“La parola sapiente è quella che, detta a un bambino, viene capita senza bisogno di spiegazioni.”
(Miguel de Unamuno)
Finalmente un po’ di chiarezza. Finalmente qualcuno che dice “pane al pane e vino al vino”. Improvvisamente, ieri, si è squarciato il velo della menzogna e le parole hanno riacquistato il loro vero significato.
Notizia - scoop del settimanale Diva e Donna: “Dopo pochissime settimane di gravidanza, Belen ha perso il suo bambino”. BAM-BI-NO. Avete letto bene. “Pochissime settimane di gravidanza”. C’è scritto proprio così.
La notizia: questa notizia, con queste parole, in pochissimo tempo è rimbalzata su tutto il web e nessuno ha avuto nulla da eccepire sul lessico. Dopo pochissime settimane di gravidanza nel grembo di Belen c’era un bambino che ora è morto.
Non ci sono conferme ma nemmeno smentite, da parte degli interessati. Quel che si sa è che – come è facile immaginare – Belen, chiusa nel suo dolore, ha spento il cellulare e non rilascia interviste e che Fabrizio Corona, sarà quel giovanotto irruente che conosciamo, ma, triste pure lui, ha disdetto tutti gli impegni per stare vicino alla madre di suo figlio.
Questa la cronaca. Queste le parole usate da Diva e Donna e riprese da tanti siti: “bambino”, “poche settimane di gravidanza”, “figlio”. Finalmente dei sostantivi che inequivocabilmente coincidono con la realtà. Finalmente una realtà che non viene distorta.
Insomma: quel che non fanno (o non vogliono fare!) fior fiore di medici, scienziati, filosofi, studiosi, ha fatto, con semplicità e naturalezza un… giornale di gossip. Chiamare le cose (e soprattutto le persone!) con il loro nome.
Del resto – parlo da mamma – ciascuna donna, quando scopre di essere incinta, sa e dice (naturalmente, istintivamente, razionalmente dice, perché ne è certa) che nel suo grembo c’è un bambino.
Ogni donna, alla prima ecografia, quella in cui di chiaro si vede solo il cuoricino che pulsa, sa con certezza che quello è il cuore del suo bambino, di suo figlio.
E se lo perde, quel bimbo; se un aborto spontaneo mette fine a quella gravidanza, a quella vita, si dispera. E’ in lutto perché è morto suo figlio. Anche se nessuno, ancora, vedeva segni esteriori della gravidanza. Anche se quel bambino, piccolissimo, ancora non poteva scalciare e dunque farsi “sentire”. C’era. Inequivocabilmente.
Nessuno oserebbe dire a Belen, per confortarla: “Non ti disperare, in fondo era solo un ammasso di cellule…” Nessuno, infatti, l’ha scritto, perché c’è compassione quando una mamma e un papà perdono il loro bambino. Anche se sono passate solo poche settimane dall’inizio della gravidanza.
Qualcuno obietterà che i fans di Belen e di Corona son tristi perché quel bambino è stato “cercato” (?), desiderato. Spiacenti. Se “bambino” è – e nessuno, rispetto al lessico, ha avuto nulla da eccepire –, “bambino” rimane. “Cercato” o “non cercato”. La lingua italiana funziona così. Al massimo cambiano gli aggettivi di accompagnamento. I sostantivi restano, immodificabili. Non variano a seconda delle situazioni. “Penna” è penna; “albero” è albero”; “bambino” è bambino. Che sia nel grembo di Belen Rodriguez o di qualsiasi altra donna. A meno che non si voglia gettare (il solito) fumo negli occhi per far credere che l’aborto non è un omicidio.
Desideriamo un mondo in cui Diva e Donna, il web, gli “esperti”, la gente comune usino la stessa compassione e la stessa semplice chiarezza quando parlano di tutti i bambini nel grembo di tutte le mamme, perché non esistono “bambini di serie A” e “bambini di serie B”. Impariamo, almeno, a chiamare le cose, le persone, le nostre azioni con il loro nome. Sarà una crescita in consapevolezza e in umanità per tutti.
Saro Luisella Fonte: CulturaCattolica.it
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