L'UNIONE EUROPEA E LA DOTTRINA BREZNEV
Rodolfo Casadei
(…) Perché nell’Ungheria del 2018 la questione delle frontiere e
dei migranti è più decisiva per l’esito delle elezioni degli argomenti che riguardano l’operato
in bene e in male del governo? Perché la vertenza che si trascina con l’Unione
Europa dal 2015, cioè il rifiuto da parte di Budapest di ricollocare 1.294
richiedenti asilo provenienti da Italia e Grecia, è così importante per
governanti ed elettori ungheresi?
I media e l’establishment
dell’Europa Occidentale e Bruxelles agitano gli spauracchi della xenofobia,
dell’antisemitismo, delle risorgenze fasciste o della penetrazione strisciante
della Russia di Putin.
Un misto di arroganza e ignoranza: Viktor Orban è stato
dissidente antisovietico, si è laureato con una tesi su Solidarnosc, ha
studiato a Oxford grazie a una borsa di studio della fondazione di George Soros
(proprio lui!), la sua formazione politica è da sempre affiliata al Partito
Popolare Europeo.
(…)
La parola chiave per capire quello che a livello politico
succede in Ungheria e in altri paesi dell’Est che hanno aderito alla Ue
(Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) non
è xenofobia, ma sovranità. L’Ungheria, come gli altri paesi dell’Europa
orientale i cui elettorati hanno votato in massa forze nazional-conservatrici o
populiste euroscettiche, è una nazione che ha trascorso metà della sua storia
sotto il tallone di potenti vicini: nel suo caso ottomani, austriaci,
sovietici. Ha perduto popolazione e territorio in conseguenza delle due guerre mondiali.
Non ha partecipato a imprese coloniali, non ha praticato l’imperialismo nei
confronti dei continenti extraeuropei nel XIX o nel XX secolo, dunque non nutre
complessi di colpa verso africani e mediorientali.
Ha aderito all’Unione Europea per godere della prosperità e
dell’indipendenza che fino ad allora gli erano state per lungo tempo negate. Ora queste nazioni scoprono che il prezzo della prosperità che
l’adesione alla Ue ha certamente favorito è la progressiva rinuncia alla
propria indipendenza a vantaggio di una integrazione dove tutte le culture e le
storie sono tenute a sciogliersi in un’indistinta unità fondata sulla libertà
di mercato e sui diritti individualistici.
Liberatisi della dottrina brezneviana della “sovranità limitata”, in base alla quale
nessun paese socialista poteva sperare di riavvicinarsi al capitalismo senza
che gli altri paesi socialisti, a cominciare dall’Unione Sovietica,
intervenissero con le buone o con le cattive per riportarlo all’ovile, oggi i
paesi dell’Est si trovano di fronte a
una nuova versione di quella dottrina, concepita stavolta a Bruxelles:
nessun paese della Ue può opporsi al progetto di sempre maggiore integrazione
fra i paesi aderenti, compresa la delicata materia delle politiche
dell’immigrazione, senza rischiare di perdere i diritti di voto e i
finanziamenti dei Fondi di coesione.
Ma questa linea dura contro
Budapest e Varsavia che trova ogni giorno nuovi sostenitori in Europa
occidentale e a Bruxelles rischia di aggravare la crisi di coesione dell’Unione
anziché risolverla. Occorrerebbe invece contemperare i processi di integrazione
con la salvaguardia delle identità nazionali. Come scrive il filosofo Mathieu
Bock-Côté: «Il diritto alla continuità storica è vitale per un popolo».
Aprile 11, 2018 TEMPI
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