ALFIE EVANS E TUTTI NOI
LEONARDO LUGARESI
In uno dei passi più
tenebrosi – e perciò più luminosi all'intelligenza cristiana della realtà –
dei Promessi sposi, nel capitolo XI, don Rodrigo, mentre si
accinge a portare alle estreme conseguenze la gran porcata che sta facendo a
Lucia e a Renzo, affronta tra sé e sé la paura che il suo comportamento gli
ispira e si conforta con queste parole: «Chi si cura di costoro a Milano? Chi
gli darebbe retta? Chi sa che ci siano? Son come gente
perduta sulla terra; non hanno né anche un padrone: gente di nessuno».
Papa Francesco col padre di Alfie Evans |
Così pensa il potere mondano, e così parla quando non
finge: quando
non ciancia più di “dignità umana”, “valori”, “diritti inalienabili” e
“democrazia”, e bada solo alla forza. Chi non ha «neanche un padrone» non è
niente, è «gente di nessuno». Da soli, siamo tutti “gente di nessuno”, agli
occhi dei padroni del mondo. Come Alfie Evans, che è un piccolo bambino malato,
e i suoi genitori che sono poco più che ragazzi, siamo anche noi che siamo
adulti, e ci crediamo “scafati”; noi che contiamo puerilmente sulle risibili
sicurezze della nostra posizione nella società, dei nostri soldi, delle nostre
relazioni. Di fronte al Potere, siamo
gente di nessuno.
Ieri è stata una giornata
importante, per la chiesa e per il mondo, perché
il Papa ha infine ricevuto il babbo di Alfie e ha pronunciato pubblicamente
queste parole: «Attiro l’attenzione di nuovo su Vincent Lambert e sul
piccolo Alfie Evans, e vorrei ribadire e fortemente confermare che
l’unico padrone della vita, dall’inizio alla fine naturale, è Dio!».
Sono esattamente le parole che era necessario dire, e che spettava
primariamente a lui dire.
Ha chiamato Dio padrone. Ora, “padrone” è una
parola aborrita dal linguaggio contemporaneo, fuori e dentro la chiesa. “Né Dio
né padrone” è stato lo slogan della rivolta moderna, la cifra della componente
anarchica presente un po' in tutte le utopie con cui gli uomini si sono illusi
negli ultimi duecento anni. Una parola cruda, che non è educato usare nella
conversazione civile e che è quasi sparita anche dal lessico politico. Eppure,
se guardiamo alla sostanza delle cose, possiamo forse dire che di padroni, al
mondo, non ce ne sono più?
Il papa ieri ha usato
quella parola, per ricordare una gran verità che i cristiani hanno da
annunciare al mondo: che gli uomini un
padrone ce l'hanno, ed è il Signore, Dio onnipotente, eterno e
infinitamente buono. Hanno un padrone e proprio per questo non ne hanno altri.
So che oggi nella chiesa si preferisce usare un altro linguaggio: si prefersice
dire che Dio è padre (anzi è anche madre), è un amico che si è fatto come noi,
uno di noi, per amarci e per servirci, e quando è la festa di Cristo re, tutte
le omelie di tutte le messe si affrettano a spiegare che sì, Gesù è re, ma non
proprio un re, non come i re della terra, e il suo modo di regnare è squello di
servire e offrire la sua vita per noi ... Tutto giusto e tutto vero.
Però una chiesa che vuol
essere missionaria (o “in uscita”, come oggi si usa dire) deve imparare anche a
parlare il linguaggio del mondo, se vuole farsi capire. E non solo quello di
superficie, ma anche quello profondo. A
gente come noi, che, in fondo in fondo, la pensa come don Rodrigo, bisogna
saper dire chiaro e forte quello che il papa ha detto ieri: che l'unico padrone
della vita è Dio. Quel Dio a cui l'uomo contemporaneo è sempre pronto a
chiedere ragione di tutto quello che nella vita non gli va bene.
C'è un particolare, nella parabola dei talenti, che mi ha
sempre colpito: quando il servo infingardo vuole giustificarsi per non aver
trafficato il talento che gli era stato affidato dal padrone quasi lo
rimprovera di essere «un uomo duro, che miete dove non ha seminato e raccoglie
dove non ha sparso». Il padrone, che nella parabola simboleggia Dio, non lo
corregge e non nega affatto di essere come ha detto il servo, ma rivendica la
sua sovrana libertà di agire come vuole: «Il padrone gli rispose:
Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo
dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così,
ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse» (Mt 25,26-27).
leonardolugaresi | 19 aprile 201
Nessun commento:
Posta un commento