Intervista a Rémi Brague
Roma. Rémi Brague non è rimasto abbagliato dal
tripudio di ecumenismo non soltanto da parte della comunità islamica francese,
l’abbraccio multiculturale nelle chiese, il rifiuto della sepoltura islamica al
terrorista che ha sgozzato padre Hamel, il concordato stato-moschea voluto da
Manuel Valls.
Brague non crede
neppure alla ritrovata unità fra il cattolicesimo e la République. “La prima
reazione, subito dopo Saint-Etienne-du-Rouvray, è stata ovviamente emotiva: il
dolore, la compassione, la rabbia”, dice Brague al Foglio. Cattedra di
Filosofia alla Sorbona, un’altra di Storia delle religioni alla
Ludwig-Maximilian-Universität di Monaco, fra i massimi studiosi di Maimonide,
autore di quella “Europe la voie romaine” tradotto in quattordici lingue,
Brague ha ricevuto il premio Ratzinger dalle mani di Benedetto XVI.
Il suo ultimo saggio è
“Le Règne de l’homme” (Gallimard). “Una volta che la polvere si è depositata,
un fatto nuovo e molto interessante è venuto alla luce: questa è la prima volta
in Europa, fatta eccezione per il fallito attentato a Villejuif, nel mese di
aprile 2015, che il terrorismo islamico
attacca frontalmente il cristianesimo. Questa non è la prima volta che
chiese o cimiteri vengono profanati. Ma questa è la prima volta che un prete
viene ucciso nella sua chiesa, alla fine della messa. Vedo un’ammissione di ciò che le nostre politiche vorrebbero
nascondere, vale a dire l’identità cristiana profonda, consapevole o no, della
nostra civiltà occidentale. Coloro che vogliono farla finita con essa avvertono
che il cristianesimo è al centro del bersaglio”.
Secondo Brague, la
classe dirigente francese ha capitolato quando nel mirino c’erano i cristiani
orientali. “I cittadini francesi non sono rimasti a braccia conserte e hanno
aiutato i loro fratelli d’oriente inviando denaro. Ma è un dato di fatto che le
autorità dello stato francese hanno mostrato una certa strana riluttanza a
chiamare le cose con il loro nome. Così, quando lo Stato Islamico ha rapito i
lavoratori egiziani in Libia, separandoli dai mussulmani e macellando ventuno
copti, il presidente Hollande ha parlato della strage di ‘cittadini egiziani’.
I media ufficiali preferiscono utilizzare l’acronimo Daesh invece di parlare di
‘Stato islamico di Iraq e Siria’, anche se questo è il suo nome sedicente. Dobbiamo a tutti i costi evitare l’uso dell’aggettivo
‘islamico’ per suggerire che questi crimini non hanno alcuna relazione con
l’islam”.
Un’arrendevolezza,
secondo Brague, che cela un sentimento profondo. “Ci sono alcuni francesi,
politici e mezzi di comunicazione, che hanno un desiderio più o meno
consapevole e più o meno dichiarato di porre fine al cristianesimo. E’ una
vecchia storia che risale al XVIII secolo, a prima della Rivoluzione, e che è
stato in larga misura un tentativo di scristianizzazione. Oggi, i media
conducono la lotta sul campo culturale, quello della vita di tutti i giorni. Un
esempio: oggi dicono ‘questo è il santo X’ e ‘questo è il festival di X’. Il
riferimento cristiano viene rimosso in anticipo, con il pretesto che ‘potrebbe
offendere i musulmani’. Mascherano la loro inazione o semplicemente il loro
silenzio con argomenti quali: ‘Dopo tutto, i crociati non erano molto gentili
con i Saraceni; nessuna meraviglia, è il loro turno adesso…’. Si dimentica però
una grande differenza tra i due: le crociate sono del passato, mentre è oggi
che lo Stato islamico uccide e si potrebbe cercare di fermarlo”.
Che cosa temete di più
per il futuro della Francia? “Sono in campagna e ho dimenticato a Parigi la mia
sfera di cristallo”, conclude Brague l’intervista al Foglio. “Non so predire il
futuro. Al massimo, posso dire quello di cui ho paura. Diversi scenari sono
possibili, compreso il peggiore. Tra i peggiori, c’è una guerra civile di cui
si comincia a parlare. Sarebbe esattamente quello che vuole lo Stato islamico. La loro strategia è la stessa dei gruppi di
estrema sinistra degli anni Settanta, come da voi le Brigate Rosse: provocare
l’autorità e scatenare una repressione cieca in modo che l’intera popolazione
solidarizzi con la minoranza rivoluzionaria. Eppure, mi chiedo se non ci
sia qualcosa di peggio. Mi permetta il paradosso: il peggio è che non succede nulla, che continui così. L’obiettivo è più
importante dei mezzi. E lo Stato islamico ha lo stesso obiettivo dell’‘islam
moderato’: il dominio del mondo sotto la sharia. I mezzi violenti non sono
gli unici, e sono forse controproducenti nella misura in cui potrebbero
risvegliare le nazioni che attaccano. I
mezzi morbidi, discreti, pazienti come la pressione sociale, la propaganda,
sono forse più pericolosi, perché più efficaci”.
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