuale: “La Madonna Sistina” pubblicato nel volume: “Il bene sia con voi”, Adelphi.

Una sola cosa mi preme dire: leggete e rileggete La Madonna Sistina. 

È UN DONO, UNA GRAZIA INEFFABILE E MISTERIOSA.

 

LA MADONNA SISTINA

Dopo aver schiacciato e annientato l’esercito della Germania fascista, le vittoriose truppe sovietiche hanno portato a Mosca alcuni quadri del museo di Dresda. Questi quadri sono stati conservati sotto chiave per quasi dieci anni.

Nella primavera del 1955, il governo sovietico ha deciso di rimandare i quadri a Dresda. Prima di rispedirli in Germania, si è deciso di mostrarli al pubblico per novanta giorni.
E fu così che il 30 maggio 1955, di buon’ora in una fredda mattina, dopo aver risalito la via Volkhonka lungo i cordoni con cui la milizia moscovita convogliava le migliaia di persone che volevano vedere i quadri dei grandi maestri, sono entrato nel museo Puskin, sono salito al primo piano e mi sono avvicinato alla Madonna Sistina.


Raffaello, La Madonna Sistina
Dresda 


Fin dal primo sguardo c'è una cosa che si impone, immediatamente, prima di tutto: è immortale. Ho compreso allora che prima di aver visto la Madonna Sistina avevo usato con leggerezza una parola dal potere terribile, la parola “immortalità”, ho capito che avevo confuso con l’immortalità la potente vita di alcune, particolarmente sublimi, opere umane. E pieno di venerazione per Rembrandt, per Beethoven e Tolstoji, ho capito che fra tutte le creazioni di pennello, bulino o penna che avevano stupito il mio cuore e il mio spirito, solo questo quadro di Raffaello non sarebbe morto, finché non fossero scomparsi gli uomini. E che forse, fossero scomparsi loro, le altre creature che ne avessero preso il loro posto sulla faccia della terra, lupi, ratti, orsi o rondini, si sarebbero precipitati a quattro zampe o a colpi d’ala per venire a vedere la Madonna…
Dodici generazioni hanno guardato questo quadro, un quinto dell’umanità vissuta sulla terra a partire dall’inizio dei tempi storici fino ai giorni nostri.
È stato guardato da vecchi mendicanti e da imperatori d’Europa, da studenti, da miliardari venuti da oltre gli oceani, da papi e da principi russi, è stato guardato da vergini pure e da prostitute, da colonnelli di stato maggiore, da ladri, da geni, da tessitori, da piloti di aeri da guerra e da istitutori, è stato guardato dai buoni e dai cattivi.

Da quando questo quadro esiste, sono stati fondati imperi europei e coloniali e sono crollati, è sorto il popolo americano, le fabbriche di Pittsburgh e di Detroit, ci sono state rivoluzioni, e la struttura sociale del mondo è stata trasformata… Da allora, l’umanità ha lasciato alle sue spalle le superstizioni degli alchimisti, i telai dei tessitori; i bastimenti a vela e le diligenze, i moschetti e le alabarde; è entrata nel secolo dei motori elettrici e delle turbine, il secolo dei reattori atomici e delle reazioni termonucleari.Da allora, Galileo ha scritto i sui Discorsi formulando la conoscenza dell’universo, Newton ha scritto i Principia, Einstein Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento. Da allora, Rembrandt, Goethe, Beethoven, Dostoevskij e Tolstojhanno reso più profonda la nostra anima e più bella la vita.

Ho visto una giovane madre tenere un bambino fra le sue braccia. Come posso rendere la grazia squisita d’un melo, esile e delicato, che abbia appena dato la sua prima mela, piena e bianca; la grazia d’un uccellino coi suoi pulcini appena nati, o di una cerbiatta appena diventata madre… 

La maternità e la grazia di una ragazzina, quasi ancora bambina.

Questa grazia, dopo aver visto la Madonna Sistina, non si può più dire che sia ineffabile o che sia misteriosa.
Nella sua Madonna Raffaello ha svelato il mistero della maternità e della sua bellezza. Ma non è da questo che dipende l’inesauribile vitalità del suo quadro. Dipende invece dal fatto che il corpo e il volto di questa giovane donna sono la sua anima, ed è questa la ragione per cui la Madonna è così bella. C’è in questa rappresentazione visiva dell’anima materna qualcosa di inaccessibile alla consapevolezza umana.
Noi sappiamo che le reazioni termonucleari trasformano la materia in una quantità di energia potentissima, ma non sappiamo rappresentarci il processo inverso, come cioè avvenga che l’energia si trasformi in materia; e qui, ecco la forza dello spirito, la maternità, cristallizzata e trasmutata in un’umile Madonna.
La sua bellezza è strettamente connessa alla vita su questa terra. Lei è democratica, umana; lei è inerente alla massa degli esseri umani – quelli dalla pelle gialla, gli strabici, i gobbi dai lunghi nasi pallidi, i neri dai capelli ricci e dalle grosse labbra – lei è universale. Lei è l’anima e lo specchio dell’umano, e tutti quelli che la guardano vedono in lei l’umano: lei è l’immagine dell’anima materna, ed è per questo che la sua bellezza è mista in modo inestricabile, si confonde con la bellezza nascosta, indistruttibile e profonda della vita che nasce all’essere – nelle cantine, nei granai, nei palazzi e nei bassifondi.
A me pare che questa Madonna sia l’espressione più atea possibile della vita, dell’umano senza alcuna partecipazione del divino.
C’erano istanti in cui mi è parso che esprimesse non solo l’umano, ma anche qualcosa di inerente alla vita terrestre nel suo senso più ampio, il mondo animale là dove negli occhi scuri della giumenta, della mucca o della cagna che nutrono i loro piccoli si può vedere, o indovinare, l’ombra prodigiosa della Madonna.



E più terrestre ancora mia pare sia il bambino che tiene fra le braccia. Il suo viso sembra più adulto di quello di sua madre. Uno sguardo che è ad un tempo triste e serio, si dirige ad un tempo diritto davanti a sé e dentro di sé, uno sguardo capace di conoscere, di vedere il destino.
I loro volti sono tranquilli e tristi. Forse vedono il Golgota, la via di polvere e sassi che vi conduce, e la croce, mostruosa, tozza e pesante, di legno grezzo, che è destinata ad appoggiarsi a questa piccola spalla che per ora non sente altro che il calore del seno materno…
Ed ecco che il cuore si serra, ma non è per l’angoscia, e non è per il dolore. È afferrato da un sentimento nuovo, mai provato prima. È umano, eppure è nuovo, questo sentimento è come se emergesse dalle salate e amare profondità oceaniche, ed è talmente insolito che la sua novità fa venire il batticuore.
È ancora una volta una caratteristica unica di questo quadro.
Suscita qualcosa di nuovo, come se ai sette colori dello spettro se ne aggiungesse un ottavo, ancora sconosciuto alla vista.

Perché non c’è paura sul viso della madre, e perché le sue dita non si intrecciano intorno al corpo di suo figlio con una forza tale da impedire che la morte le disserri; perché non vuole sottrarlo al suo destino?
Lei offre suo figlio al destino, non cerca di nasconderlo.
E il bambino non nasconde la faccia nel seno della madre. Anzi, è sul punto di strapparsi alla sua stretta per andare incontro al suo destino sui suoi piccoli piedi nudi.
Come spiegarlo, e come comprenderlo?
Sono un’unica cosa, e sono distinti. Vedono, sentono e pensano insieme, si fondono l’uno nell’altra, ma tutto indica che si separeranno, che l’essenza della loro comunione, della loro fusione è che si separeranno.
Succede che in certi momenti difficili siano proprio i bambini a sorprendere gli adulti con il loro buon senso, la loro tranquillità, la loro arrendevolezza. Di queste qualità bambini cristiani hanno dato prova nel corso di carestie, figli di negozianti e di artigiani ebrei durante i pogrom di Kichinev, figli di minatori, quando l’urlo della sirena annuncia che c'è stata un’esplosione sotterranea.
Ciò che nell’uomo vi è di umano, va incontro al suo destino, e in ogni epoca questo destino è particolare, è diverso da quello dell’epoca precedente. Ciò che accomuna questi diversi destini è il fatto di essere tutti ugualmente difficili…
Ma ciò che nell’uomo vi è di umano, ha continuato ad essere anche quando lo si inchiodava alla croce, anche quando lo si torturava in prigione.
Continua a vivere, questo qualcosa, nelle cave di pietra, nel freddo a meno cinquanta gradi, sui cantieri da macello della taiga, nelle trincee allagate di Przemysl e di Verdun. Continua a vivere nell’esistenza monotona dei servi, nella miseria delle lavandaie e delle donne di servizio, nella vana lotta condotta contro il bisogno, fino all’esaurimento, nella fatica senza gioia degli operai in fabbrica.
La Madonna con suo figlio fra le braccia, è ciò che c’è di umano nell’uomo, e sta in questo la sua immortalità.
Guardando la Madonna Sistina, la nostra epoca prende coscienza del proprio destino. Ogni epoca ha guardato questa donna con suo figlio nelle braccia, e fra uomini di generazioni diverse, di popoli, razze e tempi diversi, nasce una fraternità di una tenerezza commovente e dolorosa. L’uomo prende coscienza di se stesso, della sua croce, e comprende improvvisamente il meraviglioso legame che unisce tutte le epoche, il legame fra ciò che vive ora, e ciò che è stato, e tutto ciò che sarà.


II
Più tardi, mentre camminavo per la strada stupefatto e sconvolto dalla potenza di queste impressioni senza precedenti, non feci neppure il tentativo di sgarbugliare quel che sentivo e quel che pensavo.
Non potevo paragonare quest’emozione né con i giorni di lacrime e di felicità che avevo conosciuto a quindici anni leggendo Guerra e pace, né a quel che avevo provato in momenti particolarmente bui e difficili della mia vita ascoltando la musica di Beethoven.
E allora compresi che le visione di questa giovane madre con il suo bambino nelle braccia non mi riconduceva né a un libo né alla musica, ma a Treblinka…
“Questi pini, questa sabbia, questi vecchi tronchi, sono stati guardati da milioni di occhi umani dalle inferriate dai vagoni che si avvicinavano lentamente al marciapiedi… Entriamo nel campo, i nostri piedi calpestano la terra di Trblinka…. Il ticchettio dei grani che cadono e il suono dei baccelli che si aprono si fondono in una melodia triste e tranquilla. Ed è come se montando dalle profondità della terra, delle campanelle mandassero un rintocco a morto, udibile appena, triste, ampio, pieno di pace… Ecco delle camicie appartenute ai morti, semidecomposte, delle scarpe, ingranaggi di orologi, dei coltellini, delle scarpine da bambino con pompon rossi, sottovesti di pizzo, asciugamani con ricami ucraini, dei vasi, dei bidoni, delle tazze da bambino in plastica, lettere da bambino scritte a matita, dei quadretti con delle poesie,…
“Continuiamo ad avanzare su questa terra senza fondo, terra di vertigine, sulla terra di Treblinka, e improvvisamente ci arrestiamo. Sono capigliature bionde e ricce, è rame ondulato, sono capelli di ragazza, fini, leggeri, pieni di fascino, calpestati a terra, e accanto ci sono altri riccioli biondi, e più oltre, sulla sabbia chiara, delle folte trecce nere, e poi ancora, e ancora…
“E i baccelli di lupino risuonano, i grani tamburellano. Come se veramente dalle profondità della terra venisse un rintocco funebre d’innumerevoli piccole campanelle.
“Si ha l’impressione che il cuore si bloccherà, stretto dalla desolazione, da un dolore, da un’angoscia tali che un essere umano mai potrà sopportare…”[1]
Mi è sorto nell’animo il ricordo di Treblinka, e di primo acchito non ho capito…
Era lei che calcava coi suoi piedi nudi e leggeri la terra fremente di Treblinka, camminando dal luogo dove svuotavano i vagoni fino alla camera a gas. L’ho riconosciuta per l’espressione del volto e degli occhi. Ho visto suo figlio, e l’ho riconosciuto per la sua strana espressione, senza niente di infantile. Era questa l’espressione delle madri e dei bambini quando sul fondo verde scuro dei pini vedevano il muro bianco della camera a gas di Treblinka, è così che erano le loro anime.
Quante volte avevo visto come attraverso una nebbia questa gente scendere dai treni, ma non li vedevo con chiarezza, a volte i loro volti parevano sfigurati da un orrore senza nome e tutto veniva coperto da un terribile gridare, a volte lo sfinimento fisico e morale, la disperazione velavano i loro volti di un’indifferenza ottusa e cocciuta, a volte un sorriso folle e incosciente si cristallizzava sui volti di quelli che scendevano dal vagone e si avviavano verso la camera a gas.
Ed ecco che ora io potevo vedere la verità di quei volti, Raffaello li aveva disegnati quattro secoli prima: è in questo modo che l’uomo va incontro al suo destino.
La cappella Sistina, le camere a gas di Treblinka…
Ai giorni nostri una giovane madre mette al mondo un figlio. È terribile portare un bambino stretto al cuore ed ascoltare nello stesso tempo l’abbaiare di un popolo che saluta Adolf Hitler. La madre guarda il volto di suo figlio appena nato e sente nello stesso tempo gli scricchiolii, lo stridore di vetri infranti, il muggito delle sirene, il branco di lupi che canta la marcia di Horst Wessel nelle vie di Berlino. Ed ecco il rumore sordo dell’ascia della Moabita.
La madre allatta il suo bambino al seno mentre in centinaia di migliaia costruiscono muri e tendono filo spinato, erigono baracche… In uffici tranquilli si mettono a punto le camere a gas, le automobili omicide, i forni crematori…
È giunto il tempo dei lupi, il tempo del fascismo. In questo tempo gli uomini vivono come fossero lupi, e i lupi vivono come fossero uomini.
In questo tempo una giovane madre ha messo al mondo il suo bambino e l’ha fatto crescere. E Hitler, il pittore, è davanti a lei nell’edificio del museo di Dresda per decidere del suo destino. Ma il padrone d’Europa non può sostenerne lo sguardo, non può incrociare lo sguardo di suo figlio, perché loro sono esseri umani.
La loro forza umana trionfa della sua violenza: la Madonna avanza coi suoi piedi nudi e leggeri verso la camera a gas, è lei ad aver portato suo figlio sulla terra vertiginosa di Treblinka.
Il fascismo tedesco è stato annientato, la guerra ha mietuto decine di milioni di vittime, città enormi sono state trasformate in cumoli di rovine.
Nella primavera del 1945, la Madonna ha visto il cielo del nord. È venuta da noi in visita, pur non essendo invitata, ma non come una straniera di passaggio, perché era accompagnata da soldati e da autisti, su strade sfondate dalla guerra, e perciò lei fa parte della nostra vita, è a noi contemporanea.
Tutto qui da noi le è familiare, la nostra neve, il fango freddo del’autunno, la gamella ammaccata del soldato con la sua minestra così poco densa, e la cipolla ammuffita che accompagna la crosta di pane nero.
Lei ha camminato con noi, ha viaggiato per un mese e mezzo su di un treno sferragliante, ha spidocchiato i capelli sporchi e dolci del suo bambino.
Eccola avanzare a piedi nudi con il suo bambino, e venir caricata su di un vagone. Quanta strada l’aspetta, da Oboiane, vicino a Kursk, dalle terre nere di Voronez verso la taiga, verso le paludi boscose dall’altra parte degli Urali, verso le sabbie del Kazakistan?
Dov’è tuo padre? In quale cratere scavato da un obice è morto? O in quale drappello spedito a lavorare sui cantieri della taiga? O in quale baracca di dissenterici? Vania, mio piccolo Vania, perché il tuo volto è così triste? Dietro te e tua madre, il destino ha chiuso e inchiodato le finestre della tua casa natale ormai deserta. Che lungo viaggio vi attende mai? Arriverete fino in fondo? O forse morirete di sfinimento in qualche luogo ai bordi della strada, in una stazione ferroviaria, in fondo a una foresta, sulla riva paludosa di un piccolo fiume dall’altra parte degli Urali?
Certo, è proprio lei. L’ho vista nel 1930 alla stazione di Konotop in Ucraina, si era avvicinata al vagone dell’espresso, era scura per le sofferenze, e alzando i suoi splendidi occhi aveva detto, senza parlare, solo muovendo le labbra: “del pane…”
Ho visto suo figlio, aveva già trent’anni, era calzato di scalcagnati scarponi militari, di quelli che si lasciano ai piedi anche dei morti tanto sono inutilizzabili, vestito di una giacca imbottita che da uno squarcio lasciava vedere la sua spalla di un biancore latteo, mentre camminava su un sentiero di palude, con una nuvola d’insetti sospesa sopra la testa, e lui non riusciva a cacciare il nembo palpitante di miliardi d’insetti perché le sue mani reggevano sulla sua spalla un tronco umido e pesante. Ha sollevato la testa che teneva abbassata e ho visto il suo volto, la sua barba riccia e chiara che gli divorava il volto, le sue labbra semiaperte, ho visto i suoi occhi e li ho immediatamente riconosciuti: erano quelli gli occhi che mi guardavano dal quadro di Raffaello.
L’abbiamo incontrata nel 1937[2]: era lei che in piedi nella sua stanza stringeva fra le braccia suo figlio per l’ultima volta, gli diceva addio e gli divorava il volto con gli occhi, e poi scendeva le scale deserte del palazzo che si era ammutolito… Un sigillo di cera veniva posto sulla porta della sua camera, una macchina ufficiale l’attendeva di sotto. .. Che strano, sgomentosilenzio in quest’ora grigia e cinerea del primo mattino, e come si erano ammutoliti tutti quei palazzi…
Ed ecco che dalla penombra dell’alba sorge il suo nuovo presente: il convoglio, la prigione di transito, le sentinelle sulle torrette di legno, il fil di ferro spinato, il lavoro notturno nelle officine, e delle brande di legno, sempre queste brande…
Con un passo lento ed elastico, calzando degli stivaletti di capretto dal tacco basso, Stalin si è avvicinato al quadro e ha lungamente guardato, molto a lungo, i volti della madre e del figlio, accarezzandosi i baffi grigi.
Forse l’ha riconosciuta? L’aveva incontrata all’epoca della sua deportazione in Siberia, a Novoiudinsk, a Turukan, a Kureika, l’aveva incontrata sui treni, nelle prigioni di transito… Ha mai pensato a lei quando è diventato potente?
Ma noi uomini, noi l’abbiamo riconosciuta, abbiamo riconosciuto suo figlio: lei è noi, il loro destino siamo noi, loro sono ciò che vi è di umano nell’uomo. E se in futuro la Madonna sarà condotta in Cina o in Sudan, ovunque gli uomini la riconosceranno, come l’abbiamo riconosciuta noi oggi.
La forza miracolosa e serena di questo quadro sta anche nel fatto che ci parla della gioia di essere una creatura vivente su questa terra.
Il mondo intero, tutta l’immensità dell’universo, non è altro che materia inanimata, rassegnata nella sua schiavitù: solo la vita è il miracolo della libertà.
Questo quadro ci dice quanto la vita si a preziosa e magnifica, e che non c’è forza al mondo capace di costringerla a trasformarsi in qualcosa che, pur somigliandole esteriormente, non sia più la vita.
La forza della vita, la forza di ciò che vi è di umano nell’uomo è una forza immensa, e la violenza più estrema e più assoluta non può soggiogare questa forza, perché può solamente ucciderla. È per questo che il volto della madre e del figlio sono tanto sereni: sono invincibili. In questi tempi di ferro, la morte della vita non coincide con la sua sconfitta.
Ed eccoci davanti a lei, noi, giovani e vecchi che viviamo in Russia. In un’epoca di angoscia… Le ferite non sono ancora cicatrizzate, le rovine sono ancora nere di fango, non sono ancora stati innalzati i monumenti ai caduti sulle fosse comuni di milioni di soldati, figli e fratelli nostri. I pioppi e i ciliegi selvatici calcinati, morti, si drizzano ancora nelle campagne arse vive, tristi erbacce crescono sui corpi dei vecchi, delle madri, e delle bimbe bruciati nei villaggi che hanno resistito. La terra si scuote e freme ancora nei fossati sul fondo dei quali riposano i corpi dei bambini ebrei uccisi con le loro madri. I singhiozzi delle vedove risuonano ancora di notte in innumerevoli case russe, bielorusse, ucraine. La Madonna ha attraversato tutto questo con noi, perché lei è noi, suo figlio siamo noi.
E si ha paura e vergogna, si ha dolore: perché la vita è stata tanto orribile? Non sarà per colpa mia o per colpa nostra? Perché noi siamo rimasti in vita? Che domanda terribile, penosa, e i morti sono gli unici che possono porla ai vivi. Ma i morti tacciono, e non fanno domande.
A volte, il silenzio del dopoguerra è interrotto da un’esplosione, e una nebbia radioattiva si diffonde nel cielo.
La terra sulla quale viviamo tutti ha trasalito: le armi termonucleari prendono il posto della bomba atomica.
E presto ci congederemo dalla Madonna.
Lei ha vissuto la nostra vita, con noi. E giudicateci dunque, noi, tutti gli uomini, con la Madonna e suo figlio. Noi fra poco ce ne andremo i nostri capelli essendo già bianchi. Ma lei, questa giovane madre, lei andrà incontro al suo destino portando suo figlio fra le braccia e con un’altra generazione di uomini vedrà una luce potente e accecante: la prima esplosione di una bomba superpotente all’idrogeno, con cui si annuncia l’inizio di una nuova guerra, totale.
Cosa possiamo dire noi, gli uomini dell’epoca del fascismo, davanti al tribunale del passato e del futuro? Non abbiamo alcuna giustificazione.
E diremo: non c’è mai stato un tempo duro come il nostro, eppure non abbiamo lasciato che morisse ciò che di umano c’è nell’uomo.
Guardando partire la Madonna Sistina, noi conserviamo la fede che la vita e la libertà sono una cosa sola, e che non c’è niente al di sopra di ciò che di umano c’è nell’uomo.
Ed è questo che vivrà in eterno, e vincerà.

Vassilij Grossman


[1] Tratto da «L’inferno di Treblinka» di V. Grossman, in 
Anni di guerra.
[2] L’anno delle purghe staliniane, detto anche l’anno del Grande Terrore.

 

QUI IN VERSIONE PDF

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