di Francesco Agnoli
Tratto da La Bussola Quotidiana il 20 dicembre 2011
Oggi, sul San Raffaele di don Verzè maramaldeggiano tutti. Sino a ieri, invece, ci si scappellava, alla grande. Con un’unica eccezione importante: Il Foglio di Giuliano Ferrara.
Sul Corriere della Sera del 18 dicembre, Aldo Grasso, scrive che delle porcherie di don Verzè sapevano tutti, dagli anni Ottanta. Sapevano Berlusconi (lui sa sempre a prescindere, per alcuni…), amico del prete manager; sapeva la regione Lombardia (una frecciatina a Formigoni sul Corriere è sempre buona, troppo ciellino); sapevano i “professori dell’Università san Raffaele” (nessun nome viene però fatto)…
Sapevano tutto tutti, dunque. Però Aldo Grasso dimentica di inserire nella sua lista di coloro che sapevano, il Corriere della Sera. No, lì, dove scrive lui, sembra al Grasso, non sapevano nulla.
Pur avendo la sua sede, il Corrierone, proprio a Milano, nella patria di Verzè. Dove tutti sapevano, tranne il più importante organo di informazione della città. Pur essendo molti collaboratori del Corriere, da Emanuele Severino ad Edoardo Boncinelli, sul libro paga dell’Università Vita-Salute San Raffaele di don Verzè.
Anzi, ricordiamolo: il Corriere era uno dei grandi sponsor di don Verzè, nella sua veste improbabile di riformatore ultra-modernista della Chiesa cattolica. L’alter ego del cardinal Martini, tanto amato da Ferruccio de Bortoli. Qualcuno ricorda la pubblicità offerta dal quotidiano di via Solferino, al libro ereticale del cardinal Martini e dello stesso Verzè: “Siamo sulla stessa barca” (edizioni san Raffaele)?
Il libro piaceva, perché metteva in dubbio molte verità dogmatiche della fede cattolica.
Allora don Verzè tornava utile, come il sempre verde cardinal Martini. A proposito, costui sapeva? Il cardinale di Milano per tanti anni, non aveva mai avuto sentore dei comportamenti del prete manager fissato con la vita eterna, ma sulla terra? Eppure un suo predecessore, il cardinal Giovanni Colombo, raccontato da Mario Palmaro in un suo libro come difensore della vita nascente, aveva sospeso don Verzè a divinis già nel 1973. Perché, poi, più nulla? Eppure, anche senza conoscerne gli intrallazzi economici, si potevano conoscere le sue eresie propalate a piene mani.
Prendiamo il successore di Martini, il cardinal Tettamanzi: un tempo sponsor dei pro life, poi cominciò a prediligere altre posizioni. Era lui il cardinale, dopo Martini, nella cui città don Verzè aveva organizzato la famosa università, in cui insegnavano personaggi come il prete spretato Vito Mancuso, oggi idolo di Repubblica (lui, sapeva?); come Roberta de Monticelli, avversa alla Chiesa su molte posizioni etiche, in particolare sul tema dell’eutanasia; come Massimo Cacciari; come Edoardo Boncinelli, lo scienziato che difende la clonazione e che sostiene che la vita umana non ha alcun senso perché Dio non esiste; come padre Enzo Bianchi, firma de La Stampa, anch’egli su posizioni ultra moderniste; come mons. Bruno Forte, il teologo “innovatore”, o come Luca Cavalli Sforza, che un giorno ebbe a dichiarare di sopportare tutte le religioni, tranne quella cattolica…
Martini, Tettamanzi, sapevano? Certamente conoscevano almeno le idee eterodosse di don Verzè, le sue eresie, le persone fieramente anti-cattoliche di cui si circondava.
E al Corriere? Quantomeno si conoscevano, e si apprezzavano, le idee dell’imbarazzante soggetto in questione. Potremmo, a dimostrazione, rispolverare un paginone intero del Corrierone: don Verzè che spiegava cosa avrebbe fatto lui se fosse stato fatto papa. Nientemeno. Sì perché il don sospeso a divinis ma poi lasciato fare senza disturbo, credeva di essere lui, il più adatto a ricoprire quel ruolo. Rileggete quell’articolo del 3 settembre 2010: il maniaco di grandezza, che comperava jet personali, cupole galattiche e altro ancora, mescolava dichiarazioni pauperistiche ridicole, con eresie evidenti.
Scriveva per esempio: “Se io fossi papa? Scenderei da solo, senza bardarture a star con la gente. Scenderei non da sacri palazzi, ma da un semplice appartamento, come un buon parroco… Eliminerei il cardinalato e tutte le disparità di sapore feudalesco…”. Tutta una critica, insomma, alla Chiesa, al papa vero, mescolando eresie, sciocchezze e finta umiltà. Ma al Corriere Verzè piaceva assai.
Come piaceva, per fare un altro nome, a Nichi Vendola, che nel 2010 ha sottoscritto un accordo con il Verzè per la nascita in Puglia della Fondazione san Raffaele del Mediterraneo.
Sì, perché al san Raffaele, oltre ai professori citati, si faceva ricerca contro le regole della Chiesa. Si difendeva e praticava la fecondazione artificiale, con il bollino del dottor Alfredo Anzani, responsabile della Segreteria del Comitato (per nulla) Etico del san Raffaele, e fratello di quel Giuseppe Anzani che ricopre la carica di vice presidente nazionale del Movimento per la Vita (pur sostenendo anche lui posizioni molto ambigue in campo bioetico sempre riguardo alla fecondazione extracorporea).
L’unico che non andava bene, al San Raffaele, era Angelo Vescovi, lo scienziato italiano, pioniere nello studio delle staminali, che però nel referendum del 2005 si schierò per la difesa dell’embrione. Vescovi non è cattolico, ma è serio: non poteva non dire la verità sull’embrione umano, e la disse più volte, soprattutto grazie al Foglio di Ferrara. Per lui si chiusero le porte dell’ospedale di Verzè.
Così, tanto per rinfrescare la memoria a Grasso e al Corrierone.
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