Vincent Nagle
sabato 30 luglio 2016
Sono un pochino
vergognoso della mia reazione davanti alla morte di Padre Jacques Hamel,
l’anziano prete francese che è stato sgozzato durante la messa da due uomini al
grido “Allahu Akbar!”. Il suo martirio mi ha colpito profondamente e
dolorosamente. Allora perché mi vergogno? Perché nonostante io cerchi di
seguire bene le notizie riguardo i movimenti islamisti in tutto il mondo e
sappia dei massacri di congregazioni intere in Nigeria, delle moltitudini di
persone musulmane e non sterminate nel Medio Oriente, dei tanti miei
connazionali americani e delle centinaia di innocenti europei stroncati in
bagni di sangue e fuoco, non sono mai entrato del tutto dentro l'esperienza di
terrore e dolore delle vittime.
Non è che tutte queste
notizie non mi abbiano lasciato pieno di sgomento, paura, rabbia, sdegno e
tristezza. È che, comunque, le vittime stesse rimanevano per me tutto sommato
anonime, senza volti precisi con i quali identificarmi. Ci voleva proprio la
morte di questo prete, invece, per mettermi nei panni delle vittime, guardando
insieme a Padre Jacques dritto nei volti dei suoi assassini. E adesso, con
questa nuova scossa al mio animo, mi sorge il bisogno di offrire un tentativo
di risposta alla domanda che, con quell’immagine in testa, mi assale: “Chi
siete voi che piantate un coltello nella mia gola per bagnare l’altare di
Cristo col mio sangue? Perché mi fate questo?”.
Per rispondere a questa
domanda che mi brucia dentro, mi
rifaccio alla mia esperienza con l’Islam cominciata quando avevo 23 anni,
passandone quattro in Medio Oriente da solo, i primi due anni in una comunità
dei Fratelli Musulmani in Marocco. Durante gli anni di seminario ho preso
una laurea in islamistica, studiando sotto grandi docenti come Padre Samir
Khalil Samir e Padre Maurice Borrmans. Ho poi vissuto sei anni in Cisgiordania.
Il primo ricordo che mi aiuta a rispondere alla domanda risale all’anno 1990. Passavo l’estate in Egitto e un giorno al Cairo, un venerdì, ho assistito a una grande manifestazione di Fratelli Musulmani e di tanti altri che urlavano con una passione tremenda la loro richiesta che l’Egitto fosse completamente sottomesso al diritto coranico, la Sharia. Vedendo la violenza di quei volti, la loro furia praticamente incontenibile, mi sono chiesto: “Perché così tanta veemenza e violenza?”.
Il primo ricordo che mi aiuta a rispondere alla domanda risale all’anno 1990. Passavo l’estate in Egitto e un giorno al Cairo, un venerdì, ho assistito a una grande manifestazione di Fratelli Musulmani e di tanti altri che urlavano con una passione tremenda la loro richiesta che l’Egitto fosse completamente sottomesso al diritto coranico, la Sharia. Vedendo la violenza di quei volti, la loro furia praticamente incontenibile, mi sono chiesto: “Perché così tanta veemenza e violenza?”.
Non dovevo cercare
molto, perché la risposta stava in qualcosa che, in un’altra forma, avevo sperimentato
anche io.
L’Islam non crede nel peccato originale. La
persona umana nasce perfetta, per natura è perfettamente musulmana. Cosa le
succede allora? Una società corrotta la corrompe, producendo diseguaglianza,
ingiustizia, rabbia, odio e invidia.
Ma Allah ci ha dato una legge perfetta per governare
perfettamente tutta la società umana. Se tutta la società umana fosse
sottomessa a questa legge perfetta, non ci sarebbe più infelicità sulla faccia
della terra. Vivremmo già qui in un paradiso terrestre. Ho in mente i
tanti combattenti talebani provenienti da tutto il mondo che, di fronte alla
domanda “Perché sei venuto fin qua da casa tua?” rispondevano, “Sono venuto per
vivere un paradiso terrestre”.
Anche io sono cresciuto
con un’istruzione analoga. Il mondo sarebbe perfetto se solo potessimo
eliminare i malvagi mentitori che impediscono l’applicazione della
giustizia. Che violenza genera nel cuore questo modo di concepire il
mondo! Si finisce per dire: “Sono infelice a causa vostra! I cattivi
potenti stanno rovinando tutto! Facciamo qualunque cosa per cancellarli. E sarà
pace”.
Dicono che Islam è una
religione della pace. Certo, la parola “islam”, che vuole dire
“sottomissione”, deriva dalla radice “salam”, che, appunto, vuole dire
"pace".
Ma cosa intende l’Islam con la parola “pace”?
È semplice. Quando la società umana intera sarà
sottomessa a un governo che applica senza modifiche la legge sociale divina e
perfetta rivelata attraverso Maometto, cioè la Sharia, ci sarà grande
pace. Ci offre la pace attraverso la sottomissione: in questo, sì,
l’Islam è una religione di pace.
C’è chi dice che tutti
questi che compiono gesti terroristici sono dei pazzi. Non mi
sembra. Anche io ero tentato da una ideologia così. Non è pazzia. Se con la mia forza (aiutato da Allah) potessi
eliminare ogni male umano, farei qualunque cosa per raggiungere questo
scopo.
Il calendario islamico
comincia con la Egira, cioè dal momento in cui Maometto lasciò la Mecca per
recarsi nella città che oggi si chiama Medina, dove fu accolto, per
pre-accordi, come un legislatore. E lì fu la prima volta che una società umana
- compresi anche i tanti ebrei e pagani - fu sottomessa alla legge di Dio, e,
così dicono i musulmani, (dopo l'eliminazione degli ebrei perché non si
sottomettevano) ci fu davvero pace.
Allora, “Chi sei tu che mi sgozzi? Perché lo fai?”.
Perché speri che con questo sacrificio, con questa violenza tu possa portare il
mondo a sottomettersi, e perciò a ottenere la pace. Fratello, la pace non viene
da lì, viene da un’altra parte. La pace è un dono che Dio vuole darci, uno
per uno, non come imposizione, ma come frutto di un rapporto con
Lui. Vieni con me, fratello, alla croce di Cristo dove il peccato e la
morte sono stati sconfitti! Vieni con me a vedere la vera pace che ti porto,
col mio sangue mischiato con quello di Cristo.
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