LA GUERRA
CULTURALE SI VINCE NEI BAGNI DI HOUSTON
New York. La guerra culturale si combatte innanzitutto nei cessi pubblici, e in
quelli di Houston martedì ha vinto il fronte conservatore. Una ordinanza
antidiscriminazione a tinte arcobaleno che permetteva, fra le altre cose, ai
transgender di scegliere il bagno che meglio li rappresentava (in attesa della
diffusione globale della toilette neutra) è arrivata all’esame degli elettori
sotto forma di quesito referendario, e loro l’hanno seppellita sotto una
maggioranza da oltre il 62 per cento.
L’Houston Equal Rights
Ordinance (Hero), approvata a maggio dal consiglio cittadino, prevedeva multe
da cinquemila dollari per chiunque discriminasse un altro individuo in vario
modo in base a sesso, razza, etnia, nazionalità, età, religione, disabilità,
stato di gravidanza, informazioni genetiche, stato famigliare, coniugale o
militare. Non era la semplice introduzione di qualche aggravante per omofobia o
simili, ma un Vangelo della lotta contro la discriminazione, un disegno di
legge paradisiaco per le minoranze minacciate e per gli adoratori
dell’uguaglianza di fronte alla legge, supremo principio dal quale si può
dedurre qualunque cosa.
La norma era talmente vaga che un mese dopo
l’approvazione, la Corte suprema del Texas ha detto che la legge andava rivista
oppure sottoposta al giudizio del popolo, e così è nato il referendum sul
“bathroom bill”, difeso come un sol uomo dal sindaco di Houston,
dall’establishment democratico, da Hollywood, e pure dalla Casa Bianca, che ha
preso parte con un comunicato in cui si premette che il governo non prende
parte in queste decisioni: “Il presidente e il vice presidente sono forti
sostenitori di iniziative a livello statale e locale per proteggere gli
americani dalla discriminazione sulla base di chi sono e chi amano”.
I sostenitori di Hero hanno speso 3 milioni di dollari
per la campagna, il triplo degli avversari, i quali però hanno trionfato a mani
basse. Questi arcigni conservatori texani, si dirà. Ma questi arcigni
conservatori texani hanno eletto sindaco di Houston per tre volte una signora
lesbica di nome Annise Parker, sposata e con tre figli, che all’ultima tornata
ha dato 30 punti percentuali di distacco al rivale repubblicano. Difficile
sostenere che la quarta città degli Stati Uniti è la sentina dell’omofobia.
Piuttosto, come dice il vicegovernatore Dan Patrick, antagonista vittorioso
della legge, un conto è non discriminare, un altro punire con aggravanti chi
semplicemente non aderisce al dettato della maggioranza: “Sappiamo nel nostro
cuore e nella nostra pancia di americani che questo non è giusto”.
Circa
duecento città americane hanno approvato leggi simili a Hero, ma proprio per la
spinta del sindaco, che ha un passato da attivista lgbt, quella di Houston
voleva affermarsi come benchmark della battaglia progressista di oggi e di
domani. Gli elettori non hanno gradito. Così come gli elettori dell’Ohio non
hanno gradito il tentativo di legalizzazione della marijuana per scopo
ricreativo. Quelli del Kentucky hanno eletto il secondo governatore
repubblicano in quarant’anni, uno che somiglia più a Trump che a Rubio. Il
piano inclinato verso il progressismo è davvero così inclinato?
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