Trump vs Harvard
Il Presidente con i suoi modi esagerati e inaccettabili (per noi europei) riuscirà a riformare l’università ostaggio dell’ideologia woke?
La questione della guerra
Trump-Harvard è deflagrata anche sui media italiani, con grande clamore.
Inutile dire che, per chi conosca il sistema universitario italiano e
americano, nonché la situazione sociale effettiva, le notizie sono esagerate da
tutti i lati. Non è vero che alla Harvard University gli ebrei siano
perseguitati in stile nazista, come racconta l’amministrazione Trump, così come
non è vero che l’amministrazione non abbia né ragioni né diritti rispetto
all’università privata ed elitaria di Harvard. I fatti sono nel mezzo. Sì,
dall’ottobre 2023 c’è stata una manifestazione continua, da parte di
alcuni studenti, a favore di Hamas. Il non averli perseguiti è
costato alla rettrice di Harvard il posto anche se al
governo c’erano i dem.
Il governo Trump, con i soliti
toni apocalittici, ha chiesto in molti modi alle università, e in particolare
ad Harvard, di proteggere gli studenti
ebrei da bullismo e maltrattamenti (quasi sempre verbali). Harvard si
rifiuta e il presidente taglia il contributo governativo di 9 miliardi di
dollari a fondo perduto, una parte considerevole ma relativa del bilancio da
più di 50 miliardi di Harvard. Tra le richieste c’era anche quella di dare i
nomi degli studenti stranieri per verificare se ci sono studenti in rapporto
con organizzazioni terroristiche. Harvard, che è privata e non statale, rifiuta
legittimamente. Il governo in risposta minaccia di non rinnovare la certificazione
federale, propria prerogativa, per l’ospitalità di studenti stranieri.
È una storia grave per tutti gli
aspetti ma che rientra da entrambi i lati nella legittima dialettica tra
università private e governo. Ciò che non è legittimo sarà visto dai tribunali,
ma l’impressione è che tutto si risolverà a giugno e luglio, quando le
università americane sono in vacanza e i riflettori puntati altrove.
Il baco di Harvard
Al di là delle esagerazioni dei
media italiani, però, ci sono due risultati che vale la pena considerare.
Il primo è di ordine culturale. Dimettendosi dal comitato per la difesa degli ebrei che ha appena prodotto 300 pagine di report (qualcosa è in effetti successo), il ricercatore David Wolpe di Harvard ha dichiarato che si tratta di un comitato inutile perché l’antisemitismo è solo una parte di un’ideologia complessiva pervasiva soprattutto del corpo docente. In effetti, è lo strano marxismo-liberal che trionfa nei campus americani a livello di docenti.
Harvard è nelle ultime posizioni nell’indice di libertà di espressione nei campus.
Il punto è che la maggior parte dei suoi
professori è convinta che il mondo si divida in modo manicheo in buoni e
cattivi e che questi ultimi siano colpevoli di modellare il mondo in modo
ingiusto a prescindere da ciò che dicono e fanno. La colpa è in quel che sono –
occidentali e dunque colonialisti, suprematisti, cisgenderisti ecc.– che
inevitabilmente forgia tutto il resto. Come in ogni ideologia, il nemico è
oggettivo. È il solito problema logico delle ideologie: da quel che si è, non
da quel che si fa, discende tutto necessariamente, tutto giusto o tutto
sbagliato, così che nessuno è mai responsabile per e con la propria libertà,
atto per atto, sopruso per sopruso.
Il “grillismo” di Trump
Il secondo punto è di ordine politico. Può essere – si dice – che ci fossero delle esagerazioni on
campus, ma i toni e i modi dell’amministrazione Trump sono inaccettabili.
Non c’è dubbio, soprattutto visti da qui. Tuttavia, il portato politico della
situazione è che Trump è stato votato
proprio perché ha toni e modi spiacevoli. La gente americana è evidentemente
convinta, come per qualche anno sono stati convinti gli italiani su Beppe
Grillo, che the swamp, la palude del circolo di potere delle élite,
non si possa cambiare se non rompendo il bon ton. Tutti gli avversari di Trump
alle primarie, incluso Marco Rubio che è ora ministro degli Esteri, si sono
presentati dicendo che la maggior parte delle idee di Trump su
pace/immigrazione/woke/lavoro erano giuste ma erano dette male, da una persona
lunatica e irrispettosa delle istituzioni. Hanno miseramente perso. Gli americani non hanno votato Donald Trump
nonostante i modi, ma per i modi.
Servirà?
Riuscirà a cambiare il sistema, anche quello universitario? O lo romperà mettendo
a rischio anche la democrazia? Siamo a una ripresa o al collasso dell’era
americana? La verità è che non lo sappiamo ancora. Fra qualche mese, però,
tutto sarà chiaro perché, a differenza del precedente mandato, la questione
binaria di guerra/pace andrà presto alla conta dei risultati in tutti i campi,
anche in quello universitario.
da un articolo di Giovanni Maddalena “Il Sussidiarionet”
29 Maggio 2025