giovedì 12 novembre 2015

QUALE PARTITO? MEGLIO RICOSTRUIRE LA SOCIETÀ


di Robi Ronza
10-11-2015


E noi adesso dove ci andiamo a collocare? Intendendo con questo “noi” tutti noi che crediamo vi siano più stelle in cielo che nella nostra filosofia; e che desideriamo per il nostro Paese uno sviluppo nella libertà in ciascuno possa guadagnarsi il pane senza dannarsi l’anima e cercando infine di lasciare dietro di sé un mondo migliore di quello in cui era nato. Dopo il comizio di Salvini, Berlusconi e Meloni in Piazza Maggiore a Bologna gremita domenica scorsa di leghisti, dopo l’esordio in teatro a Roma sabato scorso della nuova Sinistra Italiana, una cosa vecchia che più vecchia non si può, e mentre Renzi continua a dare il peggio di sé, la domanda si impone.

Sullo statalismo e sul centralismo che caratterizza il progetto politico di Renzi, sulla sua prospettiva liberticida e perciò fallimentare, non torno specificamente qui perché già più volte ne abbiamo parlato. Con la sua riforma costituzionale Renzi mira a riportare il Paese all’Italia dei tempi di Giolitti, in realtà ben lontana da quella di oggi, e con l’aggravante che lui non è Giolitti. Il progetto politico di Renzi è perciò un albero avvelenato, che ben presto avvelenerà anche quei buoni frutti che eventualmente dovesse dare (ma che finora non si vedono). Con tutto questo nell’area di sinistra il Pd di Renzi è il meglio del peggio, ma ciò non può essere motivo di consolazione.

Ciò detto da quale altra parte ci si può mai volgere? Il terzetto al centro del comizio di domenica a Bologna faceva venire i brividi. Lasciamo stare Giorgia Meloni, equivalente politico dell’abbacchio e del vino di Frascati: un personaggio anche simpatico, ma non spendibile fuori Roma. Restano Berlusconi e Salvini: il primo è il passato, che comunque è passato, mentre il secondo è la minaccia di un ben triste futuro. Può darsi che in seguito la vita o i suoi consiglieri possano insegnargli qualcosa, ma per il momento Salvini è brama di potere allo stato puro. Un uomo presuntuosamente sicuro di sé, come può esserlo soltanto chi ha studiato poco o niente; poco o niente non solo sui libri ma nemmeno alla scuola della vita, quella che rendeva i contadini di un tempo in sostanza più colti della maggior parte dei laureati di oggi.

Restano quelli del Movimento 5 Stelle con cui alla ribalta della vita pubblica italiana è tornato il male antichissimo del farisaismo con la sua tipica pretesa di costruire la propria innocenza puntando l’indice accusatore sul resto del mondo.  Con un progetto politico che attinge a quanto c’è di più buio nell’eredità giacobina.

Potremmo anche domandarci come mai, in così poco tempo, da così imponente che era la presenza cristiana nella vita pubblica del nostro Paese sia divenuta oggi così insignificante. Forse però non è nemmeno il caso di soffermarsi tanto a considerare come mai si sia arrivati a questo punto. Diventa più importante domandarsi che cosa si può fare per ripartire. In questo quadro la presenza nelle istituzioni, o più realisticamente la sopravvivenza in esse di quelli che già ci sono, ha il suo peso non foss’altro che per… legittima difesa, ma non ha un ruolo principale.

Siamo arrivati a una situazione che per vari aspetti assomiglia a quella in cui la gente di fede era in Italia nel ‘900, all’inizio del secolo scorso. Come allora occorre ripartire dalla società, occorre impegnarsi a dare in sede civile quelle risposte a noi stessi e agli altri che la politica non dà più. Perciò è decisivo mobilitarsi, come purtroppo sin qui mai in Italia ci si è mobilitati, per conquistare la libertà d’educazione sviluppando frattanto tutto ciò che occorre perché essa non si trasformi in un’occasione persa. 
Nel futuro prevedibile non si può sperare dalla politica niente di nuovo e niente di importante. Sarà ragionevole alle elezioni che verranno andare a votare e votare qualcosa e qualcuno che sia il meglio possibile nelle circostanze date, ma senza lasciarsi risucchiare in un campo che oggi non è strategico. L’alternativa va costruita altrove.





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