martedì 4 ottobre 2011

LA GLORIA DI DIO E' L'UOMO VIVENTE


A DIECI ANNI DALLA MORTE DI DON LINO MANCINI

Dieci anni passano in fretta. Poi, quando sono passati, ci si volta indietro e ci si accorge, con sorpresa (e forse anche con sgomento), che sono tanti. In dieci anni il mondo è cambiato (o forse no: dipende da quanto in profondità lo si guarda), ma soprattutto siamo cambiati noi. Per chi ha raggiunto una certa età, poi, dieci anni vogliono dire anche una lunga teoria di volti che non ci sono più, una folla di assenze a cui abbiamo ormai fatto l’abitudine, ma che talvolta ci balzano davanti agli occhi angosciosamente. Il bosco che diventa radura e poi sarà un deserto, se avremo vita a campare.

Questo è esattamente il punto su cui la fede cristiana sfida più audacemente, quasi sfrontatamente direi, non solo “il mondo” ma anche noi stessi, in quella che è la nostra naturale percezione delle cose. La morte si presenta a tutti noi, a tutti, nessuno escluso, come un’incomprensibile assenza: qualcuno, il nostro caro, fino ad un attimo prima c’era, era qui. ora non c’è più. Un vuoto, inspiegabile e assurdo.

Per quanto si possa pensare alla morte, non si può pensare la morte.
Le commemorazioni, gli anniversari – avrebbe detto don Lino con quel tratto spicciativo e un po’ impaziente che usava in questi casi (tirandosi su le maniche della tonaca, come per meglio lottare con i pregiudizi di chi lo ascoltava) – al di fuori del cristianesimo sono un rito inutile, una cerimonia triste e in fondo un po’ sciocca. Se la morte è la fine di tutto, se la vita non è che un’inesorabile corsa verso l’abisso e sin dalla nascita si incomincia a morire – come lui ricordava sempre, sin dalle prime ore di religione, a noi liceali che lo guardavamo sconcertati e, nostro malgrado, feriti da quel brusco richiamo alla realtà – che cosa vale tutta la retorica del ricordo, “alla Foscolo”, con cui ci imbottivano la testa nelle altre ore di lezione?

Ma se Cristo è risorto, tutto cambia. Il cristianesimo, come don Lino ce lo ha insegnato, alla radice è questa cosa semplicissima e “assurda”: Gesù non è morto, ma è vivo. È la sintesi folgorante che aveva saputo fare già quasi duemila anni fa un intelligente magistrato romano, davanti al quale i Giudei avevano portato san Paolo: «avevano con lui alcune questioni riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora vivo» (Atti 25,19).

Oggi la questione è la stessa: il cristiano, prima di ogni altra cosa, è uno che crede che Gesù è vivo. Ma non solo lui: anche la sua mamma, a cui – come tanto spesso ripeteva don Lino nelle sue omelie – Gesù ha voluto così tanto bene da farle il regalo più grande, quello di risparmiarle la morte; e i suoi amici. Anche i suoi amici sono vivi, per quanto nella forma misteriosa di un’attesa della resurrezione della carne. “La carne gloriosa e santa”, come dice Dante in un passo del Paradiso dove immagina che i beati, al sentir parlare della resurrezione finale, siano pieni di desiderio dei corpi, «forse non pur per lor, ma per le mamme, / per li padri e per li altri che fuor cari».

Il volto dei nostri cari non è perduto. Per questo credo che, dette queste poche indispensabili parole (di più non ne vorrebbe), il modo migliore per fare memoria di ciò che don Lino è stato sia quello di guardare le fotografie riprodotte nella sua biografia. Non sono le sbiadite larve di un passato che il nostro ricordo, per quanto affettuoso, non può far rivivere: sono il volto di un uomo vivente.

E, come dice sant’Ireneo con un’altra geniale sintesi del pensiero cristiano, «la gloria di Dio è l’uomo vivente».

Leonardo Lugaresi

Don Lino Mancini (1916-2001), cesenate, sacerdote carismatico, teologo mai accademico e di rara chiarezza, capace di leggere la realtà nei diversi risvolti, ha percorso lo scorso secolo con una profondità e un realismo che solo la fede rende possibile. Immedesimato con Cristo ha dato testimonianza della sua dolce presenza a chiunque lo abbia incontrato. Oggi il suo volto è quello di un uomo vivente, a gloria di Dio.

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